Via Pignasecca 14
tel. 081.551.1993
Aperto a pranzo Chiuso: domenica
orario tripperia 8,30 -20, 30 non stop
Ferie: 2 settimane in agosto
Carte credito, bancomat: no
di Giulia Cannada Bartoli
Torniamo in Pignasecca, stavolta è un’altra storia. Un’ulteriore leggenda narra che il nome della via derivi dall’antipatia congenita che gli abitanti delle scale di San Giovanni ai Monti e del Corso Vittorio Emanuele, nutrivano per quelli della via sottostante, ufficialmente, via Portamedina; onde evitare che le masse del popolino salissero le scale verso i quartieri nobili, venivano colpiti da un “bombardamento” di pigne secche. Facciamo un salto di un centinaio d’anni e ci ritroviamo nel 1927, quando Pasquale Fiorenzano, classe 1897 fondò una prospera attività destinata ad allargarsi e diramarsi , sempre in via Pignasecca in tante attività dello stesso settore, gestite dai membri della numerosissima famiglia. Nel 1927, nasce Emilia, la secondogenita di altri tre fratelli, Gennaro, Vincenzo e Antonio, oggi scomparsi. Pasquale scompare invece nel 1964. L’anno dopo, gli eredi di Emilia, moglie di Gioacchino e madre del nostro Antonio, prendono la gestione di un grande centro, ingrosso e dettaglio di vendita di trippa e frattaglie, tramandato in famiglia da oltre ottant’anni. Sempre nel 1965 i figli di Emilia si separano solo formalmente,(di fatto si tratta di una delle prime “holdings”, pioneristica, quanto singolare… difatti, l’oggetto sociale è lavorazione, vendita e attività di ristorazione dedicata in un primo tempo, solo a trippa e frattaglie, successivamente il cerchio si chiuderà con l’apertura della friggitoria e di un’altra tripperia). Nel 2010 s’inaugura a Capua il più grande impianto di trasformazione a livello industriale del Sud Italia, Vinci-Cif s.a.s dedicata allo zio del nostro Antonio, Vincenzo, quartogenito di Nonno Pasquale, fondatore e socio di maggioranza fino alla sua prematura scomparsa.
La produzione è assolutamente artigianale. Parliamo della trippa e delle frattaglie e della loro storia. Si tratta di un cibo antico e povero, molto richiesto a Napoli, in Campania, in Italia e all’estero. Oggi viene venduto in varie tipologie: crudo, cotto, sottovuoto e cotto in atmosfera modificata. Nel crudo rientrano “nido d’ape, musso di bovino, trippa e fogliolo; nel cotto: trippa e fogliolo, musso di bovino, fogliolo tradizionale, testine d’agnello, centopelli, piedi di maiale ( ‘o pere ‘e puorc’), testine di bovino, trippe centopelli e musso, fogliolo pelato bianco;in atmosfera modificata: trippa e fogliolo, fogliolo pelato bianco, trippa e fogliolo pelato naturale, trippa natural , piede e muso (‘0 pere e ‘o musso); sottovuoto: trippa di coppa naturale, trippa di testa di bovino, coppa di testa di maiale, piede di maiale, piede di bovino, muso di bovino, gelatina con carne (antico piatto napoletano e flegreo “ ‘a liatìa)”, zuppa di soffritto, muso, zampa e trippa sott’olio.”
Torniamo alla trippa, la parola pare derivare da diversi ceppi linguistici e significa ventre di grossi animali.
