Incastonato nell’arco di Porta San Gennaro, la più antica aperta sul lato nord nella antica cinta muraria di Napoli, c’è un affresco che rappresenta la Vergine opera di un artista maledetto. Mattia Preti lo dipinse nel 1656 dopo la pestilenza che colpì la città per salvarsi la vita avendo, il Vicerè, commutatagli la pena che avrebbe messo fine ai suoi eccessi per sempre nella realizzazione di una serie di opere a soggetto sacro.
Uomo dal coltello facile, l’artista calabrese era stato messo in salvo dal consiglio di una cortigiana che aveva portato all’attenzione del Vicerè le capacità artistiche del condannato a morte e lo spreco che la sua eliminazione avrebbe rappresentato. Tanto fu grande l’apprezzamento riscosso dai lavori del condannato a morte che, alla fine, oltre a pagare il suo debito con la giustizia, il Preti intascò perfino una ricompensa. Non si sa bene quanto ci sia di vero nella storia di come a pennellate l’artista ripulì la sua fedina penale ma, per certo, ripresa da un articolo de Il Mattino del 1998, non sarebbe balzata agli onori della cronaca se un pizzaiolo non si fosse ricordato chiaramente che da bambino quelle macchie di colore ancora appena visibilicomponevano, un tempo, l’immagine della Madonna degli Appestati.
Riportata alla luce dopo essere stata ripulita da decine d’anni di fuliggine, quell’opera oggi risplende nelle notti di chi percorrendo Via Foria alza lo sguardo sull’antica porta per ammirarla. La famiglia Capasso, titolare della omonima pizzeria, ha con essa un rapporto particolare non avendo esitato a devolvere un incasso del locale pur di sollecitare la Sovraintendenza a interessarsene.
Il locale è tra i più antichi della città e strettamente connesso ad un’altra pizzeria molta apprezzata della stessa famiglia, nel quartiere Fuorigrotta, famiglia che per un errore di registrazione all’anagrafe, da un certo momento in poi della sua vita (e ancor oggi) si vide cambiato il cognome in Cafasso.
A raccontarmi la storia del locale è Giovanni Capasso che, da un paio di anni, andata in fumo una brillante carriera in un’importante compagnia a causa della crisi, ha deciso di dedicarsi definitivamente, con il cugino Gaetano e il padre Vincenzo, al più solido affare di famiglia: la pizzeria che la nonna, donna Adele Lieto, creò intorno 1900 in un angoletto di Via Foria.
“Siamo pizzaioli per parte di nonna anche se il nonno Giovanni, che la conobbe quando era un giovane capofabbrica, divenne poi molto bravo anche lui” racconta Capasso che ricorda anche come i Lieto fossero una famiglia di antica tradizione nella lavorazione della pizza e che avessero un locale al Vasto dal 1847.
Dall’unione dei due erano nati otto figli, dei quali tre – Giuseppe, Vincenzo e Antonio, avevano intrapreso il mestiere dei genitori. Il locale, alla morte del nonno Giovanni (essendo Donna Adele scomparsa giovane), fu preso in mano da Giuseppe insieme ai due fratelli ma poi, nel 1956, Giuseppe si mise in proprio fondando il citato locale di Fuorigrotta.
“Quando entravo dietro il banco per aiutare mio fratello, ricordo, mi facevo il segno della croce. Lo chiamavano il geometra per la perfetta rotondità delle sue pizze. Era un insopportabile pignolo ma anche un grande pizzaiolo, il migliore” racconta il signor Vincenzo, papà di Giovanni, che ancor oggi, con i suoi oltre ottant’anni, presidia il locale tra la cassa e il banco sfoggiando un’espressione amabilmente arcigna, ghigno che gli è valso la parte del cattivo, quella di Cutolo, nel recente film di John Turturro “Passione” (sotto al minuto 2,30 circa, la scena Na tazzulella e’ cafè).
E’ lui ad aprire ogni mattina il locale e a preparare le pizze per la vetrina che i ragazzi all’uscita di scuola prendono d’assalto mentre, all’interno, Gaetano (il figlio di Antonio), e un altro pizzaiolo già approntano le pizze (lievitate circa 8 ore e piuttosto grandi) ed escono dalla cucina i piatti per il pranzo.
Il locale, che è anche ristorante, con una cucina incentrata sui piatti della tradizione e sul pesce, nasce con 7-8 posti a sedere e, a partire dalla secondo dopoguerra, è stato ampliato includendo i locali dell’abitazione di famiglia. Oggi, conta oltre 100 posti interni e circa 40 esterni ed è meta di una clientela tanto affezionata che i Capasso hanno deciso di istituzionalizzare le pizze preferite dei più instancabili tra essa.
Nascono così la Sollazzo, metà Margherita e metà con ricotta e mozzarella, dal nome di un regista cliente; Pinto, fritta e ripiena ricotta, salame e mozzarella, da quello di una famiglia che viene sempre il sabato; Madre in onore del Museo di arte moderna e dei suoi dipendenti, che la gradiscono con i peperoncini verdi.
La scelta è ampia nel menù illustrato, ma i cavalli di battaglia sono per i Capasso la “pizza da passeggio” (servita fuori); il Fagottino di Gennarino con rucola, prosciutto, pomodoro e mozzarella; la Doc con mozzarella e filetto di pomodoro; il Ripieno con scarole e provola. Al ristorante, per lo più piatti tradizionali: tra i primi, dagli Spaghetti aglio e olio agli Gnocchetti con fagioli e crema di pesce; tra i secondi Pesce al forno o alla griglia, Zuppa di cozze e Polpette al sugo o Filetto di maiale. Pizza e birra (le più comuni sono disponibili) 10 euro circa servizio incluso. Al ristorante: circa 25 euro dall’antipasto al contorno, servizio incluso.
Pizzeria Capasso
Via Porta San Gennaro, 2
Napoli
tel. 081.456421
Chiusa solo il martedì la sera
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