di Francesco Raguni
Nel cuore pulsante del centro di Catania, in uno dei palazzi storici della città quale Palazzo Scammacca del Murgo, si stanno tenendo periodicamente degli incontri dedicati al vino, dove la famiglia Murgo invita determinate figure del mondo del vino per fargli presentare le loro etichette in maniera conviviale dinanzi a tavolate curiose ed appassionate.
Il nome di questo progetto è “Murgo & Friends”. La serata di apertura ha visto come ospite l’azienda Passopisciaro e protagoniste le contrade di Franchetti. Successivamente è stato il turno di Federico Curtaz, con i suoi vini che spaziano da Nord a Sud.
“Penso che l’Etna sarà uno dei quindici posti di cui il mondo si ricorderà per il vino, forse non ancora, ma presto sarà così.
Veronelli ha detto che il vino è la preghiera della terra verso il cielo, trovo questa frase bellissima e perfettamente applicabile al vino che si produce sul Vulcano. Sull’Etna Sud ho trovato dei suoli molto particolari, dei luoghi di vocazione… e i grandi vini non si riescono a fare senza questi luoghi” afferma con occhi speranzosi Federico, mentre brinda con i commensali e Michele Scammacca del Murgo, alzando il suo calice con dentro una delle bollicine che ha fatto la storia del metodo classico sull’Etna, il brut della cantina Murgo.
“L’incontro con l’Etna è stato per me l’incontro di una vita. Non si è trattato semplicemente di vino e territorio, ma si è andato oltre. Un’annata che ricordo particolarmente è la 2009. È stata un’annata difficile, restava poco tempo per il lavoro di definizione del vino, capitava anche di lavorare ventidue ore al giorno. Una domenica mattina Silvia (Silvia Maestrelli, enologa di origine toscana, trapiantata sull’Etna, scomparsa prematuramente a causa di una lunga malattia ndr) mi ha salvato la vita, interrompendo la vendemmia. Così, quel giorno ho preso un motorino e sono andato in giro per il versante Sud dell’Etna, ho saltato un muretto, sono piombato in una vigna e mi sono trovato una persona davanti. Lui era armato di un sorriso straordinario. Così ho comprato l’uva di quel vigneto e così è nato il primo “A Puddara” (Etna Bianco Superiore DOC, fiore all’occhiello della cantina Tenute di Fessina ndr)”.
Da queste storie che si percepisce il tenore della persona che si cela dietro una bottiglia. “Mi affascina il mistero delle vite, che si dipanano lungo la scacchiera, di giorni e strade, foto scolorite, memoria di vent’anni o di una sera” cantava Francesco Guccini. Ed è impossibile non restare affascinati dalle vite che si snodano attraverso le parole di Federico.
Così è iniziato il nostro viaggio.
I “suoi” primi due vini sono stati Lindo dell’azienda agricola Iuppa e Iaffiu di Eredi Di Maio. Si tratta di due Etna Bianco superiore, uno composto da carricante e catarratto, un altro da carricante in purezza, l’annata di riferimento è in ambedue i casi la 2022. Le contrade di riferimento sono da un lato Salice (500-720 mt. di altitudine), dall’altro Caselle (780-900 mt. di altitudine). “Caselle è un luogo dove l’uva fa fatica a maturare, bisogna crederci tanto e non arrendersi. In questa contrada l’attesa e la pazienza premiano. La classe di Caselle è molto importante, è un cavallo che corre da solo”.
Per contrada Salice il discorso è diverso:
“Qui cambia sia il tempo di maturazione dell’uva, che è matura prima rispetto a Caselle, sia la terra, non più nera, ma bruna”. Basta portare al naso il calice per avvertire le differenze tra le due etichette: Lindo – che affina anche in legno – reca con sé note di frutta a polpa bianca e sentori floreali, presente anche un’interessante nota agrumata; in bocca ha sia una grande spalla acida che una buona sapidità. Iaffu – che non fa legno – presenta invece frutta a polpa gialla e una lievissima nota di idrocarburo, in bocca le durezze sono ancora più accentuate. Il cavolfiore in pastella e il pecorino fresco siciliano al pepe nero serviti come antipasto si abbinano perfettamente a questi due prodotti.
