Trattoria Castel dell’Ovo – ‘O Tabbacaro
Via Luculliana 28
Tel. 39+081. 764 63 52
Aperto pranzo e cena dalle 13,00 – dalle 20,00
Giorno di chiusura: giovedì
Carte di credito , Bancomat no
Asporto: no
Ferie no, tranne un caso…
di Giulia Cannada Bartoli
La classica cucina di mare di Napoli non tramonta mai. Al contrario di quanto succede quotidianamente davanti la pletora di locali “acchiappa turisti”, se ci s’ addentra più all’interno nella piazzetta del Borgo, ci s’imbatte in una trattoria storica: ‘ O Tabbaccaro, oggi Locanda Castel dell’Ovo. Il nome originario si deve al fatto che nel 1920, Luigi e Francesca Conte furono i primi ad aprire una rivendita ufficiale di tabacchi in questa zona.
Quando Francesca e Luigi si ritirarono dall’attività, subentrarono naturalmente Anna e Giovanni, genitori di Luigi, Rosaria e Rita, i titolari di terza generazione della locanda. Luca, marito di Rosaria, si occupa con allegria e competenza della sala e – a chi gli chiede da quanti anni lavora qui – risponde : “ non me lo ricordo, faccio parte dell’arredamento”!
Francesca e Luigi all’inizio degli anni ’20 gestivano solo la tabaccheria, poi, passata la mano ad Anna e Giovanni, si cominciò con birre fredde e taralli, ed infine i primi piatti cucinati “ ‘a zuppa e cozze e ‘a capunata”.
Con l’arrivo di Luigi e Rita in cucina si passa definitivamente alla trattoria: Anna si occupa della cassa e della sala, Luca è il fantasioso tuttofare in sala, ha occhi dappertutto, tra i circa trenta coperti in inverno e 50 dalla primavera in poi, quando si possono metter fuori sedie e tavoli. La natura familiare dei rapporti fa sì che le cose flino sempre lisce, se capita qualche incidente di percorso, lo si chiarisce subito e amici più di prima.
Torniamo per un momento alla storia recente del Borgo: progettato alla fine dell’800 su un riempimento (colata a mare del Risanamento) fu costruito per realizzare case popolari da destinare alle famiglie meno abbienti dei vicoli insalubri dietro Via Santa Lucia. I lavori andavano a rilento e si conclusero agli inizi del 1900; fatto sta che i “Luciani”, abitanti di Santa Lucia preferirono trasferirsi nel già sovraffollato “Pallonetto”, serie di vicoli che ancora oggi, si arrampicano sui fianchi della collina di Pizzo Falcone.
Così le abitazioni, destinate ad edilizia popolare, vennero invece, prese in affitto per la stagione estiva, grazie ai numerosi stabilimenti balneari presenti in zona, facendo la fortuna di attività ancora oggi esistenti : Il Transatlantico, La Bersagliera e Zì Teresa.
Presso il Santa Lucia, si potevano bere le acque minerali che sgorgavano sulla costa; acque ferrate e sulfuree conservate nelle caratteristiche “mummarelle” che venivano vendute pure nei pittoreschi chioschi degli acquafrescai adorni di limoni, della zona. Ahimè negli anni ’60 la vendita dell’acqua fu vietata e i chiostri chiusi, per lasciare spazio alla costruzione di un grande albergo, con il pretesto di sospetti d’ inquinamento della falda. Fatto sta che dopo la colmata a mare, l’isolotto non fu più lo stesso, non solo modificò l’isolotto di Megaride, ma anche la stessa Via Santa Lucia, che con la costruzione di Via Partenope e Via Nazario Sauro, fu per sempre separata dal mare divenendo una strada interna; sul nuovo lungomare, a seguito della colmata, nacquero numerosi e prestigiosi alberghi come il Vesuvio (1882) che ospitò il Tenore Enrico Caruso. Proprio al cambiamento di destinazione finale del borgo Marinari, Enrico Caruso, che sarebbe diventato il tenore più famoso al mondo all’età di diciassette anni, cantava nei caffè e nelle trattorie ‘a pusteggia napoletana.
