Nando Salemme, patron insieme alla moglie Vanna dell’Osteria Abraxas sullo Scalandrone di Pozzuoli, mezzo secolo di età, gran parte del quale vissuto a soddisfare la sua inesauribile curiosità che lo ha portato sino alle piantagioni di caffè in America Latina. La sua ricetta dell’estate è il cannellone di pasta secca di Gragnano ripreso e aggiornato.
Curiosità e tanto, tanto,a manto l lavoro, sin da piccolo, che lo ha portato ad essere riferimento per la Guida Osteria slow Food, al vertice di 50 Top Italy e presente in tutte le guide di settore che contano.
“Si, ho iniziato a 12 anni a lavorare in estate in un ristorate di famiglia, ex Casablanca ora Villa Gitana, qui sullo Scalandrone”
Come mai hai iniziato così presto?
“Mio padre era contadino, eravamo una famiglia umile come si diceva una volta. Ma la nostra generazione era già vittima dei marchi e quindi mia madre mi disse: le scarpe te le compro, se vuoi quelle dei tuoi amici pagartele tu. Così tutte le estati ho lavorato da cameriere sino al diploma dell’Istituto Tecnico, poi tutto l’anno, in sala. Una grande esperienza formativa.”
Discorsi impensabili oggi. Come continua il tuo percorso formativo nel mondo della gastronomia?
“Inizialmente mi sono iscritto ad Informatica, poi ho virato su Agraria perché nel frattempo avevo fatto un corso di approccio al vino e avevo l’idea di diventare produttore. Ho studiato, fatto esami superandoli bene ma alla fine non mi sono laureato perché ho perso gli stimoli”.
Poi l’apertura del tuo primo locale nel 2002
“Si un wine bar con salumi e formaggi e l’idea di coltivare la mia passione del vino. Sgombrammo il garace di famiglia, l’attuale primo piano dell’Osteria, e feci una piccola sala di assaggio con una quarantina di posti. Era il momento favorevole perché in Campania iniziava quel fermento che oggi continua ancora nel mondo del vino. La mia idea di base era quello di non offrire quello che gli altri avevano, ma di essere una specie di pioniere di etichette e di prodotti nuovi. Entrai nel mondo dei salumi e dei formaggi specializzandomi con i corsi, poi in quello dell’olio di oliva diventando assaggiatore professionale. Insomma, ma mano che andavo avanti ho approfondito sino a decidere nel 2005, con mia moglie Vanna, di realizzare una vera e propria Osteria dove lavoriamo insieme da 20 anni ormai”.
Che impostazione hai voluto dare alla tua proposta?
“Figlio di contadino, naturalmente terragna, con le verdure che ovviamente non mi mancavano e le carni, prima locali, poi quelle di importazione che ben si abbinavano al vino rosso, all’epoca molto strutturato e di moda. Anche qui ho voluto differenziare la proposta rispetto al resto dei Campi Flegrei che sono naturalmente associati alla cucina di pesce, a parte la Fattoria del Campiglione ovviamente.”
Piano piano hai allargato il tuo orizzonte di interessi.
“Guarda io credo che nel nostro lavoro, ma vale per tutti i mestieri, non bisogna mai credersi arrivati, non è possibile restare fermi altrimenti si viene scavalcati inevitabilmente da chi è più giovane o semplicemente più bravo. Quindi con molti sacrifici abbiamo reinvestito i guadagni creando un bel dehor, organizzando il forno a legna per alcune cotture, introducendo anche un po’ di pesce azzurro oltre al baccalà. La proposta del cibo è sempre semplice, mai ricercata e la clientela è a proprio agio perché anche quando mangia qualche piatto nuovo lo riesce a leggere. Ma la mia ambizione è sempre stata stupire anche i miei amici con nuove etichette, nuovi prodotti senza lasciare nulla al caso”.
Sul caffè poi hai preso una malattia come si dice a Napoli
“Ad un certo punto mi sono chiesto ma perché la tazzina al ristorante non è quasi mai all’altezza della proposta del piatto e del bicchiere. Così anche in questo caso ho approfondito andando a visitare le piantagioni in Sud America perché volevo capire, proprio come gli appassionati visitano le vigne”.
Quali sono le tendenze oggi nel cibo e nel vino?
“In una parola? Alleggerire, semplificare senza però perdere il gusto. Il cibo oggi vuole sicuramente meno grassi, si mangia molto di meno e soprattutto ci si vuole sentire liberi a tavola. Forse è non aver capito questo ad aver messo in crisi un certo tipo di ristorazione. Vuoi perché magari si fa un aperitivo prima, o si prevede una serata dopo, il tempo di seduta è diminuito, soprattutto fra le giovani generazioni. Dunque sapore, gusto e servizio veloce e amicale”.
E per il vino?
“Non è un mistero ormai la crisi dei vini strutturati. La gente vuole ancora bere rosso, ma con meno alcol e meno legno, io seguo un percorso che parte dal nostro Piedirosso dei Campi Flegrei e cerca ovunque vini di grande bevibilità. In questo momento ho una capata per il nebbiolo della Valtellina”
La ricetta
I cannelloni della domenica
“I miei genitori, quando si sposarono, a menù c’erano i cannelloni ripieni di ricotta e macinato con sugo di pomodoro . Oggi li riproponiamo, in una veste vegetariana, con ricotta di bufala, melenzane lunghe napoletana , funghi porcini secchi di Roccamonfina, pesto di basilico fatto in casa e passata fresca di cannellini flegrei. Usiamo sempre quelli di pasta secca di Gragnano perché per me la pasta fresca al forno diventa troppo pasticciata, non va bene. Prima li sbollentiamo lasciandoli quasi crudi, li riempiamo e poi al forno per trenta minuti a 180 gradi. Un esempio di leggerezza e di gusto”.
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