Via Benedetto Cairoli 1 (angolo Via Arenaccia)
Tel. 081 .45 47 57
Aperto a pranzo dal lunedì il sabato dalle 12,00 alle 15, 30
Di sera entro le 21, 30, meglio su prenotazione
Sabato dalle 19, 30 – 24,00Ferie: 2 settimane in agosto
Carte di credito e Bancomat: si
Di seguito intuirete che, pur trovandoci in un quartiere popolare, non rientriamo esattamente nell’oggetto della rubrica, il low cost a Napoli. Tuttavia, ogni regola trova sempre, sia pur minima, la sua eccezione. A Napoli la tradizione della cucina popolare sopravvive in molti quartieri della città grazie alle antiche cantine e a “vini e cucina” a conduzione familiare che hanno resistito negli anni, tramandando l’attività di generazione in generazione, adeguandosi ai tempi senza tuttavia mutare l’essenza e la cultura di una cucina di fatto nata povera, quella dei napoletani mangiafoglie e mangiamaccheroni, come ce li descrive Basile nel suo Pentamerone, meglio conosciuto come “Lo Cunto de Lì Cunti.
In generale i Vini e Cucina si distinguono appunto, per l’offerta di saporiti piatti della tradizione venduti a prezzi contenuti con un servizio semplice, senza tanti fronzoli. Qui, in Via Benedetto Cairoli 1, le eccezioni e le differenze sono la regola. La storia comincia oltre cent’anni fa. Siamo nel 1891, Salvatore Spoleto apre a pochi passi dai locali di oggi, una mescita dove bere con gli amici e mangiare un piatto caldo.
Una quarantina di anni prima, il Cavaliere Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino cominciò a dedicarsi per lunghi e preziosi periodi, agli studi di Gastronomia ed alla pratica del cucinare. La prima edizione fu pubblicata nel 1837. Il lavoro del Duca ebbe grande successo, e, in pochi anni oscurò “Il Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado fino allora dominante.
Dalla prima edizione, e sino agli inizi del ‘900, la cucina teorico- pratica venne ristampata dieci volte, sempre con lo stesso titolo. L’ultimissima edizione apparve, postuma, nel 1910, in coincidenza con la riapertura della Cantina di Salvatore Spolèto, dove ai fuochi a legna, o carbone, c’erano donne, mentre, come narrato dai due autori di cui sopra, nei palazzi nobiliari era nata la cucina dei cuochi venuti dalla Francia, i Monzù , qui, da Salvatore, si faceva cucina per il popolo, per i trasportatori a cavallo che dovevano rifocillare se stessi e gli animali. Nello stesso periodo, tra il 1885 e il 1888, questa zona fu in parte ricostruita grazie alla Legge del Risanamento, acquistò una facciata nuova: apparvero i primi tram a vapore della TPN, Tranvie Provinciali, il “papunciello”, così chiamato perché i tram erano a vapore, da qui il nome “Papunciello”, (vapore).
Dietro ai nuovi palazzi tuttavia, si nascondeva ancora un dedalo di vicoli degradati, dove dominava la “Guapparìa”… Chi è il Guappo? Beh, è una storia lunga: oggi l’uso del termine è rimasto, tra i modi di dire ( non fare il guappo, non millantare, non fare il prepotente) ma, il significato e la sua denominazione hanno trovato un termine profondamente diverso, “camorrista”.
La parola guappo pare derivi dallo spagnolo “guapo” (bello). Il guappo si è sempre distinto per l’abbigliamento curato e eccessivo, una postura particolare tesa all’ostentazione di sé stesso. Ma che faceva il Guappo per vivere? I suoi introiti, nonché il rispetto, derivavano dalla protezione degli abitanti del quartiere e dai soprusi commessi da delinquenti del posto o delle zone limitrofe. Una figura simbolica e potente, talvolta romantica alla quale si ispirarono tante canzoni napoletane, tra tutte “Uapparìa” di Libero Bovio e Falvo del 1914. Figure celebri di guappi sono Nicola Capuano, Salvatore De Crescenzo detto “Tore ‘e Criscienzo”, Antonio Spavone, detto ‘O Malommo O’ Guappo gentiluomo, Alfredo Maisto, fino poi , in anni recenti, a Pasquale Simonetti detto Pascalone ‘e Nola, marito della celebre Assunta Maresca detta Pupetta. Il 17 luglio di 55 anni fa, Pupetta Maresca aveva appena 18 anni. E, dopo appena ottanta giorni di matrimonio, era già vedova, vittima, della spietata legge della camorra. Una camorra diversa dall’attuale: quella «rurale», che viveva di mediazioni e interventi nei mercati ortofrutticoli sulla produzione contadina della provincia. C’erano oltre 500 invitati al matrimonio di Pupetta Maresca con Pasquale Simonetti.
