Via Caravaggio, 53-55
Tel. 081.7142155
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Nella vita ci sono la bravura e il sacrificio quotidiano, ma anche la fortuna ad avere una intuizione giusta. Chessò, comprare un’azione sfigata e ritrovarsi ricchi.
Enzo Coccia lasciò la pizzeria di famiglia, un po’ come capita a tutti i pizzaioli napoletani, per aprirne una sua in una zona dove non si faceva pizza.
Questa cosa a chi abita a Milano o New York può non sembrare importante, invece in una città come Napoli spostarsi di cinquecento metri significa fare un viaggio di cinquecento anni. Figuriamoci passare da un quartiere all’altro, dalla zona della Ferrovia al Vomero. Due città che si ignorano quasi. Due mondi, anche inflessioni dialettali diverse. Attorno alla ferrovia c’è il napoletano italianizzato dopo la tv, qui tra Vomero e Posillipo l’italiano napoletanizzato.
Poi Enzo pensò che per fare una buona pizza erano necessari ingredienti giusti e iniziò a cercarli. A differenza di tutti i suoi colleghi che aprivano il giorno, lui decise di aprire solo di sera. Quattro tavoli, massimo venti posti tutti stretti stretti.
Il salto è l’apertura della pizzeria su prenotazione, sempre a via Caravaggio. L’unico pizzaiolo con due locali nella stessa strada. Arrivano champagne, vino e birre artigianali e tante pizze di ricerca con prodotti nuovi, oggi si direbbe gourmet.
Nonostante il successo, Enzo ha rifiutato allettanti proposte, come l’ultima di Aurelio De Laurentis di aprire una serie di pizzerie a Los Angeles. Il punto è questo: ricordarsi da dove si è partiti, non farsi ingolosire dai troppi soldi e soprattutto gestire sempre l’impasto perché il cuore della pizza napoletana è questo.
Oggi con i frigoriferi la gestione è più semplice, si governano meglio le lunghe lievitazioni, ma la verità è, come dice lui, che il vero pizzaiolo si vede nella gestione dell’impasto a temperatura ambiente perché le condizioni cambiano ed è qui che si fa la differenze tra un pirla e un pizzaiolo. Un po’ come usare o meno il viagra:-)
Ma la differenza vera è un’altra ancora, me la suggerisce Bruno Petronilli durante una pizziata improvvisata qualche sera fa: Coccia in realtà cucina, non fa la pizza. Ogni elemento è ragionato, non si limita a buttare roba buona sul disco di pasta ben eseguito.
Ancora una volta si dimostra che per saperne di più spesso conviene accompagnarsi a chi ha occhi diversi dai tuoi.
Ed è per questo che possiamo ragionevolmente affermare, seraficamente, che oggi è Enzo Coccia il numero uno. Il Gualtiero Marchesi della pizza napoletana, dunque italiana.
Ed è per questo che è a lui che fa riferimento l’Università di Portici (una istituzione pubblica, non privata finanziata da sponsor) quando studia, ed è lui il primo ad essere stato premiato dall’Associazione Verace Pizza nel giugno 2014.
Nessuno come lui ha inciso nel cambiamento di marcia della pizza napoletana, dialogando con mondi nuovi e prima estranei al disco magico.
Ma la cosa più bella è che quando si va alla Notizia si vive la spontaneità di ogni pizzeria, non ti sembra di entrare in una sala autoptica, ma respiri quel clima vitalistico, giovanile e ormonale che solo le pizzerie napoletane riescono ad avere.
Perché nel dialetto napoletano non esiste la parola cibo, si usa il verbo mangiare. ‘O maggnà:-)
Eh si, quel filosofo della sinistra hegeliana passato a fama mondiale per la frase più stupida che gli sia uscita, ha proprio preso ispirazione da qui:-)))
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