Mokambo Gelateria a Ruvo di Puglia
Via Nello Rosselli, 29
Tel. 345 604 0984
Aperto tutti i giorni dalle 12 con pausa pranzo
www.mokambogelateria.com
Se esistesse la Michelin dei gelati Mokambo Gelateria dei fratelli Vincenzo e Giuliana Paparella avrebbe la stella verde oltre che, ovviamente, le tre stelle. In un vero mondo al contrario, fanno gelati con uova di galline che starnazzano all’aperto e di vacche che pascolano fuori alle stalle. Quando ero piccolo, ormai molto più di mezzo secolo fa, tutti i gelati erano fatti in questo modo: tre ingredienti base se contiamo lo zucchero più la variante del gusto, ovviamente naturale.
Ci piace buon ultimi parlare di questa realtà, ma in questo blog non si scrive se non si assaggia senza smanettare sul web, perché èun esempio plastico di cosa può fare la passione e la tecnica italiana quando è applicata con rigore e senza imboccare scorciatoie apparentemente favorevoli ma ache alla fine abbassano l’asticella e rendono tutto uguale, tutto omologato e, fatti i conti con la buirocrazia italiana, alla fine perdente. Ruvo di Puglia, vicino Corato, deve aver maturato un gene particolare nel corso dei suoi ottomila anni di storia: qui è al lavoro un grande scout di prodotti italiani, Giulio Cantatore, un Pico della Mirandola delle bontà del Belpaese quando ancora non esisteva internet e bisogna girare per scoprire.
La tradizione di Vincenzo e Giulia, e dello zio Franco non è una narrazione ad uso media. Rubiamo la ricostruzione di Stefania Leo dal bel sito Pugliesità: ” La storia della Gelateria Mokambo inizia nel 1910 con Luigi Marseglia, prima garzone e poi capo di pasticceria del Caffè Gambrinus di Napoli, che si trasferisce a Ruvo di Puglia, per seguire la sposa pugliese. Apre il Caffè Gambrinus e istruisce all’arte della pasticceria Vincenzo Paparella senior, che a sua volta, l’8 novembre 1967, apre il Bar Mokambo in corso Carafa 56. Qui le ricette di Marseglia continuano a vivere attraverso le mani di Franco e Antonio, i due figli di Vincenzo. Alla sua morte, i fratelli si dividono: Antonio resta nel Bar Mokambo e Franco intraprende un’avventura nel mondo della ristorazione. Il Bar Mokambo chiude negli anni ’90. I figli di Antonio, Giuliana e Vincenzo Paparella iniziano a fantasticare sulla riapertura della gelateria di famiglia. Ma per farlo ci vuole il sapere di zio Franco, che accetta la sfida di rimettersi ad armeggiare con ingredienti naturali e ricettari per riportare sui coni e nelle coppette incantesimi commestibili. Mentre Giuliana ruba il mestiere, Vincenzo si occupa del lato “tecnologico” dell’impresa”.
Il piacere di entrare in questo localino stretto stretto è nel fatto che tutto è curato nei dettagli ma niente è finto o pensato per il tipico storytelling. Vecchie caffettiere, giocattoli anni ’60 come il carretto cantato poi da Lucio Battisti, una bella esposizione di prodotti anche da acquistare, il laboratorio artigianale dove si produce il gelato d’altri tempi. La sensazione è quella di visitare le antiche botteghe in via di estinzione, il calzolaio, l’arrotino, oppure nei laboratori di San Gregorio Armeno.
I gusti sono pochissimi, il piatto forte è la crema del re, ricetta borbonica del 1840 (non dimentichiamo tra l’altro che Vincenzo Corrado è nato ad Oria, cioé qui in Puglia), in Campania il corrispettivo è il Caseificio Vannulo o il pastificio Vicidomini per capirci o Casa Madaio.
Possiamo un attimo soffermarci sul concetto di artigianalità, soprattutto in un settore come il gelato che è una sorta di Far West non regolamentato. Artigiano in questo senso non è solo colui che materialmente fa il gelato, ma anche chi non usa preprarazioni chimiche e industriali, chi insomma risale la corrente sino al momento in cui il latte esce dalla mammella della mucca, una mucca non stressata.
Sul gusto del gelato di Giuliana e Vincenzo penso sia inutile soffermarsi, a me ha riportato davvero indietro negli anni, ma tanto indietro, quando le creme erano fatte in proprio e la frutta usata non era trattata. Ancora oggi ricordo un gelato alla fragola del Bar Quattro Leoni a Vallo della Lucania dove si trascorreva un mesetto in estate con la famiglia. Sono sapori della generazione di mezzo, quella che ha vissuto l’urbanizzazione e l’affermazione dei prodotti industriali visto come un segno di progresso, e che adesso assiste ad una piccola rivincita, tra mille difficoltà, del grande artigianato agroalimentare italiano.
Non siamo passatisti, spesso è proprio la tecnologia ad aiutare la maturalità dei prodotti, ma il vero tema sapete qual ì: il cuoncio cuoncio. Ossia il tempo necessario per far si che ogni prodotto alimentare raggiunga il suo zenit, il punto giusto per essere venduto e consumato senza dover accelerare i processi per fare più numeri.
Allora quando volate in autostrada e le distese di olivi e viti annunciano che siete in Puglia, fermatevi e venite qua. Con 70 euro potrete fare un percorso e noi non faremo clickbaiting titolando su questo per avere la solita schiera di coglioni sui social che grida allo scandalo. Lo mettiamo qui, alla fine dell’articolo, per chi sa leggere e scrivere, presupposto per godere della vera qualità artigianale italiana.
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