Lei era già incinta di tre mesi, da poco diciottenne ed erede della famiglia malavitosa dei «Lampetielli» di Castellammare. Nella «camorra rurale», una precedenza, un saluto in pubblico erano sintomo di rispetto e supremazia. La vicenda di 55 anni fa, cui Francesco Rosi si ispirò per il film «La sfida», fa ormai parte della storia della camorra.
“Scetáteve, guagliune ‘e malavita,
ca è ‘ntussecosa assaje ‘sta serenata.
Io sóngo ‘o ‘nnammurato ‘e Margarita,
ch’è ‘a femmena cchiù bella d’‘a ‘Nfrascata1.
Ll’aggio purtatoo ‘o capo cuncertino,
p’ ‘o sfizio ‘e mme fá sèntere ‘e cantá.
Mm’aggio bevuto nu bicchiere ‘e vino
pecché, stanotte, ‘a voglio ‘ntussecáaa…
Dov’eravamo? Ah sì, la trattoria di Salvatore Spoleto, giravano un po’ troppi coltelli e guappi, così dopo svariate risse, venne chiusa ai primi del ‘900. Salvatore non si rassegna e riapre dopo pochi anni nei locali di oggi. Stavolta alla guida del locale solo donne: Nonna Maria, e le zie Vincenza, Anna e Maria, la primogenita. I piatti erano i classici di sempre, pochi e saporiti: zuppa di fagioli, stocco in cassuola, alici fritte e l’immancabile zuppa di soffritto. Negli stessi anni, a circa mezzo chilometro, fu aperto al pubblico lo Stadio Militare dell’Arenaccia “Alberico Albricci”, uno dei luoghi più rappresentativi della storia dello sport napoletano del passato. Lo stadio venne inaugurato nel 1923, con una spettacolare quanto inconsueta competizione, consistente in una corrida in cui un coraggioso spettatore avrebbe dovuto cercare di assicurarsi una coccarda tricolore (contenente 500 lire dell’epoca), precedentemente infilzata sul dorso di un toro.
Nel 1935, alla morte di Salvatore, subentra il figlio maschio Gennaro per soli quattro anni, viene, infatti, richiamato in guerra nel ’39 e torna a casa dopo 6 anni di prigionia in Sud Africa e in Inghilterra. Intanto Zia Maria, ritratta in foto, perde il marito e il figlio di appena 12 anni, sotto i bombardamenti.
Si trovavano tutti nel locale che allora era anche abitazione, quando furono sorpresi dalle bombe; oggi, quella stanza, è una delle due piccole sale Delle Due Sorelle. Rientrato a Napoli nel ’46 Gennaro Spoleto sposa Sofia, un’altra donna, abituata alla fatica, al timone, figlia di allevatori di mucche e produttori di latte che vendevano casa per casa, Sofia si organizza subito, ai fornelli e al servizio a tavola le zie Vincenza e Maria e due ragazzine: Maria e Rosanna, figlie di Gennaro e Sofia. Gli anni passano, anche la zona dell’Arenaccia si trasforma: al Ponte di Casanova nasce il mercato degli abiti usati, messo su con quanto gli americani portavano in città.
Gli anni dell’immediato dopoguerra furono per Napoli un periodo di grande povertà, era il periodo in cui il caffè veniva torrefatto artigianalmente nelle case una volta la settimana, con una cerimonia di edoardiana memoria, che inondava di un profumo irresistibile vicoli e strade.
