di Pasquale Carlo
Saracena, comune con poco più di quattromila abitanti della Calabria cosentina, ai piedi del Monte Pollino. Attraversando nelle giornate di fine settembre le tortuose strade che attraversano la parte moderna del centro abitato, oppure passeggiando tra i saliscendi di un centro storico semi abbandonato ma che ancora emana un grande fascino, si notano dappertutto donne alle prese con la sgranatura di pigne di uva bianca, mentre gli uomini sono al lavoro davanti a grandi pentole di rame, intenti a mescolare continuamente il mosto in bollitura.
Approfondendo lo sguardo, fino a giungere nel buio dei piani inferiori di queste abitazioni che si allineano in uno scenario urbanistico di discutibile gusto, si nota dell’uva sistemata pigna a pigna, lasciata ad appassire. Uomini e donne, anziani e giovani: tutti al lavoro per produrre la scorta familiare di un vino che per questa gente rappresenta un simbolo.
Nei tempi antichi le famiglie del posto donavano buona parte della produzione di questo inimitabile vino agli avvocati, un’altra porzione abbondante era riservata al medico ed una piccolissima parte restava in casa per essere bevuta nei giorni di festa. Stiamo parlando del Moscato di Saracena, vino che è uscito dai confini del circondario grazie alla caparbia attività di quattro piccoli produttori, convinti che soltanto facendolo conoscere e creando economia, questo antico prodotto potrà salvarsi dal rischio di estinzione, sempre dietro l’angolo in un mondo in cui a dettare legge sono gli artefici dell’omologazione.
In una soleggiata mattinata domenicale – guidati dall’instancabile Giovanni Gagliardi, grande testimonial di questa terra – incontriamo il professore Luigi Viola, insieme ai figli Alessandro e Claudio. Mancano all’appello la moglie Margherita e l’altro figlio Roberto. Nei locali della loro piccola cantina il moscato è ancora ad appassire.
“L’appassimento – spiega il professore – dura all’incirca tre settimane. Poi gli acini disidratati saranno selezionati e schiacciati manualmente per ottenere del mosto dolcissimo”. Che fine farà? Andrà ad aggiungersi al mosto ottenuto da uve malvasia e guarnaccia che nel frattempo viene sottoposto a bollitura per ridursi praticamente ad un terzo della quantità iniziale. Inizia su questi due binari differenti il secolare procedimento che porterà al Moscato di Saracena. La bollitura alle Cantine Viola avviene in grandi contenitori di acciaio, comprati da una ditta dell’Emilia Romagna, che li realizza per le aziende produttrici di aceto balsamico tradizionale di Modena. A mosto freddo le due parti vengono unite per dare avvio ad una lentissima fase di fermentazione.
Fino alla vendemmia 2010 quest’azienda ha prodotto esclusivamente Moscato, mentre da questa vendemmia si è pensato di lavorare anche un rosso tipico. In cantina abbiamo degustate le ultime quattro annate di Moscato (7.000 bottiglie da 0,500 prodotte all’anno, prezzo indicativo 22 euro).
2007: Ventaglio olfattivo ampio, con esplosione di frutta secca e agrumato. Piacevolissimo in bocca dove spiazza per la grande freschezza, caratteristica inconfondibile di questo prodotto.
2008: Naso più elegante, con piacevoli contaminazioni resinose. Rispetto all’annata precedente (sicuramente più calda) riesce ad emerge con tratti più marcati il processo di lavorazione. Il finale in bocca regala belle sensazioni di macchia mediterranea.
2009: Sia al naso che al palato si presenta come il “meno moscato” dei quattro calici, con le note dolci meno invadenti. Finale sula scia fresca dei precedenti.
2010: Impianto olfattivo meno “grazioso” ma senza dubbio di maggiore interesse, anche se si avverte un alcol più marcato. L’ingresso in bocca è tutto dolce, che ben si coglie al centro della lingua, mentre a mano a mano la freschezza sposta il gioco ai lati.
