Questo sito è media partner, come dicono i fighetti, delle degustazioni di 20 Champagne organizzate da Adele Chiagano e Mauro Erro all’Enoteca DivinoinVigna a Napoli. Più semplicemente, l’iniziativa ci è piaciuta, riteniamo le bollicine francesi la punta più alta del pensiero filosofico occidentale e la sosteniamo. Ecco il resoconto
Il grande successo della Champagne si traduce in trecento milioni di bottiglie l’anno vendute, il 23% del mercato globale francese, metà delle quali varcano i confini: l’Italia uno dei principali mercati. Produzione frutto di 33.000 ettari vitati, un’ascesa dal 1950 ad oggi che ha visto triplicare la superficie, divisa in 260.000 possedimenti unici suddivisi tra 15.000 proprietari.
2.600 gli imbottigliatori, di cui 2000 recoltant manipulant, 150 le cooperative che assorbono 3.000 viticoltori e, infine, le grandi Maison in mano a grossi gruppi finanziari, possessori solo del 10% del vigneto Champagne, ma che producono il 75% del fatturato totale, il cui 90% è destinato all’export.
Una serie di numeri impressionante che raccontano più di qualsiasi parola il successo di un territorio e la conseguente, ahinoi, deriva rivelata magnificamente da Samuel Cogliati nel suo libro denuncia sul sacrificio di questo terroir (Champagne, il sacrificio di un terroir, ed Porthos) in nome dell’iperproduttività: tanto per citarne una, per decenni, i viticoltori hanno cercato di restituire materia organica ad un territorio massacrato dall’utilizzo di diserbanti, fitofarmaci, fertilizzanti e concimi di sintesi chimica, un territorio che sin dagli anni ’80 nel passaggio delle maison dalle storiche famiglie alle multinazionali, divenne prima di Bordeaux laboratorio dell’industria biotecnologica, enologica e chimica, attraverso lo sversamento di rifiuti solidi urbani. Molta plastica e poco organico, ovviamente. Pratica vietata, grazie a Dio, attraverso un decreto ministeriale del 26 febbraio 1999.
Basterebbe questo fatto per immaginare le idiosincrasie nonché i luoghi comuni che riguardano la Champagne, un territorio per certi versi saccheggiato – la resa per ettaro supera spesso i già abbondanti 150/q.li e la resa in vino ha toccato quota 89 ettolitri nel 2004 – e che oggi si cerca di tutelare.
Un vino, lo Champagne, sì di territorio, ma anche espressione di massima maestria tecnica dell’uomo (che si traduce nello stile della casa), tecnica capace spesso di celare la scarsa qualità del vino soprattutto al consumatore che inebriato dalle bollicine, facilmente “le beve”.
Il divieto di diserbo chimico in un lungo periodo dell’anno, l’obbligo all’inerbimento almeno delle bordure sono alcune delle modifiche che le istituzioni stanno apportando, ma soprattutto, la consapevolezza di tanti piccoli vigneron e produttori sempre più attenti, orientati spesso al biologico se non al biodinamico, sono il tentativo di salvare un territorio fino ad oggi troppo sfruttato.
Martedì 29 giugno, il secondo appuntamento: come si produce uno Champagne e il suo glossario.
Camille Savès Carte Blanche 1er cru brut (Pinot nero 75% – Chardonnay 25%) @@@ ++
La famiglia Savès opera a Bouzy dal 1894 e oggi è Hervè a condurre un domaine di circa dieci ettari, impiantati a Pinot Noir nei territori Grand Cru di Bouzy, Ambonnay e Tours-sur-Marne e Chardonnay nei territori Grand Cru di Bouzy e 1er Cru di Tauxieres
Naso grasso, ambivalente nelle giovani nuances e nei toni tostati e di frutta secca. Un’ambivalenza che si rivela anche al palato, sì carnoso, ma con un “dosaggio” non perfettamente integrato a nostro parere.
Etienne Lefevre Carte Blanche Grand Cru brut (Pinot Nero 90% – Chardonnay 10%) @@@@
Récoltant Manipulant di Verzy Lefevre è un produttore di champagne della zona della Montagne de Reims dove possiede parcelle di vigneto sui migliori pendii.
Di assoluta personalità, che ovviamente divide : o lo si ama o lo si odia. Mineralità sassosa allo stato puro, erbe aromatiche, profilo olfattivo tagliente, ma di abissale profondità. Bocca asciutta, di beva talmente facile quanto preoccupante.
Henri Chauvet Blanc de Noirs brut (Pinot Nero 90% – Pinot Meunier 10%) @@@ 1/ 2
Discendente da una famiglia di vivaisti e viticultori Henri Chauvet inizia a produrre champagne nel 1990; i vigneti, per un’estensione di circa otto ettari, sono tutti nella zona di Rilly la Montagne
Chauvet sta al blanc de noir come un fantasista al giuoco del calcio. Naso gaio, floreale, fruttato, grasso con l’aumento della temperatura. Palato largo e lungo, senza picchi, ma di rassicurante beva. Questa bottiglia è sempre un buon affare.
Benoit Lahaye Rosè de maceration @@@ ++
Azienda di Bouzy, tutta biodinamica che si sviluppa su 4,5 ettari. Un rosè de Saignée (la Champagne è l’unica zona dove è permesso la realizzazione del rosato attraverso la miscelazione dei vini. Il roseè de saignè indica invece la produzione attraverso la diretta pressatura o macerazione di uve a bacca nera – pinot nero) dal naso corpulento, rigoglioso di frutto croccante. Palato grasso e appagante da abbinare a piatti abbastanza succulenti.
Henri Chauvet Millesime 2004 Cuvèe Blanche (Chardonnay 100%) @@@@
Di complessità e finezza evidentemente superiori rispetto ai precedenti, si spazia in un profilo olfattivo estremamente ampio e, forse, non del tutto compiuto. Al palato ha grandissima stoffa e cremosità, sorso possente come ci si aspetta da uno chardonnay in purezza e in attesa, con un ulteriore affinamento in bottiglia, dello slancio finale.
La sorpresa
Benoit Lahaye Grand Cru millesime 1998 (Pinot nero 70% – Chardonnay 30% – sboccata il 12/10/2008) @@@@ ++
Da Bouzy ci si attende sempre intensità ed opulenza, non nel caso di questo produttore che spicca per eleganza e sottigliezza. Ma è al palato che conquista questa bottiglia (di sole 500 prodotte), un palato sontuoso, tanto appagante all’ingresso, nella leggiadria, nel tocco, nell’orizzontalità del centro bocca, quanto nel finale elastico, irto, acido/minerale. Naso sottile e dinamico, un continuo alternarsi di fresche fragranze, sbuffi floreali e toni fumé e di frutta secca, di austera, ma allo stesso tempo sbarazzina beltà.
Chi avesse la fortuna di averne ancora qualche bottiglia può ancora attendere prima di tirarle il collo.
Sempre che resista
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