Si trattava di un compito di fiducia e pazienza, affidato di solito ai nonni, bisognava stare lì e girare la manovella, sopra il fuoco del focolare o del caminetto stando attenti che i chicchi non bruciassero, se no il caffè era rovinato.
Negli anni ’50 l’economia riprende e si avvia verso il boom economico degli anni’60, cominciano, nella zona dell’Arenaccia, gli insediamenti di piccole fabbriche rimaste nei ricordi dei napoletani. Questa strada prende il nome dai depositi di sabbia (in napoletano Arena) che i canaloni lasciavano insieme a ciottoli; anche la zona intorno, quasi ad identificare un quartiere, venne denominata “l’Arenaccia” ed era fascia periferica e poco popolata, ma nota per le violente sassaiole, ovvero le ” guainelle o pretiàte” che vi si scatenavano, tanto che nel 1625 il vicerè di Napoli fece arrestare ben trenta capi “sassaioli”. Maria e Rosanna, praticamente nate nel locale, si assumono in toto la gestione verso la fine degli anni ’70, quando Mamma Sofia si ritira, e Papà Gennaro, sempre asciutto e esile rimane, tra sala e cucina, fin quando, nel 2001, se ne è andato a 92 anni, sicuro di lasciare il tutto in buone mani, quelle della sua primogenita Maria e dell’altra figlia Rosanna. I nomi, avete visto, si ripetono, ma le generazioni cambiano. Sono passati oltre cent’anni dal 1891, il locale di Via Benedetto Cairoli è stato ristrutturato un paio di volte, ma l’architettura di alcuni ambienti e la cantina sottostante sono rimasti uguali. Fino agli anni ’70, quando il nome era ancora “‘A Cantina ‘E San Pasquale”, si mangiava sui tavoloni di marmo, oggi ancora in sala, coperti da fini tovaglie e semplice ma, raffinata hotellerie, compresi i bicchieri da degustazione per il vino.
Niente paura, non siamo in un esclusivo covo gourmet. Siamo “ adde ‘e signurine”, (così sono conosciute nella zona) il ristorante familiare gestito dalle due sorelle e da Giuseppe, marito di Rosanna, insospettabile vignaiolo naturale, produttore di gradevoli “vins des garages” da uve vesuviane e del Sannio, falanghina, coda di volpe e aglianico.
Maria, napoletana verace dalle movenze e toni simili a quelli di Pupella Maggio, una delle grandi attrici preferite di Eduardo De Filippo, regna in cucina, un bell’ambiente chiaro e luminoso, una grande cucina di casa, 6 fuochi, tante padelle di rame al muro,
pomodorini del “piennolo a portata di mano”, pianta di basilico e freschissime verdure che arrivano in parte dal mercato del vicino Corso Novara e in parte dall’orto della madre di Giuseppe che è di origine vesuviana.
I tempi della mescita s’intuiscono dal grande frigorifero con due serbatoi refrigerati con i rubinetti per il vino, dal pavimento di graniglia in mosaico veneziano, con il sifone per il vino ancora a vista. La cantina, di sotto, è il regno di Giuseppe, qui con strumentazione artigianale produce il vino che gli piace e che anche i clienti gradiscono particolarmente.
Accoglienza e sala sono affidate a Rosanna, le bastano due minuti per far sentire chiunque a casa propria, sorriso, dolcezza ed energica determinazione sono le sue armi, non si ferma un attimo, instancabile tra sala e cucina, dove dà una mano alla cuoca maior, conosce tutte le abitudini dei clienti, per la maggior parte abituali, li coccola, ha persino previsto il “bavaglione” (non quello che vorrebbe metterci S B…) per i clienti che potrebbero macchiarsi le cravatte e le camicie. Il locale è molto ospitale, si respira aria domestica, come la domenica a pranzo dalla mamma. Tutto è molto curato, igiene massima e toilette da ristorante stellato. Perché? Maria e Rosanna in questi ambienti ci sono nate, li hanno visti cambiare negli ultimi 60 anni, adesso, – mi dicono – con un po’ di tristezza, la quarta generazione non c’è, i giovani di famiglia hanno scelto altre strade, ma, chissà che un giorno, nel mezzo del camin di loro vita, non decidano per un ritorno alle origini, come succede sempre più spesso.
