di Giulia Gavagnin
Moreno Cedroni a Senigallia. Si autodefinisce l’“enfant terrible” della cucina italiana, ma il suo spirito irrequieto è più carico di dolcezza che di impeto. La gentilezza d’animo è il motore inarrestabile della sua creatività, alimentata dal viaggio che iniziò tanti anni addietro ai confini del mondo, al Capo di Buona Speranza dove si scontrano due Oceani, e prosegue oggi, ogni giorno, sul lungomare di Senigallia, una spiaggia sull’Adriatico come tante, da qualche lustro eccezionalmente illuminata a giorno dalla casuale convivenza di due cuochi straordinari, lui e il suo gemello diverso Mauro Uliassi.
Moreno Cedroni è l’impressionista del mare, lo dipinge con le stesse pennellate ampie e aggraziate di Monet e le sue ninfee, è Adriatico e Mediterraneo insieme, ma va anche oltre, fino a quel Capo di Buona Speranza che ama ricordare nell’incipit del suo menu, come a ricordare che dalla Fine del Mondo a Marzocca caput mundi ha visto il mare suo e il mare degli altri, e che ne sa cogliere le sfumature, di bonaccia e di tempesta. E’ un creativo puro, ha iniziato con gli spaghetti alle vongole e le fritture di pesce, ha imparato da Ferran Adrià a rompere le regole e a riscriverle con il suo alfabeto della memoria, dal susci all’italiana alla costoletta di rombo, fino alla piena maturità dell’ultimo quinquennio, dove i ricordi di viaggio e le sfumature asiatiche servono ad arrotondare un gusto che è pienamente nostro, italiano e a formare il carattere di una cucina totalmente personale, riconoscibile tra mille.
Anno 2019, Moreno ha attraversato i mari, ma anche i rivoli della vita. Gli inizi confusi da maitre, la folgorazione per i fornelli, l’incontro fatale con Adrià (“prima eravamo tutti bigotti”, dice), le aperture in Italia e all’estero, ha lanciato l’àncora definitiva (forse) nelle Marche, Itaca di questo Ulisse dei fuochi. Anikò, la salumeria di mare a Senigallia; Clandestino, la baracca sul mare dei sogni a Portonovo, e la Madonnina del Pescatore, la casa madre di Marzocca officiata all’unisono con la moglie Mariella Organi, sirena e Penelope insieme, forse la miglior donna di sala dello Stivale. Qui non si smette mai di esplorare, pennellare, rifinire, sperimentare: sotto al ristorante, nel garage di casa, il Tunnel, dove tutti i muri sono neri e si affollano sonificatori, bagni a ultrasuoni, affumicatori, mantecatori, pentole a pressione coreane, e chi più ne ha più ne metta.
Un arsenale di tecnologia che farebbe impallidire la Nasa. Nella camera oscura ci sono anche due celle che servono a far maturare volatili, pesci e crostacei. “Voglio vedere fino a dove riusciamo ad arrivare”, dice Moreno, mai sazio di raggiungere il limite, come se desiderasse oltrepassare il Capo di Buona Speranza. E’ qui che frolla per ben venti giorni il piccione marchigiano, cotto alla brace con melanzane affumicate e salsa masala, impreziosito quest’anno da un tortellino di ali e cuore dello stesso volatile, salsa di champignon e chartreuse.
Una preparazione esaltante perché personalissima che non deve nulla alla Francia, un viaggio di sola andata Marzocca-Delhi con scalo a Istanbul senza passare per Parigi che prossimamente avremo cura di ordinare all’inizio, in un pasto a rebours, a ritroso, per non perderci nulla della sontuosità del piatto e del suo raviolo. Il principio vero e proprio è affidato a una novità e a una imprescindibile, vecchia conoscenza. Il cannolicchio e Margarita e l’ostrica mangia e bevi alla griglia “ricordo di un viaggio in Vietnam” si completano, duettano come David Bowie e Freddie Mercury, sebbene l’ostrica possegga sempre quella marcia in più che è dettata dall’essere la migliore interpretazione finora vista del suo genere e specie, in un momento in cui l’ostrica la propongono tutti, ma proprio tutti.
Il viaggio a risalire da Oriente prosegue con il moro oceanico in olio cottura, salsa di mandorla al curry, misticanza e olio al dragoncello, in carta già lo scorso anno: pesce di esotica profondità pregiatissimo, di carne bianca e profumata, e una salsa setosa che ci traghetta verso latitudini più familiari, con la ricciola fritta poco cotta e panzanella e olio al basilico, ovvero Mediterraneo allo stato puro, e un trittico di piatti di recente conio.
Pesce San Pietro alla mugnaia con salsa di spinaci, polpo alla griglia con avocado e cavolfiore marinato nel miso e le penne “Gentile” burro ai ricci di mare, capesante essiccate, erbe spontanee e seppia ai carboni: una sequenza in crescendo, con la pasta che stupisce per l’equilibrio tra elementi eterogenei.
E’ già un piccolo classico l’anguilla di mare alla brace con alloro, rapa rossa, e cavolo fermentato che si giova di una fermentazione armonica, per nulla invasiva, come invece, purtroppo, si è riscontrato tra i troppi cloni nostrani dei cuochi scandinavi.
Del superbo piccione s’è detto, si termina con il leggerissimo gelato al cubo e un’altra creazione recente: gelato alla buccia di banana, gianduia, streusel alle nocciole, sciroppo di acetosella.
Moreno Cedroni a Senigallia
Sempre nel segno di Moreno, folletto danzante che accarezza l’ospite con delicate pennellate, dolci suggestioni di chiaro di luna sul mare calmo o tempestoso, colori accesi di macchia mediterranea e tenui di albe lontane. Diceva Herman Hesse: “dove si crea un’opera, dove si continua un sogno, si pianta un albero, si partorisce un bimbo, là opera la vita e si è aperta una breccia nell’oscurità del tempo”. Dove Moreno Cedroni crea, si irradia un po’ di quella luce nell’oscurità del tempo. Perderselo sarebbe un vero peccato.
Moreno Cedroni a Senigallia
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