Via Bernini 42
Tel. 338 93.38.810 Aperto a pranzo e cena ( 12,00 – 16,00 ; 19,00 – 23,30)
Chiuso Domenica sera e Lunedì sera
Asporto:si
Carte di Credito Bancomat: no
Ferie: 10 giorni variabili dopo Ferragosto
Piazza Vanvitelli è l’icona chic del Vomero, uno dei salotti di Napoli, insieme con via Scarlatti, oggi oasi pedonale dedicata allo shopping e spesso a performance di artisti di strada, e via Gianlorenzo Bernini, forma il vero cuore del quartiere; sì, perché ci sono i vomeresi puri, residenti da generazioni, in queste vie e nelle parallele vicine, e i vomeresi acquisiti, quelli arrivati dopo, con l’espansione urbanistica. I vomeresi purosangue sono molto sensibili da questo punto di vista, guai a fare confusione. La prima è dedicata al grande musicista trapanese Alessandro Scarlatti, la seconda a Gianlorenzo Bernini (Roma, 1612 – Roma, 22 dicembre 1681) architetto, ingegnere e scultore italiano. Nel 1648 assistette alla sistemazione dell’obelisco della Fontana dei Quattro Fiumi e completò, insieme al fratello, il Sepolcro di Urbano VIII in San Pietro. Durante il pontificato di Alessandro VII fu nominato architetto delle acque, nel 1657 assunse la carica di custode vaticano e supervisore al completamento della Cattedra di San Pietro. Nel 1677 fu responsabile per la conduzione dell’acqua nelle fontane di Piazza San Pietro.
La piazza è a pianta ottagonale e vi s’incrociano le due principali strade di cui sopra; è dedicata al grande architetto Luigi Vanvitelli tra le cui molte opere si ricordano la Reggia di Caserta e il Foro Carolino. La piazza nasce negli anni Ottanta del XIX secolo, grazie ad uno dei tanti interventi eseguiti per il Piano di Risanamento e Ampliamento, infatti nel 1885 viene progettato il nuovo rione del Vomero che prevede una sistemazione ortogonale delle vie. Punto d’intersezione degli assi principali del nuovo quartiere è proprio piazza Vanvitelli. Già nel 1889 le strade principali del quartiere sono tracciate; esse sono dedicate a trentasette importanti artisti, scultori e pittori, tra i quali, appunto, il Vanvitelli. Nominiamone alcuni per completezza: Massimo Stanzione (Orta di Atella 1585 – Napoli 1658), a lui si devono alcuni preziosi affreschi della Certosa di San Martino a Napoli.
Ancora Francesco Solimena noto come l’Abate Ciccio (Canale di Serino 1657 – Napoli 1747). Artista prolifico, si formò presso la bottega del padre Angelo, a Nocera Inferiore, rifacendosi dapprima alle opere di Francesco Guarino e successivamente, trasferitosi a Napoli, cominciò a guardare con interesse alla pittura scenografica e fantasiosa di Luca Giordano, artista al quale è intitolata un’altra via centrale del Vomero.
Torniamo ai nostri giorni, nel dicembre del 1976 fu posta dall’allora sindaco Maurizio Valenzi, in Piazza Medaglie d’Oro, (l’opposto nord di piazza Vanvitelli) la prima pietra della Metropolitana Collinare, terminata dopo alterne vicende e polemiche nel 1993.
Dall’apertura della stazione della metropolitana, Piazza Vanvitelli è divenuta un luogo d’incontro di moltissimi giovani, provenienti anche delle fasce suburbane, in maggioranza dalla zona di Napoli Nord, contribuendo alla difficile vivibilità del quartiere, in particolare durante i fine settimana. Veniamo alla nostra tappa low cost, si trova proprio all’inizio di via Luigi Bernini: prendendo come riferimento piazza Vanvitelli e l’omonima fermata della metropolitana, troviamo La Cucina di Elvira, a meno di cento metri sulla nostra mano destra. Il Vomero non è più quello di una volta, strade e viali stile liberty, tranquillità e coralità allo stesso tempo, quando i rapporti umani di quartiere avevano un’importanza fondamentale e tutti si conoscevano, non ci sono quasi più. Oggi anche le vie di cui sopra sono una “casbha” invasa da paninerie, focaccerie, kebab e cibi global di ogni specie. Se non fosse per qualche piccola storica oasi, come Teresa in Via Kerbaker dal 1913, e Gorizia in Via Bernini dal 1916,, e la Cucina di Elvira dall’ inizio degli anni 90, non avremmo scampo.