Gli altri due bianchi sono invece una sintesi dei due poli della vita di Federico Curtaz: Kudos, Etna Bianco Superiore, 2022, e Neige d’Or, Les Cretes, 2020. “La Valle D’Aosta oggi è rappresentata da quattro-cinque aziende di buonissima qualità. Les
Cretes è una super azienda del luogo e merito della sua fama è di Costantino Charrerè, un uomo che ha tracciato una strada ben delineata. Lui ha fatto del bene per un intero areale, non solo producendo dei vini buoni, ma anche costruendo l’associazione dei vignaioli indipendenti. Lui aveva una visione francese del vino. In questo caso, siamo davanti ad un blend di due vitigni di montagna allevati su delle morene di epoca glaciale, Pinot Grigio e Petit Arvin (simile al carricante, nonostante abbia una venatura aromatica più marcata, ndr)” racconta parlando della seconda etichetta. Frutta a polpa gialla e note aromatiche sono il biglietto da visita di questa etichetta, che in bocca presenta una grandissima spalla acida, tipica dei vini d’altura.
Insomma, la montagna segue la vita di Federico, tanto che dalla Valle d’Aosta si passa all’Etna, il vulcano della Sicilia, “A muntagna” per gli autoctoni. Kudos (dal greco antico, “gloria, fama”) è un’affascinante espressione del versante Sud. Dal colore quasi dorato, al naso ha un bouquet ricco di agrumi, seguono poi pesca bianca e mela verde, in bocca è minerale, fresco e deciso. In abbinamento è stata proposta una pasta con le sarde, il finocchietto e l’uvetta.
Infine, è il turno dei rossi: il primo è Purgatorio, Etna Rosso 2017. “Purgatorio è una contrada non rivendicata
vicino Biancavilla, qui si trova una colata molto particolare di terra rossa, dovuta ad attività vulcanica che, facendo precipitare frane a temperature elevate, creano substrati di terreno. La 2017 di Purgatorio è una annata di tannini duri, che è passata da botti piccoli e grande(in totale ha affinato per due anni in legno ndr).
A me, nei rossi, piace unire grazia e profondità”. Purgatorio si presenta in sala con un abito rosso rubino, un profumo di frutti rossi quasi spiritati e sentori terziari, in bocca ha un tannino deciso, ma per nulla sgraziato.
Il secondo rosso, invece, è un prodotto che proviene direttamente dalle Marche: Conero DOCG, Sassi Neri 2019
de La Fattoria Le Terrazze. “La fattoria Le Terrazze invece è la storia del vino marchigiano. Sassi Neri è un vino estremamente puro e tannico realizzato con un vitigno, il Montepulciano, che matura tardi ed è complicato da lavorare. Anche qui, comunque, abbiamo scelto di fare due anni di affinamento in legno”. Al naso un trionfo di frutta rossa, ciliegia in primis, in bocca il tannino è più delicato. Il filetto di maiale cotto a bassa temperatura, con crema di zucca e funghi, è stato un ottimo abbinamento. La succulenza della carne ha chiamato inevitabilmente il tannino, che qui non è affatto mancato.
La serata si è poi conclusa con un tiramisù accompagnato dalla grappa di vinacce dell’Etna della cantina Murgo. Un finale dolce, che sugella un’esperienza unica, dove prima del vino è venuta la persona, la sua storia e le sue idee: “Penso che il vino dovrebbe tornare alle sue origini, ricordarsi che nasce per soddisfare quella dimensione del piacere che sembra essersi persa. Troppi tecnicismi rischiano di far allontanare le persone del vino, invece di incuriosirle. Il vino è un viaggio da intendere alla De Andrè, che cantava “Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”, ecco”.
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