di Luciano Pignataro
«Da ragazzo avevo due grandi passioni, la cucina e il mare, alla fine ho dovuto scegliere». Moreno Cedroni, classe 1964, è un cinquantenne che ha energia da vendere, più di prima. Meglio di prima. Il suo ristorante, La Madonnina del Pescatore a Senigallia, ha due stelle Michelin.
Moreno quali sono i tuoi ricordi dell’estate?
«Beh, ho vissuto l’estate per poco tempo come tutti i miei colleghi che hai intervistato. A 14 anni andai infatti a fare il cameriere per guadagnarmi ed è finito il divertimento. Sino a quel momento l’estate iniziava con un radicale taglio dei capelli e proseguiva con i grandi pranzi che si facevano in spiaggia preparati dai miei zii: pollo arrosto e pomodori in quantità».
Tu però non sei un marchigiano purosangue.
«Direi proprio di no, le origini sono a Velletri. Mio padre Silvestro era un appuntato di polizia e fu trasferito qui a Senigallia con mia madre Santina che poi lavorò in un piccola fabbrica dei dintorni. Dunque le mie estati, sino a quando non ho iniziato a lavorare, le ho trascorse al Lido della Polizia».
Qual è stato il tuo percorso professionale?
«Dopo le medie mi sono iscritto all’Istituto Nautico perché, appunto, la vita di mare mi ha sempre attratto molto. Mare o cucina? Con un socio acquistammo nel 1984 i locali attuali della Madonnina spendendo tre milioni. All’inizio stavo in sala ma avevamo visioni un po’ diverse e nel 1987 ci separammo e decisi di continuare mettendomi il grembiule».
Come è scattata la molla che ti ha fatto cambiare passo?
«Ero semplicemente stufo di portare sempre le stesse cose ai clienti, volevo cercare altre strade. Queste desiderio mi è cresciuto dopo aver partecipato a vari corsi, compreso quello di Sommelier nel 1989. Poi l’incontro con mia moglie Mariella nel 1991: era venuta al ristorante per cercare lavoro, ci innamorammo e tre anni dopo eravamo marito e moglie. Insieme abbiamo girato tanto e studiato. All’epoca si era un po’ tutti filo francesi, ricordo la frase tipica “ridurre la salsa di due terzi e alleggerire con il burro” che oggi fa un po’ sorridere».
Poi è arrivato Adrià che ha fortemente cambiato la prospettiva a tutta la vostra generazione di cuochi.
«Sì, fu una folgorazione. Non si trattava tanto di apprendere questa o quella ricetta, ma il modo totalmente nuovo di vedere le cose, la materia, il prodotto. Se posso dire in sintesi, la bellezza dell’insegnamento di Ferràn Adria è che in cucina non ci sono limiti, non ci sono confini. Quando tornai a Senigallia cambiammo tutto, a cominciare dalla sala».
Poi nel 1996 arriva la prima stella Michelin. Cosa ti ha cambiato?
«Rimasi spiazzato, davvero. Non era certo un nostro obiettivo, in quell’epoca non si era ossessionati come da qualche tempo a questa parte. Però fu importante non solo per la clientela, ma anche perché ci diede la molla a migliorare ulteriormente, fare una radicale trasformazione del servizio e in questo ritmo frenetico il rapporto con Mariella, calma e pacata, è stato fondamentale».
Beh, sei diventato il volto televisivo del Gambero Rosso Channel insieme a Igles Corelli, poi l’apertura del Clandestino a Portonovo, il laboratorio Officina, la salumeria ittica Anikò. A Milano anche seconda sede di Il clandestino forse in anticipo sui tempi. I libri, la presidente dei Jre. Insomma non ti sei fatto mancare niente.
«Il nostro mestiere è correre. Bisogna fare presto perché il cliente aspetta seduto mentre tu cucini. Quando si è giovani c’è l’energia per crescere sempre. Del resto nel 2006 è arrivata la seconda stella, questa si vissuta con grandissima gioia e consapevolezza.
E adesso?
«Dopo i 50 si cambia, si inizia a cambiare dentro. Io ho più voglia di dedicarmi a me stesso, alle cose che mi piacciono, anche dedicarmi di più alle persone che mi sono sempre state vicino a cui magari non sei riuscito a dare tutto quello che volevi. Adesso sono di nuovo concentrato molto sulla cucina, proprio come ai primi tempi. E questo mi sta regalando molto divertimento e soprattutto mi conserva quell’energia necessaria per portare avanti questo mestiere che è molto faticoso».
Faticoso, forse un aspetto che i giovani aspiranti cuochi non prendono molto in considerazione
«Beh diciamo che oggi i giovani soffrono il contesto non facile e la precarietà. Non credo sia possibile che l’avventura mia, come quella di Mauro, sia replicabile oggi sulla spiaggia di Senigallia».
Siete stati bravi ma anche fortunati?
«Diciamo che abbiamo interpretato molto bene il momento che stavamo vivendo, quello della fine della cucina di casa, dove oggi si mangia sempre peggio, la voglia di cmbiare, vivere la modernità e la contemporaneità con quanto accadeva nel resto del mondo».
E iniziando oggi quale cucina faresti, tu che sei considerato un pasdaran innovatore della cucina italiana?
«Paradossalmente oggi fare la tradizione e proporla è più facile perché tanto in casa non si cucina più. Ovviamente non è passatismo, ma l’attenzione ai prodotti, riprendere in modo moderno alcune preparazioni può essere una chiave di successo per chi inizia adesso a fare questo magnifico lavoro».
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