di Monica Piscitelli
Ci sono quartieri popolari e quartieri bene. Quartieri poveri e quartieri benestanti. Poi ci sono i “quartieri e basta”. Che non esistono fino a che non finiscono sulle prime pagine di un giornale per un accaduto di qualunque genere: un arresto, un incidente domestico, un compleanno centenario, una vincita alla lotteria. Case nuove a Napoli è una porzione di quella vasta area che sviluppa intorno dalla stazione centrale e che punta verso il mare.
Non lontano da piazza Mercato, storico centro del commercio cittadino e scenario della rivoluzione di Masaniello, il Corso Arnaldo Lucci, da piazza Garibaldi (un cui angolo desolato è stato recentemente illuminato dallo store della Feltrinelli Express) porta agli ingressi delle autostrade per la fuga dalla città. Mentre imperversano nella piazza della stazione centrale la sequela infinita dei cantieri, continua la vita in questa zona esterna alla cinta muraria antica della città che, almeno fino alla campagna di bonifica realizzata nel XIII secolo da Carlo II D’Angiò, doveva essere un luogo malsano e acquitrinoso. La chiesa intitolata, non a caso, a Sant’Anna alle Paludi era già lì da secoli quando, nella seconda metà del XX, iniziò a crescere il numero degli edifici industriali e per uso civile nei dintorni cambiando i connotati a questa campagna. Il dedalo di vicoli tra gli edifici moderni che si innerva dal Corso, è oggi brulicante di piccoli esercizi commerciali.
Qui, al civico 27 di Via Capaccio Giulio Cesare, La Masardona dal 1945 ogni giorno solleva alle 7,00 del mattino le sue saracinesce per offrire la propria pizza ai primi avventori provenienti dai mercati generali. Siamo in uno dei rari luoghi della città di Napoli in cui la pizza fritta si innalza al rango di arte: solo e caparbiamente lei, mangiata in piedi davanti al banco o ai tre tavolini sul marciapiedi, ma molto più spesso da portar via. Come eccezioni dettate dalla tradizione familiare, il martedì escono i Pagnottielli napoletani (impastati con pepe, sugna, uva, formaggio romano e cicoli) cotti al forno nei ruotini e,il sabato sera, anche i crocchè di patate, le frittatine e gli arancini di riso fatti a mano. D’estate la Pizza fritta “si dà una rinfrescata”: pomodoro e basilico con la ricotta, anche senza cicoli.
C’è da giurarci: durante l’orario di apertura, lo trovate al banco sorridente e indaffarato a manipolare la pizza, Enzo Piccirillo, nipote di Anna Manfredi, detta La Masardona.
Era bambina quando Anna venne soprannominata così da una donna del quartiere per aver portato, con gran puntualità e riservatezza, un suo messaggio a voce ad un’altra donna del quartiere. Per questa “mbasciata” (letteralmente ambasciata, ossia messaggio) aveva meritato di rientrare nel rango dei masardoni, i messaggeri che rendevano possiible la comunicazione tra i briganti rintanati in montagna.
Come molte donne dei quartieri più popolari della città, essendo un’attività che richiedeva un investimento irrisorio (un focone, sugna per friggere, carbone e ingredienti che tutti avevano in casa) aveva iniziato a fare la pizza fritta davanti al suo basso (proprio di fronte al locale attuale) per raggranellare qualche soldo per la famiglia. “Ognuna si assegnava un giorno, in modo da non far concorrenza inutile alle altre. E, a mia nonna, toccava la domenica” continua Enzo. Tra la preparazione dei dolciumi dei Natale, dei tortani a Pasqua e la pizza fritta – preparata con i cicoli, la ricotta e il pepe – era diventata nota nel quartiere, Anna.
“Ho solo affinato la sua ricetta nel tempo alla ricerca di un prodotto eccellente” racconta Enzo che insiste che l’unico modo per assicurarsi che un cliente torni è fare la migliore pizza possibile e fargliela arrivare, se la ordina al telefono, calda e fragrante. Non nega che non sia semplicemente questione di consistenza dell’impasto e che ci sia effettivamente un segreto per fare un’ottima pizza fritta, ma esplode in una gran risata quando gli si chiede quale sia. “Il segreto è che è buona” aggiunge con un sorriso che gli illumina gli occhi chiari. Sono gli stessi occhi della mamma Carmela che mi accoglie a casa sua brevemente per salutarmi, essendo costretta a letto da alcuni anni. Trasferendosi dai padri ai figli l’attività, alla morte della Masardona avvenuta nel 1967, era stato il turno di suo marito, il figlio de La Masardona. Ma nel 1974, molto giovane, Salvatore morì ed era quindi toccato a lei portare avanti la bottega che dagli anni Cinquanta si era spostata definitivamente nel locale deposito di fronte casa, dove è ancor oggi.
Otto anni fa, poi, le è successo definitivamente il figlio Enzo che, già dal 1980, vi lavora in allegria con la preziosa collaborazione della cugine, Rosa Pastore e Rosa Vaccaro, mettendo tutta la sua passione e scrupolo (perfino il packaging della pizza, con l’uso di carta e buste di carta è curato fin nei dettagli). Il risultato è che questo locale, ufficialmente tale dal 1989, propone una delle migliori pizze fritte della città: leggera, fragrante e armoniosa al gusto.
Gli ingredienti, incapsulati tra due dischi di pasta sovrapposti e assottigliati a suon di energiche “polpastrellate” per costituire il cornicione, sono i soliti: ricotta, cicoli, provola e pepe per la “base”; con il pomodoro per la “completa” e, ancora, con prosciutto o salame tipo Napoli a pezzettini, per la versione più ricca. In alternativa, se si preferisce un calzone (fritto anch’esso, ma fatto con un solo disco di pizza ripiegato su stesso e ripieno) più piccolo, si può chiedere un Battilocchio (in altri quartieri chiamato Piscitiello). Tuffata nell’olio, che Enzo cambia ogni giorno, la pizza fritta fa prima una gran spuma e poi comincia a gonfiarsi. Quando ha assunto bel colore bronzeo, ed è ormai un pallone, viene tirata fuori con l’aiuto della schiumarola e dello “spiedo” che sono serviti a girarla.
Per un Battilocchio spenderete 2 euro, per una Pizza fritta e un bicchierino di Marsala all’uovo con il quale i Piccirillo da sempre la propongono, 5 euro. Lo stesso con una bibita a scelta e un euro in più con la birra. Lo stesso prezzo per i fritti al sabato.
La Masardona
Via Capaccio Giulio Cesare, 27
Napoli
tel. 081 281057
apertura: tutti i giorni dalle 7,00 alle 15,30. Il sabato anche dalle 18,30 alle 22,00
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