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Chiuso il lunedì, aperto la sera
Scheda del 20 giugno 2009. Napoli è stata una città sempre al passo con i tempi, direi ha dettato spesso i tempi, almeno in Italia e in Europa: i primi grattacieli nel ‘600, la prima ferrovia, la prima cattedra di Economia, il primo Orto Botanico, il primo Acquario, il primo Osservatorio Astronomico. Ed è proprio il concetto di modernità la sintesi dell’esperienza gastronomica nel ristorante dell’Hotel Romeo, il cui nome, paradossalmente, richiama una fase storica in cui Napoli si è maggiormente rattrappita nella sua stanca oleografia come risposta alla decadenza iniziata con l’occupazione piemontese e proseguita poi per tutto il ‘900. Ma essendo questo albergo hi-tech niente altro che la moderna e maniacale ristrutturazione del Palazzo del Comandante Lauro, non poteva chiamarsi altrimenti.
Ritorniamo un attimo sulla modernità. La Campania, più che Napoli, esprime sicuramente grande aggiornamento e molto entusiasmo in cucina, riesce a fare tendenza in Italia, anche nel negativo con le tragiche uscite su Striscia. Ma a nostro giudizio qui ci troviamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo, capace di raffreddare negli anni ciò che fino a ieri, dico ieri, era trendy. Non è la tradizione svecchiata nel piatto con la tecnica e la presentazione, non è il gioco, a volte un po’ furbo, di riproporre scherzando antiche e sapienti esecuzioni in modo nuovo. E non è, ovviamente, la filologica riproposizione acculturata dei propilei su cui si è costruita l’unica tradizione gastronomica urbana seria in Occidente, oltre quella parigina ovviamente.
Il fatto è che il giovanissimo Andrea Aprea, 32 anni, è napoletano nato in pizzeria, ma a 17 anni ha iniziato a girare per tornare a dicembre 2008, quando ha aperto il ristorante. Vedete un po’: The Fat Duck di Heston Blumenthal e The Waterside-Inn di Michel Roux, in Italia a Palazzo Sasso di Ravello e al Bulgari di Milano. Dunque il suo palato ancestrale incontra le tecniche moderne, misura le esigenze del giro gourmet internazionale, fa esperienze tristellate, e nella terrazza al decimo piano con vista sul porto e sul Vesuvio riesce a riallineare la cucina partenopea con quella europea mantenendo il carattere saporito nei piatti grazie all’inserimento di ciò che è ancora valido di questo enorme giacimento gastronomico. La differenza sottile è questa: non c’è l’idea di proporre il proprio codice papilloso per farlo apprezzare, quanto, piuttosto, di usarlo in un circuito di tipo nuovo nel quale rientrano sicuramente l’idea classica e salsata francese di cucina ma anche quella vaporosa ed estetica spagnola e, in sintesi, di tutta la comunità dei cuochi cresciuta negli ultimi dieci anni. In fondo, proprio quello che realizzarono i monzù nell’800, la prima nouvelle cousine in Italia.
Per fare due esempi concreti: il raviolo con stufato di manzo alla genovese con composta di barbabietola e spinacini ai pinoli è un piatto riconoscibile e ampiamente comprensibile per chi è napoletano, ma incrocia perfettamente il gusto del fondo bruno, e che fondo bruno, del palato nordico e mittel-europeo. Mentre la vellutata di mela verde con scampi, yougurt e bottarga, presentato come primo, è una incredibile esplosione di life style metropolitano, ossia salute e sapore.
Quei bei fondi bruni celtici e la freschezza asiatica del latte fermentato, cosa di più opposto e conciliabile?
E ancora, niente sconti sulla carne, qui la reperibilità è solo al Nord, l’agnello è irlandese, ma su pesce e verdure (citiamo la frittura di paranza su insalatina di patate, peperoni di Senise, i cruschi, e agreto di limone) siamo decisamente con i piedi nell’acqua del Mediterraneo.
L’esperienza è unica. Al piano terra c’è il sushi con la consulenza di Zero di Milano, e ho detto tutto. Prenderete un aperitivo al bar e poi l’ascensore al decimo piano. Qui inizierete contemporaneamente vari percorsi, quasi una esecuzione orchestrale il cui motivo portante sono naturalmente i piatti. C’è chi vi penserà solo per gli oli, almeno un paio tra i migliori in Italia, chi per le acque, con una carta ad hoc, mentre la brava sommelier Mara Savino, figlia della nostra cara Maria Rina del Ghiottone di Policastro, fidanzata con Andrea, vi segue sul vino attraverso una carta curiosa, con ricarichi onesti, solida e ampia, soprattutto su Campania e Francia, Alessandro Passagrilli detta i tempi dell’abbinamento dei pani con i piatti, poi vi proporrà distillati o tisane a seconda della vostra disponibilità giudiziosa. E per chi fuma, persino la sala per perseguire con calma il proprio suicidio senza dare fastidio a nessuno.