Quattro annate con un filo conduttore che si lascia cogliere dal primo impatto al naso, allungandosi nei finali piacevolmente freschi. Eppure i calici sono ben distanti tra di loro, quasi a voler dimostrare che il tratto più tipico di questi “vini diversi” sta proprio nell’originalità del processo produttivo. Un minimo di variazione in partenza esce alla distanza con differenze marcate.
Bisogna spostarsi a piedi nel centro storico per raggiungere un’altra realtà aziendale importante, quella dei Feudo dei Sanseverino (6 ettari, di cui 3 coltivati a vigneto: da queste parti, dove regna una estrema frammentazione, non è cosa da poco). Ad attenderci è Roberto Bisconte, caparbio viticoltore che invita ad accomodarci nella piccola sala degustazione contornata da bottiglie.
L’esibizione in passerella inizia con Sestio 2008, ottenuto da uve greco bianco con un affinamento in legno (rovere francese di secondo passaggio) per un periodo di 4-6 mesi, a fermentazione malolattica avvenuta (in acciaio). Vino di estrema originalità ed interessante sia al naso che al palato, dove emerge la bella freschezza del vitigno, non piallata grazie ad un sapiente uso del legno. A seguire Donna Marianna Pollino Doc 2007, prodotto con uva guarnaccia, malvasia e lacrima nera. Anche in questo caso il procedimento affonda nelle antiche usanze: dopo tre giorni di macerazione delle bucce (le uve sono bianche e rosse) segue l’affinamento in legno, che avviene sia in botti nuove che in altre lungamente usate. Piacevole la beva, fresca e mai stancante, abbinabile a primi piatti robusti. Si passa al Lacrima nera Igt Calabria 2007, che nasce dall’omonima uva: rosso bello sapido, erbaceo, fresco di ampio abbinamento.
Quando è il tempo del dolce lo spazio viene dapprima occupato dal Mastro Terenzio Moscato passito Calabria Igt 2006: un gran vino dolce, tipico del sud. E siamo al top, vale a dire al Moscato passito al governo di Saracena.
“La bollitura del mosto di guarnaccia e malvasia – spiega Roberto – va avanti fino a quando non si giunge ai trenta gradi zuccherini, in modo da abbattere i lieviti e gli aromi delle due tipologie. Si attende poi che si raffreddi per riporlo in botti e successivamente unito al mosto ed alle bucce del moscato passito. Parte così la fase di fermentazione che si attiva dopo circa due giorni in maniera lenta, per poi essere più veloce e ritornare lenta. Il tutto può durare anche un periodo di tre mesi. A marzo-aprile avviene il primo travaso. Nella nostra cantina, dopo una breve sosta a riposo, il nettare torna nelle botti per una decantazione naturale prima di finire in bottiglia”.
In cantina abbiamo degustato l’annata 2005, non poco per una tipologia che secondo alcuni va consumata giovane. Grande complessità olfattiva, note dolci e tostate che si accompagnano anche a belle invasioni speziate. In bocca è un trionfo dovuto alla materia prima e alla tecnica di lavorazione, per un vino di grande emozione, indimenticabile. Appagante della lunga camminata dal Sannio al Pollino. Unica nota preoccupante il numero esiguo di bottiglie (da 0,375 al prezzo di 17 euro).
Considerazione finale: processo di lavorazione salvato dall’omologazione, già presidio Slow Food (vera rarità per un vino). Oggi c’è un’associazione che unisce sei produttori con l’obiettivo di incrementare ulteriormente la qualità di un prodotto già eccezionale per la sua unicità. Ma anche per avviare seri discorsi di diffusione, magari incentivando lo sviluppo dell’economia locale.
Dal punto di vista comunicativo non c’è tanto da fare: è un vino che parla da solo. Del resto le due etichette protagoniste di questo servizio le troveremo in bella evidenza anche sulla guida Slow Wine 2012: Vino Slow il Moscato passito di Saracena 2010 di Luigi Viola; Grande Vino il Moscato passito al governo di Saracena 2006 dei Feudo dei Sanseverino.
(tutte le foto sono di Sara Marte, gruppo Slow Wine Basilicata, Calabria e Campania)
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