Veniamo alle piccole, grandi eccezioni di cui sopra, s’intuisce già dall’ingresso che non stiamo entrando in un ordinario Vini e Cucina, tutto è molto curato, tanto legno, le foto originali d’epoca. Circa cinquanta coperti in due sale, delle quali la seconda è stata l’abitazione di zia Maria fino alla fine degli anni ‘30. Legno, ferro battuto, ceramiche e porcellane sono protagonisti. Dai tempi della cantina degli anni ’70 sono rimaste grandi scaffalature in legno, poiché la cantina era anche una fornita enoteca della zona con vini di tutta Italia, oggi Le Sorelle, hanno optato per un buon assortimento di etichette campane, accompagnate dal vino della casa. Il pavimento è ancora quello degli anni ’30, mosaico veneziano conservato in ottimo stato.
Alle pareti tante fotografie di famiglia che raccontano la storia centenaria di questo luogo della memoria che fonde sapori tradizionali, presentati con eleganza, a racconti di un tempo che si potranno tramandare solo per tradizione orale. I colori sono delicati e rilassanti, l’ambiente è allegro, poiché la clientela è quasi tutta abituale. In un angolo una splendida credenza d’antiquariato con il servizio di piatti di porcellana di mamma Sofia, fa bella mostra di sé, perfettamente intonata a tutto il resto.
Rosanna conosce a memoria i gusti dei commensali e prepara, su indicazioni di Maria, il menù ogni giorno, a seconda delle stagioni e di quello che hanno proposto il giorno prima, per evitare di ripetersi troppo spesso. Maria si alza presto la mattina, magari già con il menù in testa, le prime telefonate sono per: fruttivendolo, macellaio, pescivendolo e caseificio. Sono tutti fornitori storici della famiglia Spoleto minimo da 30 anni. La qualità è di primo livello, tanto che la clientela si rifornisce privatamente anche per la spesa di casa. Il menù, l’abbiamo detto, varia secondo la stagione e secondo “la capa” (inclinazione, umore) della cuoca. Alcuni piatti sono fissi, come lo squisito spaghetto a vongole rosato,
(le ho viste ancora vive al banco vetrina) e le penne, spaghetti o, scialatielli freschi al pomodoro. I pomodori sono solo freschi e del piennolo, la passata è artigianale.
Per gli antipasti si varia tra i classici sfizi napoletani e i famosi piatti, tipo la parmigiana di melanzane ( solo quando è stagione) che è buona come antipasto, primo, secondo o, piatto unico. Poi ci sono i crocchè e il gattò di patate di Maria, entrambi vanno a ruba: confermo , l’impasto è soffice, arioso, giallo, preparato con uova, latte, burro, parmigiano e pecorino grattugiati, salame e fiordilatte per la farcitura e pan grattato di casa per la panatura.
La frittura dei crocchè è perfetta, asciutta senza tracce di unto, l’impasto è lo stesso del gattò con aggiunta di un pezzetto di fiordilatte.
Ancora si può scegliere una freschissima mozzarella aversana con contorni di verdure, prosciutto crudo, o, fantastici fiori di zucca in pastella, farciti di ricotta e leggeri come una nuvola, o, ancora antipasti di mare, gamberoni talmente freschi da poter essere mangiati crudi.
Il tutto accompagnato dal pane cafone che arriva ancora da Afragola, comune della fascia a Nord di Napoli, portato a tavola ancora tiepido e profumato.
