Piazza Dante 48
Tel.081.549 94 04
Aperto a pranzo e cena dal martedì alla domenica
Chiuso: lunedì, Pasqua, 24, 25 e 31 dicembre
Ferie : 2 settimane centrali in agosto
C/credito: no – Bancomat:si
di Giulia Cannada Bartoli
Venezia? San Marco? No, siamo sicuramente in una delle piazze storiche e più famose di Napoli: Piazza Dante, che si trova alla fine di Via Toledo in direzione del Museo Nazionale. La piazza, chiamata nel corso dei secoli, prima, Largo del Mercatello e poi Foro Carolino, veniva adibita a mercato una volta alla settimana, il mercoledì, mentre negli altri giorni, vi si tenevano corsi per imparare a cavalcare e gli staffieri dei nobili vi portavano i loro magnifici cavalli ad esercitarsi.
L’attuale aspetto è frutto di una trasformazione del progetto originale di Luigi Vanvitelli che, tra il 1757 e il 1765, realizzò su commissione di Carlo di Borbone il “Foro Carolino”. Il colonnato è sormontato da un cornicione con una balaustra sulla quale si trovano 26 statue che rappresentano tutte le virtù di Carlo di Borbone, nella nicchia centrale, che oggi si è trasformata nell’ingresso dell’istituto Vittorio Emanuele, doveva in origine essere ospitata la statua equestre del sovrano. Oggi l’emiciclo è conosciuto come “Convitto Nazionale Vittorio Emanuele” perché nel 1871, a seguito dell’Unità d’Italia, subì il cambio toponomastico da “Foro Carolino” a Piazza Dante, si cancellarono così le tracce borboniche, apponendo al centro dell’emiciclo una statua in marmo bianco del poeta Dante Alighieri, scolpita da Tito Angelini, sul cui basamento si legge “All’unità d’Italia raffigurata in Dante Alighieri”.
La piazza, dove, alle spalle della statua di Dante Alighieri, guardando a sinistra, si trova la nostra meta di tradizione a prezzi accessibili, è stata ridisegnata e ristrutturata da Gae Aulenti in occasione dei lavori per la metropolitana, conclusi nel 2002 che hanno dato vita a molte polemiche.
L’utilizzo della pietra lavica etnea in luogo di quella vesuviana, la cancellazione delle aiuole, lo scarso numero di panchine e le pensiline d’accesso alla stazione, completamente vetrate e sopra il livello stradale, hanno fatto storcere il naso un po’ a tutti.
Da allora la statua del poeta si trova tra i due accessi, molto lontano dal complesso architettonico. Tra l’altro, Piazza Dante sarebbe potenzialmente una meta del turismo di ben più grande interesse poiché vi si affacciano tre chiese monumentali: Santa Maria di Caravaggio, San Domenico Soriano, San Michele a Port’Alba con le omonime porta e via, sedi di antiche pizzerie, librerie e botteghe artigiane. Nonostante l’area sia oggi pedonalizzata, resta un fatto che il lavoro di “restauro” ha eliminato tutti gli spazi verdi per lasciar posto al cemento che oggi ospita, nel bene e nel male, di tutto e di più.
Le vecchie attività di ristorazione, bar, come lo storico caffè Mexico e le librerie Guida, Pironti e Colonnese avrebbero senz’altro meritato una risistemazione più degna per gli imprenditori e più piacevole per il pubblico di turisti e napoletani. La piazza è circondata da bellissimi palazzi storici tra i quali, il Palazzo Ruffo di Bagnara del XVII secolo.
Anche il Chiostro monumentale di San Domenico Soriano si trova in n piazza Dante; l’accesso al chiostro è sia dalla piazza, tramite due imponenti portali, o dal portale situato in vico Pontecorvo. Nel 1808 l’originaria funzione del chiostro fu soppressa; nel 1850 venne adibito a caserma militare, poi a guardia di pubblica sicurezza ed infine ad ufficio comunale. In seguito a queste destinazioni furono apportate modifiche che distrussero il manufatto, la cui struttura può tuttavia essere ancor oggi percepita dietro gli elementi in metallo e vetro che attualmente ospitano gli archivi anagrafici del comune.