La trippa è una frattaglia, più precisamente, costituita dalle diverse parti dello stomaco del bovino, o meglio dei quattro stomaci dell’animale: il rumine, il reticolo, l’omaso (foiolo, millefoglie o centopelli) e l’abomaso o, lampredotto. La trippa è un alimento tradizionale di molte regioni d’Italia. In particolare a Milano la busecca è considerata talmente emblematica della milanesità che l’epiteto busecconi (“mangia-trippa”) è diventato uno scherzoso nomignolo per i Milanesi. Inoltre, il famoso proverbio romano “nun c’è trippa pe’ gatti” è stato inventato verso i primi del ‘900 dal sindaco dell’epoca Ernesto Nathan, quando dovette eliminare dalle voci di bilancio le spese dedicate ad alimentare una colonia di gatti randagi. I modi e le ricette per preparare la trippa sono tantissimi, partiamo da fuori regione: trippa alla fiorentina, alla parmigiana, maccheroni con la trippa e, in Normandia, trippa alla moda di Caen. Si tratta in sostanza di piatti rispettivamente tipici di Firenze (trippa a striscioline aggiunta ad un soffritto di cipolle, carote e sedano Si aggiungono pomodori pelati e si lascia cuocere fino a far ritirare l’acqua Si serve calda, spolverata con pepe, volendo parmigiano grattugiato e un filo d’olio); Trippa alla parmigiana,tipico della cucina parmigiana, ricetta antica e povera, si fa con diversi tipi di stomaco bovino. La trippa viene cotta alungo e si chiama “alla parmigiana” perché dopo essere stata cotta viene servita con grana. Si mangia al cucchiaio con brodo; si possono aggiungere verdure come pomodori e cipolle per insaporirla; Maccheroni con la trippa, una zuppa della cucina savonese, tradizionalmente preparata per il pranzo di Natale, composta da trippa, salsiccia e maccheroni; infine una ricetta francese, Trippa alla moda di Caen, piatto tipico della cucina di Normandia realizzato a partire dai quattro stomaci del bovino. Il consumo della trippa in Normandia risale almeno al medioevo, visto che è noto che Guglielmo il Conquistatore la consumasse accompagnata da succo di mele, oggi sidro. A Napoli le tre ricette più note sono: Trippa al sugo, “ ‘a zuppa ‘e carnacotta” e la zuppa marescialla. La prima ricetta assomiglia alla trippa alla parmigiana e si prepara con trippa centopelli, pomodori pelati, olio extravergine, basilico, peperoncino e spolverata finale di parmigiano o, pecorino.
In Italia, il consumo di trippa è molto elevato, viene adoperata in almeno 19 regioni.
Torniamo a Napoli: ‘ A zuppa ‘e carnacotta”, 68 per la smorfia napoletana, è un piatto antico e poverissimo, prevede trippa mista, freselle o pane raffermo, alla fine un po’ di pepe e parmigiano a piacere. La zuppa va servita caldissima, a mestolate, su poche freselle (dal latino frendere= spezzettare) o fette di pane biscottato in un’ampia ciotola, accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso. Questo piatto rappresentò per anni, specie nei mesi invernali, il gustoso pasto della povera gente e dei salariati.
Molto nota a Napoli è la zuppa ‘a mariscialla.
In origine molto simile alla prima, prevedeva, oltre alla trippa mista, in particolare cientopelli e lampredotto l’aggiunta di erbette e spezie; oggi si aggiungono anche pomodorini del piennolo, carote, sedano, e patate. Una volta cotta, va tagliata a striscioline molto sottili. Proprio da questa pratica, deriva il termine “a marescialla”. A Napoli una volta esistevano i ventraiuoli, cioè venditori ambulanti che, su attrezzati carrettini trainati a mano, servivano le trippe ben affettate e ridotte in piccoli pezzi, disposti su fogli di carta oleata, da mangiare con le dita senza l’aiuto di posate, cosparsi di parecchio sale ed irrorati con succo di limone; i ventraiuoli spesso affettavano la trippa lessata “pariata e cientopelle”, in strisce larghe e lunghe come i galloni dei marescialli dell’epoca murattiana quando questi indossavano pompose divise. Indimenticabile la loro voce:”Tengo o musso, o pere ‘e puorco, ‘o callo ‘e trippa!”.Il “ventraiuolo” è un mestiere di origini molto lontane : l’antica nobiltà, infatti, considerava « il piede e il muso» del maiale, la trippa e le interiora come parti di scarto, un’offesa al gusto. La servitù, che viveva all’ombra di tanta ricchezza, alle prese con la sopravvivenza quotidiana, dove tutto si mangia e nulla si butta, imparò ad apprezzare anche queste pietanze “povere”, oggi tornate di moda nelle tante interpretazioni del quinto quarto di noti chef dell’alta ristorazione.