La scelta dei primi piatti, varia ogni giorno, i giorni dispari c’è sempre una minestra: pasta e ceci, lenticchie, fagioli, zucca. In primavera, Maria prepara una zuppa antica, tipica del periodo di Quaresima e di Pasqua, fatta con tutte le verdure di stagione: piselli, patate, fave, carciofi, zucchine, asparagi; c’è poi una versione più saporita che prevede l’aggiunta dell’uovo a stracciatella. In ogni caso non ci sono mai piatti fuori stagione, la cuoca su questo è irremovibile e fa bene. Così avremo in inverno la zuppa di soffritto, “‘a zuppa ‘e carna cotta”, la minestra maritata, il ragù, la genovese, i mezzanelli lardiati, pasta e patate con la provola o, con scorzette di parmigiano. Ci sono poi i primi di pasta fresca, i mitici tonnarelli “cacio e pepe” stile “Er Colonna” , i ravioli capresi al pomodoro, e gli scialatielli preparati in diversi modi: con il “piennolo “ e basilico, alla sorrentina, con i frutti di mare o un misto anni ’80 con zucchine e gamberetti. I primi estivi sono freschissimi, spaghetti a vongole, allo scoglio, scialatielli basilico, pomodorino e mozzarella, caponata, spaghetti con le cozze.
I secondi dei mesi freddi sono la carne del ragù, tracchiolelle, le salsicce, le braciole, anche di cotica, le polpette, un pezzo di manzo che a Maria piace aggiungere per rendere il ragù più saporito, quella della genovese e ancora polpettone al forno con patate o, polpette fritte e al sugo e poi due piatti napoletani storici che quasi nessuno prepara più: “‘o stentiniello ‘ o furno co ‘e patane”, ovvero intestino al forno con patate e la tasca di vitello ripiena di salame, formaggio, uova, passi e pinoli, il cd. “ pietto ‘mbuttunato”. Ancora polli ruspanti e conigli paesani che arrivano dal vesuviano, da preparare al forno, alla cacciatora, o fritto e la busecca, ovvero, la trippa al pomodoro, condita con parmigiano.
Per il pescato, Maria si affida al suo fornitore di fiducia, lo stesso da sempre, idem dicasi per stocco e baccalà, ergo il menù di mare del giorno si decide la mattina verso le 6,30 – 7,00 quando Maria chiama all’appello i suoi fornitori e dipende da quello che arriva in cucina: “purpetielli alla luciana”,
“mussillo ‘e baccalà” in bianco con le olive, calamari alla brace, pesce spada, freschissimi gamberoni, “luveri” (fragolini), polpo all’insalata, baccalà fritto e coroniello in casseruola.
Qui siamo, infatti, a due passi dal mercato di Porta Capuana, “‘o buvero e Sant’Antonio” . Maria e Rosanna però cercano sempre la qualità eccellente e costante nel tempo, ergo i fornitori sono nelle vicinanze ma non sono ambulanti, sono in zona da almeno cinquant’anni.
A proposito di stocco e baccalà, le due sorelle mi ricordano un detto napoletano sagace e incisivo: “ E’’gghiuto stocco, è turnato baccalà” ad indicare una persona che prima di apprestarsi a fare qualcosa, si vanta delle sue capacità, escludendo ogni possibilità di fallimento e rientra invece, senza aver concluso nulla di buono.
La varietà di contorni e verdure è sterminata. Qui Maria, la cuoca dal cappello bianco e antichi orecchini di perla, si sbizzarrisce, sempre nella stagione giusta sia chiaro. Ecco allora le parmigiane di melanzane e zucchine, i peperoncini verdi fritti con il pomodorino del piennolo, fantastici anche come condimento della pasta, i peperoni in padella, le zucchine alla scapece,
melanzane a scarpone, scarole affogate con olive nere, passi e pinoli, immancabili i friarielli, verdissimi e croccanti.