Il convitto di cui sopra, divenuto Liceo pubblico nel 1861, ha una storia importante, comunica con l’odierno liceo classico che nel 2010 ha festeggiato i 150 anni, confermandosi come il liceo più antico della città, radicato nel cuore di Napoli.
Il successo del liceo nei decenni che seguirono, favorì un progressivo aumento della popolazione scolastica. L’esigenza di nuovi locali portò alla nascita di vere e proprie succursali: l’Umberto, il Genovesi, il Vico, il Garibaldi e il Sannazaro che solo più tardi acquisirono piena autonomia. In pratica tutti i Licei napoletani sono nati come succursali del Vittorio Emanuele.
Le attività commerciali storiche sopravvissute in Piazza Dante e nelle vie limitrofe sono davvero poche, tra queste, La Timbreria – Tipografia Graziani e la libreria di Tullio Pironti, oggi anche editore. “Cent’anni fa in Piazza Dante in un piccolo chiosco, c’èra un giovane Graziani che con tanto estro e molta passione incideva iniziali intrecciate e stemmi gentilizi su piccoli oggetti d’oro e d’argento. E poi su targhe in vetro opaco e ottone luccicante. Dopo poco si trasferì nei locali al numero 58, perché c’è bisogno di più spazio: arrivarono le macchine tipografiche e i pantografi di nuova generazione, ma la passione e l’estro restarono immutati.
Passano gli anni, si cambiano macchinari, si usano nuove tecnologie: la stampa offset, la digitale, le micro incisioni al laser. Crescono nuovi stimoli, ma soprattutto cresce un bagaglio culturale fatto di esperienze che solo cent’anni al servizio della clientela crea il valore aggiunto che ancora oggi Graziani conserva. Targhe in tutti i materiali, incise o serigrafate”. Ricordo i miei primi biglietti da visita, regalo di mio padre…
Sono invece scomparse le profumerie economiche degli anni del dopo guerra e i giardinetti dove c’era qualche chiosco di bibite e gelati e panchine per incontrarsi e portare i bambini a “prendere aria”. Erano gli anni in cui gli studenti sciamavano all’uscita di scuola verso le pizzerie di Port’Alba per comprare la mitica pizza a libretto con 30 lire e macchiare regolarmente i libri con il pomodoro che colava divorandola a morsi.
A Port’ Alba, a tutt’oggi chiamata dal popolo “Porta sciuscelle”, perché nelle vicinanze c’èra un rigoglioso albero di carrube, ( in dialetto, ’e sciuscelle”) il cioccolato dei poveri, c’è ancora la storica Casa editrice Guida fondata dal capostipite Alfredo nel 1920 che pubblicò testi di Benedetto Croce e l’Opera omnia di Francesco D’Ovidio che valse loro nel 1935, la “Medaglia d’oro” per meriti editoriali alla Prima Fiera Internazionale del Libro di Bruxelles. A due passi, in Via San Pietro a Majella ha sede invece, la libreria editrice fondata da Gaetano Colonnese nel 1965 che divenne immediatamente il principale punto di riferimento per la divulgazione di riviste e libri sul movimento operaio. Gaetano Colonnese, scomparso nel 2004, così raccontava la storia del proprio lavoro: “ la casa editrice Colonnese nasce trentasette anni orsono in quello spazio geografico e culturale, in cui Napoli, nei secoli scorsi, trovò il suo incrocio ideale con altre culture. La connotazione di editore napoletano può, quindi, essere accettata solo in tale contesto, non certamente quale limite compiaciuto che, spesso, viene coniugato da quanti intravedono nella definizione un comodo orpello folclorico. “Perché bisogna leggere, Leggere crea, soprattutto, difese mentali, come testimoniano i prigionieri dei campi di concentramento nazisti. Infatti, quelli a resistere di più non erano i più robusti o temprati dai lavori nei campi e nelle fabbriche. No! A resistere di più erano sempre le persone più intellettualmente dotate, che leggevano e scrivevano. E non smettevano. Ecco perché prima degli altri organizzavano le proprie difese mentali”.
