Addio a Michele Moio, il papà del Falerno

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Michele Moio, foto Mauro Fermariello

I funerali di Michele Moio si volgono oggi alle 15,30 alla Chiesa Santa Maria Incaldana di Mondragone

Michele Moio è scomparso oggi all’età di 91 anni. Ci lascia una figura leggendaria del vino campano, uno di quelli che ha tenuto duro in una fase in cui sembrava che questa regione dovesse essere cancellata per sempre dalle cartine geografiche della viticultura italiana. E’ stato il papà del Falerno,  suo il vino più amato dai napoletani, il Moio 57.
Ai figli Bruno e Luigi che hanno continuato sulla sua strada, alla famiglia e ai nipoti tutti le più sentite condoglianze per un uomo che ci ha onorato della sua amicizia per quasi trent’anni.

Riportiamo il pezzo che celebrava i suoi 90 anni pubblicato il 22 maggio 2018.

Michele Moio è, insieme a Walter Mastroberardino, l’ultimo testimone di un’epoca antica, più concreta e lontana dalle ritualità e dalla gogna burocratica quotidiana moderna. Una leggenda vivente del vino campano e meridionale, che ha festeggiato i 90 anni insieme ai figli Rosa, Bruno e Luigi, ai familiari e agli amici più cari nella famosa cantina nel cuore di Mondragone. Il suo lascito storico è chiaro, semplice, facile da descrivere: grazie a lui il Falerno è diventato il vino che ha vissuto due volte. La prima come rinomato cru in epoca romana quando il territorio del Massico era una sorta di Bordeaux che produce i vini più ricercati e più costosi, cantati da poeti e raccontati da scrittori. La seconda come Primitivo, portato alla fine dell’800 dal conte Falco da Gioia del Colle perché in questa conca d’oro, non ancora deturpata dalla speculazione edilizia e dalla perdita del senso estetico del bello le condizioni sembravano ottimali.

E il Primitivo è stata l’uva a cui Michele Moio è stato fedele tutta la vita, anche quando gli ispettorrati agrari spingevano per altre uve come il montepulciano e il trebbiano, anche quando poi è arrivata la moda dei vitigni internazionali, anche quando in zona si sono affacciati aglianico e piedirosso come alternativa dando luogo al compromesso tipicamente italiano di una doc che ha due volti completamente diversi, una, appunto con il primitivo, l’altra con le altre uve. Un compromesso che spiega le attuali difficoltà di mercato che disorientano il consumatore. Difficoltà che però certo non riguardano la cantina Moio. Basta girare tra enoteche e bar nel cuore di Napoli per vedere esposto ovunque il suo Falerno e il suo famoso Moio 57, figlio di una annata straordinaria e della moda del tempo di mettere dei numeri vicino al nome (ricordate l’amaro 18 Isolabella?).
Le radici di Michele nel mondo del vino si perdono nella notte dei tempi, già il nonno commerciava in questo settore a Marano di Napoli, paese originario della famigia. Ma fu il padre Luigi a trasferirsi a Mondragone per amore, in un fabbricato al centro di proprietà della moglie che i tedeschi fecero saltare in aria. Già, la guerra, difficile immaginarla dopo tanti anni di pace, quanti il silenzio del Vesuvio. Parlava di colpi di mitragliatrice in cantina sui fusti di vino anche Antonio Mastroberardino che oggi avrebbe la stesa età di Michele. Insieme a Mario D’Ambra sono stati i padri fondatori del vino campano: gente schietta, non abituata alle conferenze stampa, personaggi che non le mandavano a dire e che non si tiravano indietro di fronte a una polemica. Come quella che Michele ha continuamente fatto contro l’introduzione di aglianico e piedirosso in zona. Una battaglia che lo ha assorbito e che alla fine si è dovuta concludere, appunto con un compromesso.

Il segreto della longevità di Michele, come sempre accade in questi casi, è il profondo amore per il lavoro a cui non ha mai rinunciato se non nelle feste comandate. Gli piace tenere in mano il timone dell’azienda e solo negli ultimi anni ha iniziato a farsi aiutare dal figlio Bruno mentre Luigi, nel frattempo, ha intrapreso non solo una brillante carriera universitaria ma è diventato a sua volta un uomo di svolta nel vino campano quando nel 1994 rientrò dalla Francia e introdusse l’uso delle barrique con l’aglianico.
Ci sono persone che vivono una vita inutile, altre che riescono ad incidere nella realtà e che vegono amate e rispettate in vita e poi sempre ricordate. Spesso si tratta di uomni che hanno fatto della viticoltura una ragione di vita. E il motivo è semplice: chi sta in questo settore deve ragionare non per se stesso ma per le generazioni che verranno. Almeno le due, quelle dei figli e nipoti che si sono stretti a Mondragone attorno a un nonno straordinario, al quale la festa dei 90 anni ha sicuramente fatto piacere anche se, come al solito, non lo ha fatto molto vedere. Carattere burbero? No, semplicemente pratico.

Morto Michele Moio


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