Via Fizzo Trav. Via Ciaolilli, 26/A
Tel 0824.834217 – 393.8834119
Aperto la sera, domenica a pranzo
Chiuso lunedì
Alla carta da 25 a 40 euro
Degustazione terra 30 euro; mare 35 euro
di Tommaso Esposito
Italian Fine restaurant.
Così Daniele Roviezzo, ventotto anni, il cuoco proprietario definisce il suo bel posto.
Sta defilato, in cima a un viottolo sterrato che distacca la strada al confine con Bonea, al piano terra di casa, poco distante dai campi dove il papà e il fratello realizzano la vera filiera corta portando in cucina i doni dell’orto e dei frutteti.
Ha girato un bel un po’, dopo che mammà gli aveva detto: sei bravo tra i fornelli. E’ stato quasi due anni da Antonello Colonna a Labico, poi a Milano in un bistrot di amici, poi a Londra, Al Duca dove a fare piatti italiani ci sono inglesi soltanto.
Ovvio che gli vien voglia di gridare Fine, per dire Vero ristorante italiano ora che sta qui nel Sannio natio da più di tre anni!
Due sale comunicanti. La terza si affaccia tra i fuochi con la finestra ad arco a vista.
Sui vetri sta inciso: laboratorio di cucina ed idee.
Colori chiari e tinte morbide.
Tavoli marrone con runner panna a mo’di tovaglia.
Mise en place curata ma essenziale, eppure raffinata con le bacche di sambuco e i fiori appena raccolti.
Non so, non ricordo come io sia arrivato da queste parti. Forse il passa parola e l’orecchio attento.
Vediamo la carta.
Due degustazioni, una di mare e una di terra, ma si può fare qualche variazione.
Intanto giunge del buon pane con le sfogliatine e i grissini. Fragranti e appena sfornati. C’è quello con il criscito che sua nonna compose nel secolo passato, frammisto di germogli, e quello al vino. Son buoni come pure le zeppoline odorose di mare per le alghe.
Si sceglie ed ecco arrivare in sequenza.
Il Tonno cotto a bassa temperatura aromatizzato alle erbe selvatiche, servito con crema di cipolla di Tropea. Ci sono i finocchi marinati con il limone, le cipolle candite in una dolce mostarda domestica, le patatine viola screziate di giallo (sono un clone sannita, ci svelerà lo chef). Un bel gioco di consistenze, buona acidità e tenue dolcezza, manca l’amaro: non è terra di Ravece, non è tempo di cicoria selvatica. Il tonno, roseo e umoroso, è di gran qualità, c’è una buona pescheria a Montesarchio, pensate! Un bel piatto d’entrata.
Il Timballo di melanzane con pomodoro ramato disidratato, mozzarella di bufala, crema di pomodoro del Vesuvio, pesto di basilico e prezzemolo. Piace.
Via ai primi.
Agnolotto farcito con faraona confit su crema di porcino, un piatto di sostanza, apparentemente semplice, ma ben strutturato. Grasso, ma non untuoso per la farcia e il condimento venuto dal fondo perfettamente tirato con la selvaggina e l’olio beneventano, quasi burro. C’è un pomodorino secco che dà freschezza e sollecita le papille. Succulento.
Agnolotto farcito di baccalà e pomodorino secco. Succulento anche questo. La sfoglia sottile all’uovo, scioglievole ne raccoglie gli umori e li accompagna al palato.
Ecco due esempi di pasta fresca ripiena trattata con riguardo e affrancata dal rischio della stucchevole banalità che spesso altrove si ritrova. Da segnalare.
Risotto carnaroli mare al nero di seppia. Beh, qua la mano del cuoco ha lasciato fare alla sapidità dei mitili troppo vivi per starsene cheti e tranquilli senza esprimersi troppo. Ma la dolcezza dei gamberi ancora vivaci ha risolto il problema.
Chitarrina con cime di rapa e scampi. E’ stato il fuori carta, giacché nella lista gli spaghetti tirati a mano sulla spianatoia da Daniele erano proposti con crema di rapa e aringa affumicata (molto interessante, peccato). Un piatto minerale, saporito per la verdura locale, tuttavia delicato per lo scampo che sembrava ancora agitarsi con le chele.
Cappello del prete, cottura confit con verdurine croccanti di stagione, noci tostate e chips di cipolla. Un bel trancio di spalla di maiale nero sannita. Saporito e simpaticamente glocal con il tempura croccante di cipolla, la crema di patate, i gherigli di noci, i semi di zucca e di girasole, la mostarda di peperone.
Il tortino di cioccolata è stato accettato e gradito perché accoglieva un bel cuore cremoso di bianco.
La frutta ben allestita.
La falanghina, quella vera di Bonea e del Taburno, insolitamente sapida, quasi flegrea è quella di Venuto. La cantina, non estesa ma invogliante al buon bere soprattutto per il modesto ricarico dei prezzi, è in ri-allestimento e la carta dei vini avrà a breve un restyling.
Una bella sorpresa questo Rovy. Cucina di corta filiera, ma non proprio di territorio. I piatti tradizionali compaiono nelle feste. Gli orizzonti del cuoco stanno ben oltre il Taburno. E’ bello che sia così.
Del resto Labico, ma pure Londra diamine, non sono poi tanto lontane!
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