A pochi metri dalla piazza in via Pessina c’èra lo storico Gutteridge, magazzino inglese di tessuti e abbigliamento per uomo e per donna, meta ambita da tutte le ragazze degli anni ’50 – ’60.
Beh, restiamo in zona, ma avviciniamoci al cibo… Nel 1925 Antonio Bellavia trasferì a Port’Alba, zona di Napoli molto caratteristica e pittoresca, i sapori inconfondibili della bellissima Palermo.
Oggi la pasticceria Bellavia si è ampliata e ha sede in diverse zone della città, ma la squisita tradizione pasticcera, che fonde le specialità siciliane e quelle napoletane, è sempre la stessa: cannoli e cassate, sfogliatelle, delizie al limone, pastiere e babà, nemici della linea ed amici del buonumore.
Alle spalle della tipografia Graziani ci sono una via e un vico chiamati “Cisterna dell’olio”, un motivo ci sarà… nella zona vi erano circa otto cisterne per la conservazione dell’olio; le prime quattro risalenti alla seconda metà del XVI secolo (1580) furono costruite dall’architetto Vincenzo Della Monica , le altre quattro risalgono al 1731.
Olio = frittura, condimento sugo, ergo ristorante, ci siamo! Varchiamo la soglia del Leon d’Oro in Piazza Dante al n. 48, il locale, mi raccontano i proprietari , “è sempre stato qui, prima di noi, circa 50 anni fa, c’èra un altro ristorante tipico napoletano “ Il Maranese… guarda caso, proprio qui, il poliedrico patròn del noto ristorante Il Sarago, in Piazza Sannazaro a Napoli, cominciò la sua bella carriera , dalla gavetta facendo il cameriere in piazza Dante, esattamente nei locali dove, nello stesso periodo, il fratello di Salvatore Cuomo, Nunzio, rilevò il locale per aprire il Leon d’Oro, oggi di proprietà di Salvatore e di Antonio Esposito per tutti “Tonino”. I due soci sono qui dentro da quando erano ragazzini a servizio, poi sono cresciuti, il tempo è passato, hanno imparato tanto e circa 40 anni fa, come si dice a Napoli per i bambini che iniziano a muovere i primi passi da soli, ”si sono lasciati”, ovvero hanno rilevato il ristorante e cominciato l’avventura d’oro. Non è tutto oro quel che luccica però, mi racconta Tonino: i sacrifici, le crisi economiche, i falsi allarmi salutistici, loro , però, hanno resistito, ce l’hanno fatta, aprirono tra due “leoni” i ristoranti più famosi della piazza, oggi sono rimastigli unici. La qualità e la fatica premiano. Agli inizi, ricorda Tonino, accettammo la convenzione per gli allievi del Conservatorio di San Pietro a Majella, in quegli anni l’unico del sud Italia e quindi pieno di studenti fuori sede. Molti ex studenti , riuniti nell’ associazione ex Allievi, sono oggi professori al Conservatorio e ancora clienti affezionati del Leon d’Oro.
Il locale è estremamente semplice, sobrio ma, allo stesso tempo, emana sprazzi di vita vissuta da tutti gli angoli: fotografie di attori ovunque, tutti clienti abituali grazie alla vicinanza con i teatri, tra tutti il Bellini. Riconosco tanti volti noti: Gasmann, Gaber, Proietti, Lavia, Ranieri, Rigillo e dulcis in fundo, Eduardo e suo figlio Luca che ancora torna da Tonino quando è a Napoli. La clientela del locale è molto eterogenea. Turisti, affermati professionisti napoletani, il Presidente del Napoli Calcio, molti clienti abituali, ormai amici, che vengono a mangiare qui perché si sentono a casa, entrano e escono dalla cucina, fanno richieste fuori menù, tirano le quattro di notte a chiacchierare con Tonino che è il “nottambulo” della situazione,
mentre, Salvatore è quello che apre il locale la mattina alle 7 e 45, si occupa della spesa quotidiana, aspetta i fornitori, si mette ai fornelli ancora prima che arrivi lo chef di turno. Alcuni piatti, come la genovese, sono di suo esclusivo appannaggio. Il primo è più socievole, chiacchiera con tutti di tutto, mentre il secondo è silenzioso, si muove seguendo un preciso percorso, senza perdere nulla di vista, attento ad ogni particolare.
