Pizzeria De Figliole a Napoli
Via Giudecca Vecchia, 39
Tel. 081 286721
Aperto dalle 10:30 alle 22:30 tutti i giorni
di Antonella Amodio
È nel cuore di Napoli che la storia della pizza fritta diventa un mito, un capolavoro della creatività napoletana che nasce nel dopoguerra, quando poter mangiare una pizza era un lusso, perché molti dei forni erano stati abbattuti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e per la mancanza delle materie prime, come il fior di latte e il pomodoro. Così si pensò di friggere nell’olio bollente l’impasto, farcito di ingredienti come il lardo, i cicoli, il pepe e la ricotta, che erano a portata di dispensa a quei tempi.
Il fatto poi che la pizza si gonfiasse durante la cottura dava maggiore senso di sazietà. Profondamente legata alla natura più intima della Napoli popolare, la pizza fritta porta la firma “Dè figliole”, la pizzeria di via Giudecca Vecchia 29, a Forcella, che dal 1860 prepara solo pizza fritta e che le donne della famiglia Apetino portano da sempre in alto.
Oggi a dirigere i lavori ci sono le sorelle Giuseppina, Immacolata e Carmela, che continuano la tradizione di famiglia, iniziata con la bisnonna, che mode e tendenze gastronomiche non hanno mai scalfito. Un classico che non perde mai smalto e che diventa una tappa obbligata per coloro che vogliono mangiare la pizza fritta. Da qualche anno la sala adiacente all’ingresso del locale (dove si prepara la pizza come tradizione vuole, cioè sotto gli occhi dei clienti che attendono in fila per mangiarla per strada, avvolta nel foglio di carta) è stata ammodernata, conservando i pochi coperti.
Le pizze fritte da De Figliole
La proposta è sempre la stessa: Completa, Chicchinese, Soffritto, e Provola e pomodoro, che sono i gusti classici, ma da qualche anno la gamma (se così si può dire) si è allargata alla Scarola, alla Lasagna e alla Siciliana. Oltre alla pizza Completa, ripiena con mozzarella, ricotta, cicoli, salame, pomodoro e pepe, la Chicchinese è la più richiesta, con scarola, acciughe, salame, cicoli, pepe, provola, pomodoro e olive nere, avvolti e sigillati nell’impasto leggero fritto con maestria, senza nessuna sensazione di unto o di pesantezza.
120 grammi di pura meraviglia, una pizza difficile da scordare, che vede tanta clientela partenopea non solo di quartiere, che da oltre 160 anni si ferma per mangiare la mitica pizza fritta De’ Figliole.
Il giovane Carmine Apetino, nipote dè figliole ( nella foto suo padre che si occupa dell’impasto a via Giudecca Vecchia), che gestisce con suo fratello la sede di Casoria, si è classificato primo a La Città della Pizza a Napoli lo scorso 30 Maggio, presentando la pizza fritta Chicchinese. Buon sangue non mente.
Non lontano dal Castel Capuano, il più antico maniero della città di Napoli nel quale ininterrottamente per 500 anni (dalla costituzione del Vicereame, dal 1503 fino al 2007) ha avuto sede il Tribunale, e dal dedalo di vicoli che si dipana dal Decumano Maggiore, discesa Via Pietro Colletta, si arriva a Forcella.
A demarcare l’ingresso del popolarissimo quartiere che ispirò a Vittorio de Sica il primo degli episodi del suo “Ieri, Oggi e Domani”, nella Piazza Calenda, ci sono alcune pietre incorniciate da una balaustra. Si tratta del famoso “Cippo a Furcella”, ovvero di una porzione dei resti dell’antica cinta muraria della città. I napoletani lo tirano in ballo nei propri discorsi ogni qual volta vogliono riferirsi a una cosa antica. Dire “si ricorda O’ cipp’ a Furcella” è quasi un modo per liquidare un ricordo, per banalizzarlo in virtù del fatto che è superato, vecchio.
A pochi passi da qui, c’è Via Giudecca Vecchia e, al civico 36 di questa, un locale che è uno dei riferimenti per i patiti della pizza fritta: la Pizzeria “De’ Figliole” (“Delle bambine”). A fondare il locale, intorno al 1860, nel Vasto (nei pressi della Stazione centrale), fu la mamma del signor Gennaro Apetino, nonno delle signore Giuseppina, Immacolata e Carmela che lo portano avanti oggi insieme al nipote Francesco e ai fratelli Ciro e Gennaro (questi, maggiore dei figli e padre di Francesco). “Il nonno Gennaro lo dedicò all’epoca alle sue figlie femmine: Anna, Antonietta, Nunzia e Rita”. E’ Francesco, “Franco”, con la zia Carmela, la più giovane delle “Figliole” che si alternano al banco, a raccontarmi la storia.
Nel ‘45, la pizzeria, a causa dei danni subiti nel corso dei bombardamenti della guerra, si trasferì a Via Enrico De Nicola dove rimase fino ai primi anni Settanta. Le foto dell’epoca rendono bene l’idea di un locale molto popolare, dove la pizza fritta era distribuita in strada da un bancone – vetrina per pochi soldi: 30, 50 lire.
