MASTROBERARDINO
Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: legno
Alcune convinzioni radicate nel piccolo mondo del vino italiano davvero hanno qualcosa di buffo. Quando sento dire che la tradizione è la vinificazione in acciaio, ad esempio, ci si deve mettere d’accordo cosa è la tradizione visto che questo materiale non risale all’età della Pietra e neanche alla prima metà del secolo scorso nelle cantine italiane e irpine.
Se per tradizione si intende qualcosa che in modo convenzionale tutti fanno da poco più vent’anni allora si può essere d’accordo, a patto che poi si entri nell’ordine di idee che questo periodo in viticultura corrisponde ai primi dieci mesi di vita di un bambino e che c’è tanto da esplorare, tra cui un uso ragionevole del legno, questo si materiale antico sebbene in botti di castagno di cui è ancora oggi ricca l’Irpinia.
In realtà l’uso del legno è diventato un segno negativo (molti produttori si affrettano a sottolineare che non lo usano quasi fosse lo sterco del Diavolo) per gli eccessi degli anni ’90 quando era interpretato come uno strumento che accorciava la strada al risultato invece di allungare il percorso di un progetto.
Queste osservazioni mi vengono dalla splendida bevuta fatta all’Oasis di Vallesaccarda, uno dei pochi locali campani dove le annate vanno abbastanza in profondità, in cui questo 2001 si è dimostrato fresco e pimpante come un baldo giovanotto, capace di portarti addirittura sino alle soglie dell’emozione per la complessità olfattiva, l’ingresso non ruffiano, l’allungo rapido dal centro bocca e il finale amarognolo, pulito, che induce alla beva.
Il More Maiorum in realtà fu il primo Fiano ripassato in legno, alla maniera degli antichi come recita il nome, ma passò quasi sotto silenzio nel magico decennio perché, pur lavorato in questo modo, non andava incontro al gusto imperante del momento, segnato da morbidezze e dolcezze.
Un po’ di responsabilità è però anche della Mastroberardino perché nel decennio successivo ha comunicato molto bene il suo Taurasi, correggendo anche la rotta in questa direzione con il cambio di passo del Naturalis Historia, ma trascurando nel contempo i suoi magnifici bianchi.
Oggi i Vintage di Fiano e di Greco hanno in parte saldato il conto, ma il More Maiorum continua a starsene in disparte pur essendo questa la strada di un salto di qualità che il Fiano (e credo anche la Falanghina) possono fare se ci si applica con determinazione.
Lasciar parlare il frutto è sicuramente una cosa belle del vino e gli studi dimostrano che l’evoluzione nel tempo dei Fiano passati in acciaio è sicuramente straordinaria (penso a Clelia Romano, Marsella, Villa Diamante, Picariello, Vadiaperti). Ma proprio per questo secondo me l’Enologia ha il dovere di sperimentare e andare avanti: quali sono i legni più adatti a questo vitigno, quale i protocolli da utilizzare in campagna e poi in cantina? Ecco, questo è un mondo da esplorare che sicuramente può portare, ci metto la faccia in quello che scrivo, alle vette dell’enologia mondiale sul bianco.
Il More Maiorum mi ha cullato in una delle poche grand table italiane in un pomeriggio freddo e stizzoso, circondato da bei piatti e buona compagnia.
E l’aggettivo che segna questa bevuta del 2001 è uno solo: freschezza. Dopo 14 anni.
Sede ad Atripalda, Via Manfredi, 75-81
Tel. 0825.614111, fax 0825.611431
www.mastroberardino.com
Enologo: Piero Mastroberardino e Massimo Di Renzo
Bottiglie prodotte: 2.700.000
Ettari: 200 di proprietà e 60 in conduzione
Vitigni: aglianico, piedirosso, fiano di Avellino, coda di volpe, greco di Tufo, falanghina
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