A differenza di Teresave Gorizia, la famiglia Granata – Vitale non appartiene ad alcuna generazione di osterie o trattorie d’epoca. Il papà di Elvira rivestiva la carica di Console dei Lavoratori del Porto di Napoli. Nei grandi porti italiani, nel 1929 i lavoratori portuali furono raggruppati, secondo la diversa specializzazione di lavoro, in Compagnie aventi personalità giuridica propria, sia per esercitare il lavoro portuale come maestranza, sia per esercitare funzioni di vere e proprie imprese di sbarco e imbarco assumendone rischi e oneri. Alla Compagnia era affidata l’esclusiva delle operazioni nell’ambito del porto. Nel porto di Napoli furono costituite quattro Compagnie. Reggeva e amministrava ogni Compagnia, un Console e uno o più Vice-consoli, eletti dai lavoratori iscritti alla Compagnia. Il Console curava la gestione del patrimonio e dei redditi del lavoro e provvedeva alla distribuzione dei lavoratori in squadre e al loro avviamento al lavoro.
Nulla a che vedere con la cucina dunque, se non quella appresa da Elvira dalla madre, nonne e zie varie. Altrettanti dicasi del papà di Vincenzo, dipendente dell’Alfa Romeo fino al passaggio di quest’ultima al colosso Fiat-Lancia: per lui, come per molti altri, la vera Alfa Romeo era morta nel 1986.
Dunque, prima del matrimonio, Elvira, con otto tra fratelli e sorelle diventa cuoca di casa, – a tavola, mi racconta – non eravamo mai meno di venti persone, fino a sessanta nelle occasioni e durante le feste. Vincenzo, invece, ha accumulato parecchi anni di esperienze varie in diverse tipologie di locali a Napoli. Amore a prima vista, i due vomeresi doc decidono di unire “casa e pùteca” (abitazione e bottega) ed ecco la nascita de La Cucina di Elvira, trattoria a gestione familiare dedicata esclusivamente ai sapori e ai piatti della più verace tradizione partenopea. Vincenzo ed Elvira sono animati da un fuoco ardente, la passione per la cucina: le cose o si fanno, o, non si fanno. La gestione è molto rigorosa e l’arte culinaria non sgarra di una virgola dalla pura tradizione della memoria familiare e popolare.
Il locale non è grande, ma, ben articolato: all’ingresso, il bancone da lavoro con il forno a legna utilizzato per molti scopi, in primis il pane; l’impasto è un segreto di Vincenzo, fatto sta che all’uscita della teglia dal forno s sparge nell’aria un aroma primordiale, l’odore del pane, sapore di casa d’altri tempi.
L’arredamento è amorevolmente semplice, carta da parati come le vecchie sale da pranzo, tavoli e sedie in legno, “aglie, cuorn’ e fravaglie” e foto di Totò sparse ovunque.
Mise en place minima, tovaglie di juta e copri tavola in carta a quadretti. Attenzione superiore alla norma per piatti e posate: cocci personalizzati, o, vetro trasparente i primi, in acciaio inox le seconde. I bicchieri sono i classici da osteria.
Beh, entriamo nella sostanza: il menù è praticamente sterminato, nulla è impossibile. Si parte dallo strepitoso bancone di contorni e secondi pronti di giornata, la fame si scatena solo a guardarli. Sono esattamente quelli descritti da Santa di Salvo nel suo articolo de Il Mattino dello scorso 12 agosto, la cui copia, troneggia in cornice al centro della sala.
Il banco sempre in ordine è una tentazione irresistibile, è la Napoli dei “mangia foglie” all’ennesima potenza: broccoli, scarole, spinaci, cime di rapa, carote in insalata, verdure grigliate, peperoni in padella, o, imbottiti, melanzane a funghetti, zucchine alla scapece, e poi i secondi impossibile da preparare espresso: carne del ragù, della genovese e indimenticabili polpette al sugo. Dulcis in fundo: Sua Maestà la Parmigiana di melanzane. Cotta in pyrex è talmente bella e profumata da rubare la scena a tutto il resto.