Torniamo ad Antonio e Gioacchino: in seguito alla divisione delle attività di famiglia, Antonio, appena ventenne, apre, nel 1972 con mamma Emilia e papà Gioacchino la tripperia “Le Zendraglie” in via Pignasecca al civico 14. A loro si aggiungerà, circa 25 anni dopo, Liuba, oggi moglie di Antonio, bionda moldava doc di Valcinet, appasionatamente “acclimatata” in Pignasecca. Liuba si esprime infatti, in dialetto “napulitano” deliziosamente contaminato dall’accento; i clienti la adorano grazie alla sua spontaneità e gentilezza. Liuba è avvezza a stare in cucina , poiché la sua famiglia, secondo usi locali, spesso va a cucinare presso case di altri. Antonio, cerca di non darlo a vedere, ma… “gelosissimo è”.
I Fiorenzano sono nati in Pignasecca, naturalmente la casa è a tre passi dalla trattoria, si dice a Napoli “casa e putèca”J . La sala superiore è minuscola: quattro, cinque tavoli per circa venti persone; la cucina è a vista dietro le vetrate. Al piano di sotto un’altra saletta con altrettanti posti a sedere. Antonio mi dice – non m’interessano i grandi numeri, io punto sulla qualità del cibo e dei clienti. Sono le 13, 30…capisco cosa intende il nostro “carnacuttaro”, la piccola sala si affolla in pochi minuti: professionisti, avvocati, qualche giornalista, impiegati di banca, medici del vicino ospedale dei Pellegrini e qualche straniero intimidito, ma, curioso.
Il servizio, pur semplicissimo, è attento e garbato. Tovaglie a quadretti in carta, hotellerie a mezza via tra ristorante ed osteria. Bicchieri da trattoria per un più che discreto vino bianco di Terzigno. Se avete tempo, la vostra pausa pranzo può durare anche tre ore, sarà un tempo di sano divertimento e ritorno all’antico. L’osteria è nella guida Slow Food e Gambero Rosso da diversi anni. Ci sono tanti aneddoti divertenti, come quello relativo ai cani accettati nel locale e sistemati al piano di sotto. Liuba serve loro … “pere e puorc” con un bel ciotolone d’acqua fresca, naturalmente gratisJ I Fiorenzano, oggi divisi in diverse attività al dettaglio, tutte in Pignasecca, sono la memoria storica dell’arte della tripperia e da un bel po’ di anni anche della cucina tradizionale e della friggitoria, lo “street food” napoletano.
I primi anni sono dedicati soprattutto alla vendita al dettaglio di trippa, affiancata dalla preparazione delle ricette tradizionali di cui sopra, poi, dalla metà degli anni ’90, si affianca la cucina napoletana di tradizione.
Il termine “Zandraglia”, è legato a doppio filo con la trippa…
A Napoli infatti, sin dal 1600, dalle porte e dai balconi delle cucine reali e dei nobili venivano gettati alla plebe, in segno di magnanimità di Sua Maestà, le frattaglie e le interiora degli animali macellati e cotti nelle reali cucine. I cuochi napoletani “francesizzati” dalla collaborazione con i Monzù, i grandi cuochi chiamati a Napoli da Parigi, (dal francese Monsieur) gridavano “Et voilà, les entrailles, magnatevelle!”
Si rivolgevano a coloro, soprattutto donne che, con modi sguaiati e grida, si affannavano a raccogliere gli avanzi davanti alle porte delle nobili cucine. Le Zendraglie erano quindi quelle donne del popolino che dai Quartieri scendevano a Palazzo Reale e aspettavano fuori dalle cucine. Da quest’uso deriva il detto“Sì na zandraglia” , uno dei peggiori termini dispregiativi che si possa usare verso una donna. Le Zendraglie in via Pignasecca oggi è una delle ultime vere botteghe di carnacuttaro, una figura ormai molto rara, che esercita il mestiere in un locale con tanto di posti a sedere e di pentoloni pieni, appunto, di carne cotta, trippa al sugo, soffritto, musso e callo ‘e trippa, in insalata, o, cacio e uova. Qui la materia prima è rispettata al massimo, niente additivi per pelarla o gonfiarla. Dall’ultima ricetta deriva un altro antico proverbio napoletano: “T’a faje cu ll’ove ‘a trippa”! Significa letteralmente “Te la fai (te la prepari) con le uova la trippa!” Così, con ironia e sarcasmo, ci si rivolge a chi si è cacciato nei guai o si trova in una situazione rischiosa.