Ma adesso vediamo un po’ il menu. Quattro quelli degustazione.
Quello di mare, 100 euro: Capesanta in sfoglia di pancetta, piselli “morbidi e insalata” e caviale di storione bianco, Frittura di paranza su insalatina di patate, peperoni di Senise e agretto soffice di limone, Vellutata di mela verde, scampi, yogurt e bottarga, Riso carnaroli alla vaniglia, ostriche e frutto della passione, Triglia su panzanella, puntarelle all’olio di acciuga e salsa all’aglio dolce, Ricciola, pappa di fagiolini, zafferano, pesto di uvetta e pecorino giovane, Pre dessert Ananas limone e cocco.
Ed ecco il vegeteriano a 70 euro: Cannolo di foglia di latte, mozzarella di bufala, zuppetta di pomodoro e pesto di basilico, Fettuccella di Gragnano, parmigiano tuorlo d’uovo e tartufo estivo, Mezzi paccheri di patate, pappa di zucchine, pinoli tostati e pecorino giovane, Il mio orto colori e sapori…, Pre dessert, La diplomatica di ciliegie, ricotta di bufala e gelato al fior di latte.
Il tradizionale napoletano a 80 euro: La frittura di paranza su insalatina di patate, peperoni di Senise e agretto di limone
Cannolo di foglia di latte, mozzarella di bufala, zuppetta di pomodoro e pesto di basilico, Ravioli con stufato di manzo alla genovese, composta di barbabietola e spinacini ai pinoli, Filetto di scorfano su zuppa d’acqua di mare, insalata di patate, salicornia e olive nere, Vitello in sfoglia di pane, pizzaiola di peperoncini verdi e bocconi dorati di provola affumicata, Pre dessert, Cannoncini ai formaggi morbidi, composta di pere, cioccolato e bolle di vino bianco speziato.
Infine quello di terra a 90 euro: Biscotto alle noci con tartare di manzo, uova di quaglia, funghi porcini e zabaione all’aceto invecchiato di Modena, Cannolo di foglia di latte, mozzarella di bufala, zuppetta di pomodoro e pesto di basilico, Fettuccella di Gragnano, parmigiano, tuorlo d’uovo e tartufo estivo, Ravioli con stufato di manzo alla genovese, composta di barbabietola e spinacini ai pinoli, Vitello in sfoglia di pane, pizzaiola di peperoncini verdi e bocconi dorati di provola affumicata, Lombo d’agnello in crosta di pinoli, zucchine “arrosto e escabece” jus al sentore di menta, Pre dessert, La mia torta alla vaniglia e fichi.
Alla carta si mangia sui 100 euro.
Lo stile si pone il conseguimento pratico mito della semplicità. C’è un solo sapore su cui si punta nel piatto e attorno si costruisce la trama in base al principio di amplificazione piuttosto che quello di compensazione. E la grande abilità di Andrea, come dell’excutive sous chef Ciro Petrone, del sous chef Rocco De Santis e dalla brava chef pasticcere Elnava De Rosa, sta proprio nella sublimazione di questo principio. Il piatto ricciola, pappa di fagiolini, zafferano, pesto di uvetta e pecorino giovane, in mano a qualche chef improvvisatore diventerebbe un pasticcio mentre qui tutti gli elementi, compreso il formaggio, valorizzano la sapidità del pesce. E vi parla uno che storce il naso persino anche quando al mare si unisce solo olio di oliva.
E se la frittura di paranza ci riporta tutto sommato a esecuzioni già misurate, il sorbetto al mango (no, non parlo dei Reisling…:-) con pesca e bon-bon alla vaniglia determina un nuovo stacco rispetto al gruppone.
In finale, l’esperienza è appagante, tridimensionale, completa. Economica.
Certo è una gran comodità per me avere questo locale vicino al giornale, ma non è questo l’aspetto personale che regala contenuti alla chiusura. Bensì la considerazione che uno dei modi per misurare l’imprenditore è la motivazione dei suoi dipendenti: non conosco Alfredo Romeo, il mio naso di ex cronista giudiziario annusa assoluzioni e non luoghi a procedere da qui ai prossimi dieci anni, ma devo dire che ha avuto il merito di mettere insieme una grande squadra di giovani trentenni entusiasti e competenti. Nonostante la violenta bufera giudiziaria, a nessuno di loro è stata mai data la percezione che gli accordi e gli impegni presi sarebbero venuti meno. Quando si dice, scusate: le palle.
Sul piano storico, quando sarà, scriveremo che fu lui a portare la moderna gastronomia in città inserendo Andrea in quel filone costituito dall’incontro tra la materia prima meridionale e lo stile di cucina e di impostazione nord-europeo che vede in Oliver Glowig del Capri Palace, Christoph Bob del Relais Blu, e soprattutto Heinz Beck, protagonisti di questo profondo cambiamento culturale.
Qui un bel reportage fotografico di Viaggiatore Gourmet
Ah, si. Per quelli dei corsi di recupero: conto 147 euro vino incluso.
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