Mi guardo in giro e adocchio un quadretto ricamato a mano, una caffettiera napoletana con tanto di tazzulella…chi l’ha fatto? Donna Elvira dalle mille risorse, e ancora non avete visto niente…
Naturalmente, i veri ricami di Elvira, Enzo e Wanda nascono in cucina…
Il piano superiore, dove c’è la grande cucina fornita di tutto, è la sala dei bottoni, una fucina senza pause, che sforna meraviglie, quasi tutte espresso. Il segreto sta nel fare una buona spesa mi raccontano Vincenzo ed Elvira: acquisti frequenti in quantità limitate, niente stoccaggio, se un piatto è terminato, niente da fare, non ce n’è per nessuno. Elvira ormai ha memorizzato alla perfezione le quantità necessarie, ad esempio, in una settimana per il ragù ci vogliono trenta litri di passata di pomodoro, manco a dirlo, fatta in casa, le vecchie care bottiglie di una volta. Anche i barattoli di pomodorini per l’inverno sono preparati in famiglia. Per la genovese oltre venti chili di cipolle rosse o ramate ( occhi gonfi di pianto). Enzo va a fare la spesa con la sua “vesparella” due volte al giorno, banco per banco, negozio per negozio, sceglie solo ciò che gli piace, altrimenti desiste :-)
Carne e pesce arrivano da fornitori di lunga data. Addirittura – mi racconta Enzo – Elvira quando ha tempo, prepara le salsicce da sola, con il budello e le diverse parti tritate di carne di maiale. In cucina il burro è bandito, solo olio extra vergine. Unica eccezione la bolognese per la quale Elvira adopera tutti e quattro i must: olio, burro, pancetta e sugna, ovviamente di casa, utilizzata anche per il ragù, tirato con vino bianco e concentrato di pomodoro.
Anche la pasta fresca è fatta in casa, sono allibita, questa donna è una forza della natura.
Il menù enciclopedico prevede circa una ventina di primi ed altrettanti secondi tra mare e terra al giorno, oltre al pantagruelico buffet di cui sopra, self service o a richiesta. Insalate freschissime e patatine fritte naturalmente di casa, vengono preparate al momento. Persino due o tre tipi di risotto si possono ordinare espresso. Risotto agli spinaci, risotto alla pescatora su richiesta preparato con il brodo di pesce. Il locale ha circa quaranta coperti, intorno alle 14, 00, ora di punta napoletana, è spesso difficile trovare posto, a meno che non ci si anticipi con una telefonata a volo o, si opti per l’asporto. Per le fritture Elvira adopera soltanto olio extravergine d’oliva, come per i carciofi indorati e fritti serviti bollenti, una vera poesia. I carciofi fanno parte del fritto all’italiana, che, su richiesta, la magica Elvira prepara esclusivamente in casa: arancini, crocchè di patate, mozzarella in carrozza, zucchine indorate e fritte e chi più ne ha, più ne metta. I clienti passano al volo dal bancone e addentano un pezzetto fumante: aùmm!
I primi di terra sono i classici della tradizione, oltre alla pasta al ragù, o, genovese, tutte le minestre con i legumi, i mezzani lardiati, e i bucatini o ziti con il coniglio all’ischitana, pasta e zucca, pasta e fagioli o lenticchie, mezzani allo “scarpariello”, bucatini con il soffritto, ovviamente fatto da Elvira, fagioli e scarole, orecchiette con i broccoli, linguine alla puttanesca, bucatini con salsicce e pecorino o alla carbonara. Ancora, trofie con pesto fatto in casa e i mitici “ziti ‘o puveriello”: con uova, strutto, parmigiano, o, pecorino grattugiato. Si cuociono gli ziti al dente, intanto in una padella si mette lo strutto e si prepara l’uovo all’occhio di bue;si scola la pasta e vi si unisce l’uovo e il condimento, spolverando abbondantemente di formaggio grattugiato e mescolando il tutto. Pepe a piacere. Un piatto antico e povero, nel senso di semplice, perché come amo ripetere con Federico Valicenti, la cucina povera non esiste, è conosciuta solo da chi non ha nulla: solo la fame. Menzione speciale per la pasta e patate con la provola, uno dei fiori all’occhiello del locale, se ne consumano una ventina di chili a settimana. Ancora i piatti sontuosi della cucina dei Monzù: pasta al forno, sartù di riso, gattò di patate, manfredi con ragù e ricotta fresca, gnocchi di casa, cannelloni e crostata di tagliolini, lasagne solo a Carnevale.