Entrambi, ciascuno a suo modo, coccolano la clientela, conoscono i gusti quasi di tutti, persino la preferenza di cottura per la pasta, quasi come una mamma di famiglia. Il pavimento è di quelli anni ’50, tipo mosaico veneziano, oggi introvabile, tavoli e sedie in legno, tovagliato a quadretti, bicchieri aa gambo corto, una via di mezzo tra trattoria e ristorante. In effetti ci troviamo in una realtà che è a mezza strada tra la trattoria elegante, intesa nel senso più positivo del termine ed il ristorante. Il locale si sviluppa su due sale, una più grande all’ingresso e la seconda più intima, vicino la cucina e il forno a legna, in tutto un’ottantina di posti in inverno e un centinaio in estate quando compaiono i tavolini in piazza.
Di solito il locale si riempie alle 14 e 30, l’ora di pranzo napoletana, quando si è fuori casa. L’impostazione di sala e cucina con menù preparato dai due soci, carta di buoni vini campani e servizio ineccepibile, farebbe pensare ad un buon ristorante, niente di più, niente dimeno. Invece no: sono le persone, la cucina tradizionale di altissimo livello e gli ingredienti di prima qualità che fanno la differenza. A cominciare dal pane che arriva dal vesuviano e dalle focacce calde appena uscite dal forno delle pizze.
Sì, il locale è anche pizzeria, Tonino e Salvatore ci tengono a sottolineare l’accessorietà della pizza rispetto alla cucina, perché è stata quasi una scelta obbligata, richiesta dalla clientela giovane e dai turisti. Il forno a legna viene però utilizzato anche per la cucina: la parmigiana di melanzane, paste al forno, porzioni “arrepusate” di rigatoni con ragù e ricotta o scodelle di minestre tipo pasta e patate, ceci, o, fagioli. Il passaggio nel forno a legna conferisce un delizioso senso di calore artigianale.
Voglio subito togliervi la paura: per un abbondante e divertente antipasto di fritturine miste fatte a dovere, con spicchi di focaccia cotta a legna, un primo e secondo di terra a scelta tipo, genovese, ragù, polpette, salsicce e friarielli, frutta, dessert fatto in casa e vino della casa del beneventano al massimo arriverete a 25 euro, e, vi assicuro che sarete sazi già dopo l’antipasto. Passato lo spavento, continuiamo a parlare di cucina, gli chef, oltre l’onnipresente mitico Salvatore, sono due: Raffaele Nocerino a pranzo e Ciro Esposito, primo chef, la sera. Il pizzaiolo, Rosario Romano c’è tutti i giorni tranne la domenica. E’ una grande squadra famiglia che sta insieme da oltre vent’anni, tutti uomini… chiedo il perché, stavolta non si tratta di ragioni di spazio, ma di convivenza con le consorti: meglio incontrarsi di sfuggita in casa, al ristorante, dicono ridendo, Tonino e Salvatore “non è cosa.”
Veniamo al menù in bella calligrafia d’altri tempi.
L’antipasto misto, l’abbiamo detto, si compone delle fritturine di casa nel vero senso della parola: piccoli calzoncelli ricotta e salame, crocchè di patate, arancini di riso e mozzarella in carrozza tutto in versione mignon, ma, assolutamente verace.
Poi c’è il buffet dei contorni con una mitragliata di verdure di stagione preparate in mille modi: melanzane a “scarpone”, carote in insalata, zucchine alla scapece con il giusto equilibrio tra agro e dolce, finalmente, consistenti e non mollicce perché sono state fritte ad arte e si sente pure la mentuccia!
