di Gaspare Pellecchia
Si è appena conclusa una tra le più complete ed esclusive kermesse gastronomiche internazionali: “Identità Golose”, impeccabile creatura, voluta e gestita dall’autoironico Paolo Marchi.
La struttura, che ha accolto questa autorevole tre giorni, è stata Palazzo Mezzanotte a piazza Affari, in pieno centro di Milano, con i suoi tre piani letteralmente invasi da centinaia di giornalisti, appassionati, esperti. Decine e decine di ambienti-cottura completi, con telecamere; stand magnifici, salette dedicate al gusto (tra cui Mauro Amelio, che ci ha tenuto un’eccellente degustazione didattica sull’olio): e che gusto: da Gualtiero Marchesi ad Ernesto Iaccarino, i maggiori cuochi e pasticcieri italiani (e non) c’erano proprio tutti, e tutti ai fornelli a spiegare, cucinare, far degustare.
Quest’anno la rassegna (vero e proprio Congresso di cucina d’autore) è stata dedicata sia alla Campania che ai paesi scandinavi (assaggi di carne di alce e di renna, oltre ad ottimi sidri di mele), con una brevissima puntata in Estremo Oriente (è davvero inafferrabile la pasticceria giapponese!).
Temi centrali, dei numerosi dibattiti: il pane, la pasta (la rassegna ha visto il trionfo dei nostri “paccheri”), le lievitazioni; ma anche il ruolo sempre più marginale della carne a scapito del pesce, offerto, ovviamente, crudo. Infine un ulteriore tema molto discusso è stato il concetto di una nuova cucina che rispetti sia la salute dell’uomo, e degli animali, che quella del nostro pianeta.
A questo punto fare un elenco completo dei contenuti di questa manifestazione mi pare inutile (vi rimando, allo scopo, al sito internet istituzionale), perciò vi riassumo solo le “mie” esperienze dirette.
Primo aggettivo: entusiasmante. Domenica 28 gennaio, tra premiazione e presentazione, cena di apertura lavori, il mezzo pacchero alla colatura di Alfonso Caputo strega tutti. Ma strega tutti anche la freschissima mozzarella (la Contadina); italiani, svedesi, norvegesi, danesi, giapponesi, tutti d’accordo! Si berrà Alois, Castelfranci, Guardiense, Mustilli, la dorata Zingarella di Parisi (Moscato di Baselice… prossima doc?), il Lacryma di Sorrentino, il Limoncello di Villa Massa; ma anche l’introvabile, milanesissimo rosso di San Colombano, tutte le profumatissime bollicine firmate dal Consorzio dell’Asti; infine il Cinque Stelle, lo Sfursat di Nino Negri (il 2003 fa quasi sedici gradi di alcool, con sentori di zabaione, rhum, terreno).
Poi, tra lunedì ed oggi (mercoledì 31), la vera rassegna: secondo aggettivo: stupenda.
La sfilata di chef: il gigante Cannavacciuolo (che a proposito delle mini-mini porzioni di finger-food che hanno letteralmente invaso la manifestazione, ha esclamato, con grandissima sincerità: “cca’ p’ capì’ ‘o piatto t’a magnà tre vòte”), Moreno Cedroni, Carlo Cracco, premiatissimo, Oliwer Glowing (che ci ha preparato un pepatissimo pacchero allardiato con cipollina rossa, divino!), il simpaticissimo Roberto Petza con la sua cucina così diretta ed essenziale, l’altro premiatissimo, Pierangelini, Pisaniello, la famiglia Santini (la signora Nadia ha filosofato: “la cucina è eterna ripetizione di formule chimiche”, “la cucina è il miglior modo di incontrare il mondo”), Ciccio Sultano, Sal De Riso, Leemann, oltre a tanti altri chef dai nomi illustri che non cito per ovvietà. In ordine sempre, rigorosamente sparso, mando un saluto anche a Cristiano Di Tillio, promettentissimo chef abruzzese (che ci ha proposto una spuma di pecorino al bicchiere, abbinata col Plaisir di Zaccagnini).
Vi parlavo dei temi. Ecco altre suggestioni che ho raccolto: la cucina come scienza (lo sapete che il culatello si fa con la nebbia?) e la cucina molecolare (insomma le gelatine “spagnole”, curate dai laboratori del gusto di Selecta e di Sosa, che forse hanno già stancato), la cucina come tradizione di famiglia (almeno in cucina è decisamente da sfatare il detto che una generazione propone, una sviluppa, la terza distrugge!).
Ancora, quelli di Velier, i fini commercianti di vino genovesi, che hanno portato in Italia i vini degli ArtigianiArtistiAgricoltori del francese Joly, tra cui ringrazio Goran che mi ha fatto provare (finalmente) la “sua” Vitovska, un mineralissimo e singolarissimo vino bianco del Carso, cresciuto su una roccia che è un po’ italiana ed un po’ slovena.
E come non nominare Arianna Occhipinti, sicula wine-maker, ed il suo genuino, freschissimo rosso a base di Nero d’Avola e Frappato?
E come non nominare, ancora, qui, il professor Meyer e lo chef Peter Milson, due vichinghi genuini, che ci hanno insegnato tutto sulle tradizioni culinarie nordiche (baccalà e stoccafisso vi dicono niente?)?
Ah, dimenticavo, caspita, il meglio: lo stand della Campania, curato dalla briosa, simpaticissima Annamaria Cuomo, affinatrice di formaggi de “La Tradizione” di Vico Equense. Che bontà il suo prosciutto di Sturnio e gli speziatissimi finger-food di carne di bufala e gli stracchini ed i caprini affinati nel carbone vegetale ed il provolone del monaco e la confettura di sorbe.
Per concludere, il terzo aggettivo: indimenticabile!
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