I primi di mare dipendono dal pescato del giorno.
La pasta si compra ogni giorno nella quantità necessaria, Rummo e De Cecco, nessuna scorta a terra.
Tra i secondi di pesce, spada alla griglia, baccalà in tutte le salse, pescato del giorno all’acqua pazza, al forno o alla brace ed indimenticabili alici fritte o in tortiera. La carne, di ottima qualità, viene proposta anche in taglio da mezzo chilo alla brace, naturalmente fuori dal prezzo del menù. In carta invece ci sono i classici: la braciola, la carne alla pizzaiola, il fegato con le cipolle e un fantastico brodo di carne preparato con la corazza, per il quale i clienti impazziscono. Straordinaria la mozzarella di bufala, Vincenzo non svela il caseificio neanche sotto tortura. :-)
I dessert, strepitosi, sono dominio di Wanda, Enzo e l’aiuto pasticciere, il giovane Luigi: dolci di casa , dei ricordi familiari. tiramisù, il mitico salame di cioccolato con i biscotti Oro Saiwa,
il liquore e il cioccolato fondente, tiramisù spettacolare, notevole e originale il pasticcio di limone, oltre alle tante crostate di frutta sfornate da Wanda. La frutta è sempre locale, fresca e di stagione.
Ancora enormi porzioni di home made profiteroles, una versione nostrana di cheese cake che preferisco chiamare torta al formaggio. A Natale e Pasqua che dubbio c’è? Struffoli e Pastiera. Elvira, Vincenzo & family, sono vomeresi doc: gente che fatica circa diciotto ore al giorno, persone umili, schive, appassionate, ricche di umanità da regalare ai propri clienti, ormai amici, per la sola gioia di compiacerli con i sapori della Napoli vera, quella che dobbiamo difendere a denti stretti. Il divanetto della foto di copertina è il luogo di riposo un po’ per tutti, a casa si va solo per dormire.
Il loro obiettivo non è certo il lucro, pur offrendo materie prime superlative, qui il menù completo oscilla tra gli otto, nove euro infrasettimanali ai tredici del fine settimana e dei giorni festivi, i ricarichi sono minimi: niente coperto e servizio, un euro la piccola minerale, due per la grande; tre euro e mezzo per la caraffa da 750 di vino, un euro e mezzo per la birra, un euro per il caffè di casa. Insomma un autentico salvadanaio in questi tempi di “porcellum”…
Il locale è dotato di un grande schermo al plasma per una sola ragione: le partite del Napoli. Quando gioca la squadra del cuore il locale apre all’orario della partita, anche alle sei del pomeriggio. Mise en place bianco – azzurra per il club spontaneo di aficionados. Si guarda la partita, si esulta, s’inpreca, ci si racconta la vita del quartiere, poi si festeggia o ci si consola tutti insieme, uniti dai sapori indimenticabili dei piatti di Donna Elvira. Non sono ammesse porzioni normali, con una portata mangiano tranquillamente due persone. Senza tema di smentita attribuisco alla famiglia Granata – Vitale l’oscar del rapporto prezzo – qualità, della simpatia, della calorosa e sincera accoglienza senza distinzione alcuna: servizio garbato e coccoloso per tutti: “che ci vogliamo mangiare oggi?” domanda Vincenzo, volando da un tavolo all’altro. L’oscar vale soprattutto per il fatto che il locale è spesso gremito di famiglie con bambini e adolescenti che divorano piatti di spaghetti con i polpi, ragù, pasta al forno, gnocchi e polpette… altro che trash food gommoso e globale J. Qui la gente, ride, è felice almeno per un momento, tutto quello che è fuori per ora non conta, il tempo si è fermato.
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