L’olio per friggere, mi informa Salvatore, si cambia ogni mattina. Ancora, carciofi alla giudea, melanzane sale e pepe, friarielli, scarole olive e capperi, funghi, la parmigiana no, quella una volta fritta e assemblata passa un attimo per il forno a legna, una delizia. Super tradizionali e fatti a mestiere i primi piatti, le candele spezzate, quelle grandi, con il ragù, penne con la genovese, gnocchi alla sorrentina, spaghetti alla “puttanesca”o ai frutti, di mare, allo scoglio o con le cozze, impepata di cozze, schiaffoni ai frutti di mare, cannelloni, manfredi con sugo e ricotta, lasagna la domenica, in settimana ci sono sempre un paio di minestre, lagane e ceci, pasta e lenticchie, fagioli, verze e riso, pasta e zucca, tubettini con i piselli freschi in primavera.
Nel fine settimana il pubblico giovane aumenta e Tonino, l’anfitrione notturno, lo educa al gusto antico, lasciando da parte per una sera sushi, sashimi, hamburger e patatine, Tonino li delizia con un trionfo di verdure napoletane, il fritto, i maccheroni al ragù, salsicce e friarielli ed è bello vedere, mi conferma il patròn, che poi ritornano con altri amici. Insomma un fine settimana del gusto, stile Slow Food, pura educazione alimentare e lezione, perché no, di storia e tradizioni della propria città.
I secondi di terra sono quelli con la carne del ragù con tanto di braciola di cotica, o il pezzo di muscolo della genovese, le polpette fritte o al ragù,
salsicce, costatelle di maiale tagliate da Salvatore dal pezzo intero di lombata e servita con patate al forno o friarielli.
I secondi pesce rispettano la tradizione, frittura di paranza, di alici o gamberi e calamari, pesci più pregiati alla griglia o al forno ( in media 35 uro al kg), polipetti in cassuola, calamari alla brace, immancabili mussillo e baccalà, in tutte le salse.
Un’altra meraviglia è il piatto che in città solo Mario Avallone della Stanza del Gusto propone: “‘O Roje”, maccheroni freschi con passata di pomodoro, basilico e pecorino, senza olio né strutto. Le tradizioni delle feste si rispettano tutte: a Pasquetta, antipasto della tradizione con ricotta salata, salumi e fave, “casatiello”, fettuccine al forno con sugo del capretto, capretto con patate e pastiera; nel periodo di Natale, baccalà fritto, insalata di rinforzo e struffoli. La frutta è di stagione, in primavera, profumate coppette di fragole al limone.
I dessert fissi in menù: le speciali graffette di patate, fritte girate nello zucchero servite bollenti prima del caffè, dolci ricordi d’infanzia di quando si giocava in ginocchio, mani dietro la schiena, vinceva chi finiva per primo la graffetta appesa ad un filo o, di quando, di fronte ad una montagna di graffine si diceva alla mamma, a bocca piena: ” quetta e batta eh?”
Ancora, crostate di frutta, profiteroles e zuppa inglese. Torniamo per un momento alla disamina del quid: l’antipasto misto di cui sopra costa 6 euro, i primi variano dai 5 ai 7 euro, dagli 8 ai 10 quelli di mare; i contorni tutti 3euro; tra i 5 e i 10 euro i secondi ordinari, a peso il pesce più pregiato, 1 euro per il coperto. Il vero spettacolo è l’asporto per i clienti che sono nelle vicinanze : niente vaschette di alluminio, tanto di piatti, posate e pane. Camminare per la mia città e riscoprire tracce di “napoletanità mai sopìta, solo soffocata dal caos quotidiano, mi provoca una rabbia incontenibile e, allo stesso tempo, mi spinge a credere, magari, con un pizzico di sana fantasia e la spensieratezza del turista di un giorno, che Napoli sia ancora nonostante tutto, la città più bella del mondo, dove ad ogni angolo è possibile scoprire piccoli squarci di paradiso. Tonino e Salvatore, a loro modo, per quanto possono, cercano ogni giorno d’imprigionare un piccolo paradiso, di poche ore, fatto di onestà, buonumore, entusiasmo e passione che riescono a trasmettere a chiunque entri al Leon d’Oro, indipendentemente da quanto questi possa permettersi di spendere per mangiare, uscirà comunque soddisfatto e con un sorriso che l’istrionico Tonino e il silenzioso Salvatore non negano a nessuno. Nonostante tutto, se chiudo gli occhi per un momento, un solo motivo mi viene in mente…
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