Cos’è la posteggia napoletana? E’ un complesso musicale ambulante o, anche il luogo dove si ferma a suonare un complesso musicale. La parola posteggia deriva, naturalmente, da “puosto” che è il luogo occupato da chi svolge un’attività che è rivolta al pubblico. I venditori ambulanti, ad esempio, occupano un posto fisso sulla pubblica via per cui è facile parlare di “ ‘o puosto d’ ‘o verdummaro” o di altri venditori. Oggi non è facile trovare un gruppo di quattro o cinque persone che suonano ed uno di loro canta, così come nella tradizione dei posteggiatori, in genere, la posteggia è composta da una sola persona che suona la chitarra o, il mandolino e, allo stesso tempo, canta. Come non ricordare con grande nostalgia i fratelli (da tutti considerati i gemelli per la straordinaria rassomiglianza) Giulio e Raffaele Vezza conosciutissimi in tutta Napoli per aver partecipato a numerosi film anche con Rondinella e Totò. Erano “fissi” da Salvatore alla Riviera fino a pochi anni fa; di eccezionale bravura tecnica ed armonica, con soli violino e chitarra sembravano una orchestra intera.
Tipica “entrata della pusteggia” :
Signurì buongiorno eccellenze
Con insistenza, all’ apparire della mia presenza
Addò nisciuno me penza,
faccio appello alla vostra indulgenza
E dimostratemi ‘nu poco ‘e benevolenza.
Eseguiva qualche canzone allegra e concludeva la sua esibizione con una esilarante e provocatoria richiesta di pagamento:
Signure e signurine, ledi e milòrd,
aggiate pacienza cacciate ‘nu sòrd,
pe chi nun tene na lira ‘e spicce:
ci’hanna ascì ‘e bbolle ‘ncopp’’o sasiccio!
Dopo di loro il nulla, si entra purtroppo nell’era del neo melodico, quella di Arcore…
Torniamo per un momento al nome del Castello, “Ovo”: la leggenda vuole che il poeta Virgilio volendo fare una gentilezza ai partenopei, vi avesse occultato, protetto da una gabbia, un “uovo magico” che aveva il potere di difendere la città da qualunque pericolo. I napoletani cedettero alla storiella e quando , nel 1370, si sparse la notizia che l’uovo magico si era rotto, in città si diffuse il panico, tanto da obbligare la sovrana Giovanna D’Angiò a dichiarare che l’uovo magico era stato ripristinato con gli stessi poteri del precedente.
La trattoria Castel dell’Ovo che preferisco chiamare, come tutti, ‘O Tabaccaro, si trova in via Luculliana 28; il richiamo a Lucullo non è casuale, poiché Il castello sorge sull’isolotto di tufo di Megaride, propaggine naturale del monte Echia, che era unito alla terraferma da un sottile istmo di roccia. Si ritiene che sia stato quello il punto d’approdo dei greci prima e dei cumani poi, i quali, giunti nella metà del VII secolo a.C., avrebbero fondato il primo nucleo di Palepoli (città vecchia), la futura Napoli. Nel I secolo a.C. Lucio Licinio Lucullo acquisì nella zona un fondo assai vasto (che secondo alcune ipotesi andava da Pizzofalcone fino a Pozzuoli) e sull’isola costruì una splendida villa, Villa di Licinio Lucullo,
che era dotata di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l’epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto. La memoria di questa proprietà perdurò nel nome di Castrum Lucullanum che il sito mantenne fino all’età tardo romana.
Negli anni ’20, il vero e proprio borgo non c’èra.
La famiglia Conte ha vissuto in prima persona l’evolversi della zona, vivendo anche l’emozione della nevicata sul mare a Napoli nel 1956.