“Nel 1973 il mio bisnonno decise di riconsegnare la licenza, s’era stancato, essendo già anziano” prosegue Franco. Fu allora che la figlia Antonietta, con il fratello Pasquale, decise che era il momento di assumerne il controllo mettendosi alla ricerca di una nuova sede. Cosi’ si trasferirono a Via Giudecca Vecchia, dove il locale si trova tuttora. “Mia nonna Antonietta, donna di gran forza, ha dato grande impulso al locale. Ricordo – racconta Franco – che negli ultimi anni si lamentava: ‘ma come è che tutti parlano della pizza Margherita – diceva- e nessuno della pizza fritta?”.
La domanda era lecita. Il locale, in effetti, rappresenta un unicum: non una pizzeria dove si fa, come nella gran parte, la pizza fritta, ma un locale che serve e prepara solamente pizza fritta, componendo in maniera diversa i classici ingredienti base: ricotta, cicoli, salame, fiordilatte, pomodoro e pepe; oltre a provola, scarola e olive nere. Null’altro, oltre le bibite, arriva in tavola nella piccola sala da 30 posti.
L’impasto, di cui si occupa il giovane Franco, è fatto molto semplicemente al mattino con il lievito di birra e lasciato lievitare il tempo necessario, a seconda delle condizioni climatiche, per circa 6 ore. I primi clienti reclamano la propria pizza già dalle 11,30:
chiamando al telefono, calando un paniere, sedendosi a un tavolo o semplicemente affacciandosi al bancone che divide la parte destinata al pubblico, da quella della cucina. “Signo’, fatemi una pizza da 1 euro e 50!” fa un anziano cliente mentre chiacchiero con Carmela.
Lei si mette all’opera e tira fuori da sotto il banco due panetti di pizza da circa 130 grammi (più piccoli di quelli usati per la pizza comune). Li stende sul banco di marmo; ne farcisce uno con ricotta, qualche cicolo e poco fiordilatte e poi lo copre con l’altro, sigillandone i bordi. Dopo averla tuffata nell’olio e rigirata accuratamente, sgocciola la pizza su un vassoio e ne fa un cartoccio per il signore che va via proferendosi in grandi riverenze.
“Ma una pizza da 1,50 (non striminzita) in cosa si differenzia da una che costa il doppio? E com’è una pizza che costa quattro volte tanto?” mi chiedo. Osservare gli Apetino e far due chiacchiere con loro mentre lavorano apre la mente su quello che la pizza fritta rappresenta: un culto, una tradizione e soprattutto una specialità frutto di un’arte del far pizza che sta a sé e che come tale meriterebbe uno studio specifico.
Ogni comanda, in questo locale, è una storia a parte almeno per due motivi, se non tre. Primo, abbiamo detto, il prezzo, che è oggetto di contrattazione.
Sebbene i quattro tipi di pizza fritta serviti (“Completa” – con ricotta, cicoli, salame, pomodoro, provola e pepe; “Scarole” – con scarole crude, acciughe, olive nere e pepe; “Chicchinese” ossia “con tutto e niente” – che unisce le due precedenti; e, infine, “Salsicce e friarielli”) costino 3 euro (1 euro in più al tavolo), alcuni vecchi clienti, o i loro discendenti, utilizzano ancora la vecchia maniera: ordinano la pizza con il prezzo che vogliono spendere. E, per questa ragione, si vedono consegnare un prodotto che ha quantità inferiori degli ingredienti e composizione variabile in base alla richiesta. Poi c’è il secondo aspetto: la modalità di chiusura della pizza. “Quello di usare due panetti sovrapposti è il procedimento per la classica pizza fritta – mi racconta Carmela mentre tuffa la pizza nella friggitrice dove bollono di continuo 20 litri d’olio, tirandola “per le orecchie” (in modo che la pasta si assottigli).
Ma a volte – continua- i clienti ci chiedono “O Piscitiello”, ovvero il Calzone classico, a forma di mezzaluna”. E’ quest’ultima la pizza fritta che si mangia in tutte le pizzerie della città. Per il calzone, il panetto di pizza (dalle Figliole due messi insieme) è steso, farcito e ripiegato su se stesso.
E’ su questo, su questa differenza – che si apprezza al gusto (relativamente al primo dei due procedimenti) con un cornicione più abbondante e croccante – che si gioca la partita della specializzazione del locale. “Le possiamo differenziare – dice Franco – perché noi facciamo, e vogliamo fare solo questo: la pizza fritta”. La pizza De’ Figliole è semplice e gustosa. L’obiettivo (centrato) è quello della croccantezza dell’impasto e leggerezza del fritto il cui segreto, racconta Carmela, è che “il ripieno sia perfettamente sigillato tra i lembi di pasta e che nessun foro si apra, dando accesso all’olio”. Il che significa uniforme stesura della pasta.
In un ultimo scambio di idee, Franco confessa che può, forse, sembrare limitante che un locale come il loro faccia solo la pizza fritta. Gli fa eco Carmela “molti dicono ma perché non fate pure questo? E quello?”. Io non trovo le parole per dire quanto questa loro semplice scelta, frutto di una coerenza che discende solo dal proprio albero genealogico, abbia senso. Grazie a loro, da oggi in avanti, nutro per la pizza fritta un novello rispetto.
Pizzeria De’ Figliole
Via Giudecca Vecchia 39
Tel. 081 286721
Chiusura: domenica
Pizza e birra (servizio incluso) 5 euro e 50.
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