In primavera – estate tante verdure lesse, carote fagiolini, carote rosse, patate, le primizie di asparagi e carciofi in tutti i modi: indorati e fritti, le “mammarelle” (grossi carciofi da lessare e gustare, foglia a foglia con una grande olio di qualità), ancora carciofi ripieni al forno con mozzarella e salame, oppure olive e capperi con peperoncino, o alla giudea. D’estate arrivano le mitiche polpette di melanzane di Maria, quelle che i clienti vengono a rubare in cucina, una dietro l’altra, tipo ciliegie; preparate con uova battute, pane raffermo, polpa delle melanzane, salame, provola e basilico. Il pomodorino del piennolo è una costante della cucina di Maria. Ci deve essere, infatti, giù in cantina al momento dell’acquisto in quantità notevoli, la volta a cupola diventa uno spettacolare trionfo rosso pomodoro. Anche per i dolci si rispetta la stagione: la pastiera si fa a Pasqua ribadisce Maria,
poi torta caprese, crostate di frutta e una particolare crostata di ricotta, preparata da Rosanna con agrumi e filetti di mandorla, deliziosa. La frutta fresca, sempre di stagione è a disposizione in un grande cesto, unico ever green è l’ananas che non appartiene alla nostra cultura e…”pacienza”, Maria stavolta si arrende. Ma solo stavolta eh? Adesso veniamo all’eccezione: il quid. Nooo, dont’ worry, be happy, non rimmarrete a lavare i piatti per pagare il conto!
… Certo qui si spende qualcosina in più, ma, da noi si dice “’o sparagno, nun è mai guadagno”. Partiamo da qualche esempio di pranzo completo dall’ antipasto al dolce, sia, di terra, sia di mare: siamo in primavera, se avete voglia di un antipasto di verdure miste con mozzarella o crocchè, scialatielli alla sorrentina, o, al pomodoro fresco, salsicce alla griglia e patate o contorno di verdura, pastiera o altro dessert, con coperto e mezzo litro di vino della casa spenderete tra 22 e 25 euro, se invece non volete appesantirvi potete saltare il secondo e in questo caso, siamo intorno ai 18 – 20 euro per un antipasto di verdure con i mitici crocchè di Maria, una minestra tipo pasta e zucca, pasta e piselli, dolce, caffè e vino della casa. Se ci avviciniamo al mare, considerato l’approvvigionamento giornaliero e la qualità del pescato, dovrete ipotizzare circa 35 euro dall’antipasto al dolce con vino della casa.
Ci sono anche ragazzi e giovani che lavorano in zona che vengono in pausa pranzo, magari scelgono crocchè, un primo piatto e un dolce con un quartino di vino della casa,
oppure il fantastico gattò di Maria, con parmigiana di zucchine o carciofi e il dolce e se la cavano tranquillamente con 15 euro, più o meno quanto spenderebbero per una pizza, birra e fritturina in uno dei tanti anonimi locali della zona, dove ingurgiti in automatico, senza pensare a quello che va giù e poi se ne parla a cena. La qualità delle materie prime e la capacità di trasformarle senza stravolgerne gusto e freschezza non è da tutti. Le “Signurine” Maria e Rosanna, che hanno cominciato a respirare aria di cucina ancor prima di nascere, sono uscite dalla pancia di mamma Sofia con la passione per l’arte culinaria. Sì arte, anche se non si tratta di moderne interpretazioni delle nostre eccellenze gastronomiche, perché, in ogni caso, tutto è passato da una sosta, se pur breve, nella tradizione per studiarla e progettare il futuro. Non a caso, mi racconta Rosanna, chef e ristoratori napoletani sono abituali clienti del locale, ma non ha voluto fare nomi. Oltre al vino della casa, si può scegliere da un’accurata selezione di vini campani, nomi noti, venduti con un ricarico davvero onesto. Di certo, con una media del 25% in più rispetto ai prezzi degli altri Vini e Cucina, vivrete un’esperienza umana e gastronomica che vale molto di più, almeno quanto le mille espressioni di soddisfazione, impazienza, affetto, concentrazione e felice stanchezza che si leggono sul volto delle due sorelle Spoleto già dall’alba, quando comincia la loro giornata, tutti giorni, sempre con un sorriso che trasmette entusiasmo e passione per il proprio lavoro, i clienti e i grandi prodotti della propria terra.
Come arrivare. In auto: uscita tangenziale Corso Malta, girate subito a destra, lungo Via Arenaccia, proseguire per 250 mt e sulla vostra destra troverete le Due Sorelle.
A piedi: metropolitana discesa Stazione Piazza Garibaldi; procedere a destra lungo Via Arenaccia per circa un km. Le Due sorelle sono sulla vostra sinistra.
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