Una delle piazze più belle d’Italia. L’obelisco di San Domenico, il fascino degli imponenti palazzi nobiliari. Dal Quattrocento all’Ottocento un trionfo di storia e architettura. E poi la vivacità delle due vicine università e la golosità dei dolci da passeggio della Pasticceria Scaturchio.
E già da qualche anno, in quelle che furono le stalle del quattrocentesco Palazzo Petrucci, il ristorante bomboniera dello chef Lino Scarallo, una stella Michelin nel 2009, cuore e testa nel ventre di Napoli.
Con questo freddo, data la sua passione per le zuppe, siamo andati a trovarlo per un po’ di conforto e per dare un’occhiata al menu invernale.
L’ambiente è sempre molto caldo e raffinato. Il servizio, grazie al maestro di sala Maurizio Amabile, è competente e attento. Proprio come ci si aspetta in un ristorante così, non c’è domanda che resta inevasa. Anche il giovane sommelier, Ciro Potenza, ha grande dimestichezza che traduce con garbo in consigli e delucidazioni. Una lista dei vini ben organizzata con spumanti italiani e bollicine francesi in apertura, il giusto spazio ai prodotti del territorio campano, con un occhio attento, in particolare, all’Aglianico e al Taurasi. In carta anche una buona birra – pure millesimata! – dalla Cornovaglia, che abbiamo provato.
L’aperitivo – non un prosecco, vivaddio – è uno spumante rosée, da aglianico, della Masseria Frattasi offerto con dei grissini fatti da Lino. Il benvenuto è un ricco e opulento tris di sapori mediterranei: si va dalla mozzarella di bufala con gambero crudo e germogli, al mantecato di ricotta e astice con pistacchi su scarolina riccia, all’acciuga sulla patata. Il pane sia di farina bianca che integrale è, in una parola, strepitoso.
A questo punto si sono già acquisiti i fondamentali sullo chef. Sapidità, mineralità, il vegetale che ripulisce e rinfresca. Il mare sopra ogni cosa.
Tra gli antipasti proviamo il timballetto di friarielli e scampi con zuppetta di aglio, musetto di vitello e confettura di peperoncino. Tanto sapore nella verdura, cotta a puntino, scrigno di carattere per i crostacei, con il giusto piccante ad equilibrare il piatto. E con la memoria, felicemente stuzzicata, che va al sapore dell’«o’ pere e ‘o musso» ai banchetti delle fiere di quando si era ragazzi.
Infallibile, come sempre, il capitolo zuppe. La zuppa di patate con trota affumicata scatta in piedi decisa grazie alla sapidità iodata delle alghe croccanti e, soprattutto, alla freschezza dello zenzero fresco. Un piatto confortevole ma non seduto.
Superando l’atavica idiosincrasia per qualsiasi formato che vada al di sotto dello spaghetto (almeno) numero 5, proviamo i capelli d’angelo (una trafila a metà tra capellini e spaghettini) con verza al profumo di timo lime, lumache di mare, alghe croccanti e ravanelli. Un riuscito gioco di contrapposizioni, con il sapore della verza ben addomesticato dallo iodio e dalla freschezza un po’ amara dei ravanelli. Indovinato anche l’agrumato dell’erbetta aromatica.
Tra i secondi, la versione classica ma alleggerita del baccalà arrostito, servito con una insalatina di papaccelle fresche profumate alla lavanda, acciughe e aceto di aglianico. Qui purtroppo un incidente di percorso: il baccalà è piuttosto salato e l’acciuga e l’aceto non aiutano a recuperare. Anzi.
Rilettura di un classico anche per l’altro secondo piatto: l’agnello con pecorino e menta viene servito con il suo prosciutto e delle albicocche passite. La carne è tenerissima, cotta al punto giusto e il prosciutto ha un gusto gagliardo che si fa ricordare. Di conseguenza, però, l’albicocca non riesce a venir fuori come dovrebbe.
Dopo un sorso di freschezza, con il predessert all’ananas, si passa al capitolo dessert, punto di forza dello chef. La sua stratificazione di pastiera napoletana è ormai un dolce cult. Ma Lino non ha mai smesso di comporre e scomporre, aiutato dalla tradizione barocca della sua città. E così, per esempio, ha ridotto in crema il roccocò – dolce tradizionale natalizio per sua natura croccante e “irriducibile” – servendolo in un cannolo e profumandolo al limoncello. Buonissimo. Golosa e fresca, invece, la goccia di cioccolato fondente ripiena di cremoso leggero al cioccolato bianco con dentro un cuore di lamponi, servita con una salsa di finocchio candito.
Chiuderete più che soddisfatti con la piccola pasticceria e un signor caffè.
Accanto al nostro tavolo, intanto, i due rubicondi ospiti British, che sembrano appena usciti da un romanzo di Anthony Trollope, si alzano soddisfatti, riponendo in borsa l’imbattibile copia della Rossa. Hanno già deciso. «We are coming back tonight».
Piazza San Domenico Maggiore, 4
Tel. 081.5524068
www.palazzopetrucci.it
Chiuso domenica sera e lunedì a pranzo
Alla carta, sui 50 euro.
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