Di Nicola Cavallaro s’è parlato molto negli ultimi tempi e se ne parla soprattutto adesso che il Gambero Rosso gli ha riconosciuto per la prima volta le “due forchette”, collocandolo a pieno titolo tra i migliori ristoranti di Milano. Un riconoscimento importante che se da un lato rende finalmente merito alla sua cucina, dall’altro arriva, forse, un tantino in ritardo.
Ora che ci penso, la mia prima volta “Al San Cristoforo”, riva destra del naviglio Grande, risale agli albori della mia vita meneghina e nonostante il tempo trascorso la parmigiana piano piano con il ragusano DOP mi è rimasta impressa. L’ultima puntatina, invece, è roba di due settimane fa. Ecco, a conti fatti, ho potuto notare diversi cambiamenti. I grissini al tavolo, per esempio: non più lunghi come quelli che tanto mi piacevano ma dimezzati, non certo in bontà, quella sì uguale. Diverso anche il personale di sala, con il maître Diego Piergiovanni – esperienze importanti da Cracco e Uliassi – e la sommelier Chiara Giovoni – compagna di bevute – che si muovono con disinvoltura tra i tavoli.
Non è cambiato, invece, il locale che si sviluppa su due piani: una saletta con un vecchio camino (purtroppo non più in uso) e sui tre lati una “libreria” di etichette, identica e precisa a quella che vorrei fare un giorno nella mia cantina; e una sala upstairs. Pareti tinteggiate di un verde pastello ai più inviso ma che io, al contrario, trovo assai rilassante e tavoli opportunamenti distanziati con una mise en place di sobria eleganza.
La cucina di Nicola è sempre stata istintiva e passionale, ricca delle contaminazioni di varie esperienze in giro per il mondo; l’impressione di oggi è che lo chef di origini padovane abbia trovato una certa maturità. Il menù stesso è un mix di innovazione e tradizione, filo conduttore anche dei tre menù degustazione proposti: settantotto, cinquantotto e quarantotto, prezzi come da nome.
L’entrée è una ricottina avvolta da una fettina di zucchina con una rondella di cetriolo e un’altra di peperoncino fresco: il sapore delicato della ricotta è ravvivato dall’intensità del peperoncino, assolutamente in equilibrio con il gusto della zucchina e del cetriolo.
La seconda inaspettata entrée è, invece, un porcino tagliato a fette e adagiato su un letto di rucola, con scaglie di parmigiano reggiano e un filo d’olio extravergine d’oliva Pianogrillo.
Dimenticavo, i pani: tutti prodotti dallo chef con due infornate al giorno, una per pranzo e una per cena. Assolutamente pregevole quello alle cipolle (il mio preferito), molto saporiti anche i taralli.
Arriva a sorpresa il prosciutto di ricciola, senape piccante, marmellata di pomodori e germogli. E lascia il segno, tant’è che la foto è quasi postuma: felice accostamento tra i prodotti del mare e quelli della terra, dove la sapidità della ricciola e l’aromaticità della senape si sposano a meraviglia con la marmellatina di pomodori.
Mi è piaciuta molto la presentazione del bacalà mantecato, chips di polenta e zabaione di peperoni, parlo del contrasto tra le tre palline di bacalà e il nero del piatto quadrato. Le chips assolvono a una funzione non soltanto puramente estetica, conferendo un leggero sapore amarognolo che spezza la gentile mantecatura del bacalà e la salsetta di peperoni.
Il bello degli spaghetti Senatore Cappelli con aglio, olio Pianogrillo e peperoncini freschi è l’effetto crescente di piccantezza che deriva dalla varietà di grano utilizzato per gli spaghetti, dai peperoncini freschi e pure dall’olio extravergine siciliano da olive Tonda iblea, quest’ultimo appena oltre la dose media giornaliera che potrei permettermi.
E, infine, il pollo passerino dell’azienda Viustino 65 fritto su misticanza e marmellatina di fichi d’india. Taglia extra-small per questo pollo – portato in Italia dal Brasile – che è stato prima bollito, poi impanato e fritto. Il risultato è una carne tenerissima e una croccante panatura esterna che trova la propria compagna ideale nella dolcezza della marmellatina, magari appena appena sopra le righe ma riportata in equilibrio dalla beva sapida del vino scelto in abbinamento, lo Stefano Antenucci Marche Rosso 2007 della Cantina Santa Barbara, un montepulciano tagliato alla bordolese di ottima soddisfazione e di buon rapporto qualità/prezzo.
I vini, appunto. La carta è ben assortita e tuttora in divenire, frutto di un attento e costante lavoro di ricerca da parte della sommelier Chiara Giovoni e dello stesso chef. Con un occhio alla Campania, trovano spazio la falanghina di Antica Masseria Venditti, il fiano di Ciro Picariello, il greco di Vadiaperti, i due Furore bianco di Marisa Cuomo e, tra i rossi, i Taurasi di Contrade di Taurasi e Antonio Caggiano. In più, un’interessante selezione di birre artigianali e di distillati, tra cui il Gin della distilleria #209 Napa Valley con cui Nicola si è divertito a preparare uno strepitoso gin-tonic. Puoi anche portarti il vino con la formula “bring your own bottle” con un diritto di tappo di 6 euro.
Non si paga il coperto: alla carta quello che ho mangiato fa giusto 56 euro, escluso il prosciutto di ricciola e i vini.
Ristorante “Al San Cristoforo”
via Ludovico il Moro, 11
Tel. 02/89126060
chiuso sabato a pranzo e domenica
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