di Marco Galetti
«…On moment i verdur han de bui adasi
No men don para d’or e mezza o quasi…”
Da La cusina de Milan, di G.Fontana, chef, poeta e appassionato del vernacolo milanese.
Giuseppe Fontana fu, nei primi due decenni del novecento, il grande chef del Ristorante Savini, il mito in Galleria dal 1884.
Mentre stanno, presumibilmente, percorrendo altre strade anima e corpo tra le nuvole, ritrovo, tra giovani ricordi e tra le loro cose, un vecchio libro di Giuseppe Fontana, ormai dimenticato da non dimenticare, teniamo vivi in un colpo solo, ricordi, libri, tradizioni e ricette, molto probabilmente avevo ancora due fave nascoste da qualche parte, orfane di un pecorino toscano semi stagionato che ho finito ieri sera.
Nessun segreto, qualche accorgimento, basi regionali, d’impronta casalinga e familiare, si fondono attraversando da nord a sud le nostre regioni, differenziandosi stagionalmente per un ingrediente, un condimento, per la scelta finale di aggiungere o meno, alle verdure, pasta o riso, per preferenze sottili ma importanti di temperatura, per consistenze più o meno brodose, per i profumi che riempiono le cucine e che, chiudendo gli occhi, possiamo ritrovare, inaspettatamente, fuori contesto, così, dovunque siamo con il corpo e con la testa, fermiamo tutto per attimi e ricordiamo con precedenza assoluta scodelle fumanti e giorni ormai spenti…appena possibile, dunque, accendiamo il fuoco sotto una pentola d’alluminio alta, larga, capiente che dovrà contenere:
Sedano
Carote
Cipolle
Aglio
Patate, da schiacciare a fine cottura, per dare un po’ di densità al brodo, come vuole la tradizione
Erbette
Quando la stagione lo permette:
Cipollotto
Fagiolini
Fagioli freschi (o secchi, tenuti a bagno dal giorno prima)
Piselli freschi (d’inverno uso un po’ di quelli che ho congelato a primavera)
Pomodori freschi passati a mano o frullati, imprescindibile, a pezzi non rendono (o un vasetto di sugo preparato con i pelati nelle stagioni uggiose)
Basilico, a fine cottura qualche fogliolina spezzata a mano e, volendo, un ciuffo a guarnire
Verze
Facoltativo, solitamente evito, : salvia, prezzemolo, pancetta, lardo (a meno che non sia quello di Contursi) e grana padano
Per tradizione il minestrone alla milanese nasce e continua a vivere, senza soffritto, si mette tutto a freddo con acqua in abbondanza e si cuoce a fuoco basso per lo stesso tempo indicato dal Fontana in apertura di post, quasi due ore e mezza quindi, a fine cottura, si aggiunge il riso, ma a me piace molto anche con i ditalini, o tubettini che dir si voglia.
Dovrà risultare abbastanza denso, per intenderci un po’ meno di una pasta e fagioli, sarà possibile gustarlo a temperatura ambiente, si rassoderà un po’, personalmente lo preferisco caldo, anche durante la collezione primavera inoltrata, estate infinita e infuocata, il periodo dell’anno nel quale, a mio parere, si ottiene il massimo da un minestrone, d’inverno, i toni più verdi, quando fuori la nebbia invade le pianure del nord è buono lo stesso, ma il risultato non sarà lo stesso, ode al pomodoro, dunque.
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