Papà Gioacchino si occupa del banco in mattinata, sostituito poi, fino a sera da Antonio e Liuba che vola tra cucina, sala e banco di vendita. Ecco, la cucina: pura e antica tradizione napoletana. In inverno prevalgono i piatti “trippaiuoli”, bollenti e piccanti, come lo spaghetto con il soffritto di produzione propria, una panacea contro il freddo. Poi si passa agli antichi primi e secondi della cucina di città: genovese e ragù con le rispettive carni, pasta al forno, tante minestre: pasta e patate con provola, pasta e fagioli non manca mai e poi ceci, piselli freschi, lenticchie o, zucca. Per i secondi invernali si va sulla carne, salsicce, bistecche, il mitico “stentiniello o’ furno co’ ‘e ppatane”, che da solo vale la visita. Le carni sono accompagnate da ricchissime e fantasiose insalate opera di Liuba, l’esteta di famiglia. D’estate si punta sul mare, antipasto misto con freschissimo polpo all’insalata , alici e salmone fresco marinati a mestiere.
Il pane, croccante ancora caldo, arriva da un antico forno a pochi passi, nato negli stessi anni di Fiorenzano ovvero, oltre ottant’anni fa,
specialista nei fantastici taralli napoletani “‘nzogna e pepe”.
I latticini, provola e fiordilatte sono di Vico Equense (Monti Lattari) mentre, la mozzarella di bufale è aversana. I contorni sono di stagione e spesso utilizzati, come peperoni e melanzane anche per i primi piatti.
I primi estivi sono classici e abbondanti:
I secondi di pesce sono freschi e particolari, sempre pesce azzurro, ad esempio pesce bandiera al forno o fritto, che Antonio si procura da amici pescatori di Mergellina, ancora ricci e cozze di scoglio di Pietrasalata a Posillipo, alici fritte, e dulcis in fundo:i “carnummoli” rari frutti di mare somiglianti ad un sasso, dalla polpa carnosa e squisita. E la zuppa di pesce con tutti i crismi: lucerna, tracine, pinterrè,(donzella) scorfano nero, polpo, cozze di scoglio e “scunciglie” (paguro bernardo) senza gusci.
La pasta viene da uno dei migliori pastifici di Gragnano, l’olio extravergine arriva direttamente da un frantoio pugliese, e si sente, eccome se si sente.J Antonio e famiglia sono molto attenti alla qualità del prodotto, ma, anche al rapporto prezzo/qualità: ad esempio un’abbondante porzione di veri paccheri di Gragnano con spada e melanzane vi costerà 10 euro. Non potevano mancare stocco e baccalà, spugnati benissimo, e preparati nei modi tradizionali: in bianco con le olive, fritto, in cassuola o arrosto, al forno con le patate o, con i ceci. Il menù, l’avrete capito, non esiste, la Pignasecca è un mercato a cielo aperto, appena serve qualcosa si esce e si compra, senza accumulare mai nulla, nel rispetto della sana filosofia partenopea: “’ccà è comm’ ce scetammo’ ‘a matìna”. Se, poi serve qualcosa si esce un momento e si compra. In media si preparano sei o sette tipi di primi e sette, otto secondi. Il resto, soprattutto i piatti di pesce e verdure, si preparano al momento secondo le richieste dei clienti, prenotati o estemporanei.
Sono sicura che qualunque piatto assaggerete, rimarrete soddisfatti e farete come me…
I dolci sono acquistati dalla mitica signora di Scaturchio in via Portamedina, ovvero in Pignasecca nei pressi della Cumana e della funicolare.
La tradizione però va rispettata, ergo pastiera ( spesso disponibile) e struffoli sono di casa, come alcuni dolci di tradizione moldava preparati da Liuba, che ha imparato a fare il caffè meglio dei napoletani. La grappa è spesso offerta dalla casa.
La frutta è sempre di stagione, acquistata dal miglior fruttaiolo della Pignasecca…
How much? Resterete a bocca aperta (non certo per la fame): antipasto salmone, alici e polpo in insalata, primo piatto di pasta di cui sopra, trippa al sugo o in altro modo, frutta e caffè, pagherete tra i diciotto e i venti euro, vino e allegra baruffa a tavola tra Antonio e Liuba compresi nel prezzo…
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