Anna e Giovanni non cedettero alle lusinghe del momento, durante il boom degli anni ’60: il locale, serviva e serve cucina napoletana di mare, senza concessioni alla modernità: menù giornaliero, piatti solo espresso, con qualche fuori carta a seconda del mercato. Luigi e sua sorella Rita in cucina, volano da un fornello all’altro durante l’ora di punta, circa le 14,00, la clientela è molto vasta: grupponi di velisti al termine delle regate, professionisti della zona e turisti. Il locale non è grande, massimo 25 sedute d’inverno, tovagliato a quadretti classico in stoffa, posate casalinghe e bicchieri da osteria.
In sala tutto ricorda il borgo e la squadra del cuore, ovviamente con tanto di televisore al plasma per seguire le partite :-)
Il menù è il condensato della classica cucina napoletana di mare: antipasto di mare
A questo punto, entra in gioco la pietanza prima per eccellenza: sua maestà il Pane, per la “scarpetta” di rito. Non rimango delusa poiché a tavola arriva un profumatissimo cestino di pane del Vesuvio, per l’esattezza di San Sebastiano al Vesuvio, un canto della terra, per dirla con il grande Veronelli; il pane è ancora tiepido, mollica soffice, scorza croccante, sapido al punto giusto. A questo proposito interviene Luca , il cameriere di sala e giocosamente inizia una discussione con alcuni clienti romani: “ io nun capisco, perché da Roma in su, nel pane nun ce mettite ‘o ssale, poi venite ccà e v’abboffate ‘pane”.
Tra i primi piatti, oltre quelli già citati, compaiono in bell’ordine: gli spaghetti alla Conte, con gamberi e calamari, quelli con le seppie e quelli con le cozze, abbinate anche con le orecchiette. Qui entra in gioco l’unico piatto fuori dalla tradizione purista, dedicato al “Pocho”, il noto giocatore del Napoli; si tratta di spaghetti, con zucchine e gamberetti, saltati al formaggio e basilico. Naturalmente chi non ama il pesce può scegliere tra gnocchi alla sorrentina, penne all’arrabbiata e spaghetti al pomodoro fresco.
Spostiamoci sui secondi: molto pesce azzurro, alici fritte, o, in tortiera;
ancora pesce spada, o calamaro alla griglia;
Anche qui da ‘O Tabaccaro, sopravvive la tradizione della zuppa di cozze e ‘o purpo co’ ‘o russ’, tipico della zona di porta Capuana. Il menù per i secondi varia a seconda del pescato e poi, in estate, l’intramontabile caponata con la fresella, pomodorini, polpo in insalata, olive bianche, tonno e mozzarella. Questo è il piatto preferito dai tanti velisti che appartengono ai circoli nautici adiacenti. Nel caso ci fossero “allergici” a qualsiasi genere ittico, si ripiega – si fa per dire- su una buona mozzarella in carrozza.
Anche i contorni, vista la forte impronta marinara, s’ispirano al classico: insalate miste, o, di pomodori e caprese con mozzarella e pomodori.
La trattoria serve vino sfuso proveniente da Bacoli nei Campi Flegrei, oppure vino imbottigliato da blasonata azienda campana. Per i dolci, la trattoria si serve da un noto pasticcere del centro e consuma per la gran parte babà e dolci tradizionali delle feste
Oh , siamo al Borgo , una delle zone più care della città in fatto di ristorazione a base di pesce. Facciamo due conti…
– antipasto di mare € 8,00
– spaghetti a vongole € 10,00
– frittura di alici 5,50
– – insalata 2,50
– Vino locale 750 cl 6,00
– Dessert 4,00
– Acqua 1,00
– Servizio 13%
– TOTALE 41, 81
Certo, in linea di massima il conto è caro e supera la nostra “sogliola” dei 20 euro, vi invito però, ad andare in uno dei locali più blasonati del borgo e trovare la stessa qualità a questi prezzi, con il valore aggiunto (inestimabile) del calore e dell’accoglienza che la famiglia Conte riserva ai propri clienti.
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