Milan Campione, sputtanata la stampa sportiva. Ma quale Champagne a fiumi, si è festeggiato con una sei litri di Cà Del Bosco!

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Qualcuno potrà dire che mi rosica: in realtà non c’è nulla da dire sulla vittoria del Milan, anche perché, come juventino, ho avuto altri problemi, infinitamente lontani dalla lotta al vertice.

Tuttavia, sabato sera, alla fine della partita con la Roma che chiudeva la storia di questo campionato, sono rimasto un po’ lì, davanti alla tele, in attesa di una risposta, anche una semplice, banale, evidente constatazione.

Come oramai succede anche nei tornei estivi di palla prigioniera, tra baci e abbracci dei giocatori milanisti esultanti, iniziava, inevitabile, il rito della doccia con schiuma, spuma e bollicine: si fanno tante cose solo per sentito dire, perché di moda, accetteremo anche questa, con tutti gli annessi e connessi machisti, ovvi e un filo volgari. Son ragazzi.

Cronisti e commentatori, satellitari, digitali e analogici, partecipano divertiti e consapevoli al rituale, sottolineando con una certa enfasi la qualità del liquido eruttante: Champagne, affermano.


Champagne a fiumi, scorre lo Champagne, e finalmente lo Champagne. L’intervistatore a sua volta fradicio come un pulcino, tiene a precisare che l’allenatore al microfono non è madido di sudore , tantomeno piange calde lacrime di commozione per l’importante vittoria, ma è semplicemente e beatamente zuppo: di Champagne, ça va sans dire.

I giocatori in preda a raptus pompieristici si aggirano sul campo con belle bocce atte al solo sputacchiare, docciare o possibilmente inondare chiunque, malcapitato inebetito, passi loro accanto. Nulla da dire, è festa, s’è vinto, si esulta: a Champagne.

Se non fosse, mi dicevo timidamente, che le belle bottiglie trasparenti con un vino di bel colore dorato ed una etichetta facilmente riconoscibile, erano jéroboam, e forse mathusalem, di bollicine italiane, anzi per la precisione di Franciacorta, anzi, con una certa e insopportabile dose di pedanteria di cui mi scuso, direi Ca’ del Bosco Cuvée Prestige. Champagne una pippa.

E io lì, per cinque minuti, come uno juventino rincretinito, a chiedermi perché, a domandarmi come mai nessuno se ne fosse accorto, o nessuno lo sottolineasse, datosi che evidentemente quelle bottiglie non erano lì per caso, non era passato Gattuso un momento dal bar a prenderne due o tre casse, per di più di grande formato. Sarebbe bastato dire Franciacorta, e invece Champagne, Champagne…

Perché se c’è una festa d’alto bordo ci deve esser per forza Champagne?

Perché se piloti, velisti o giocatori in mutande e canotta del Milan, dell’Inter, della Juve (chissà quando), persino del Napoli (ai tempi di Maradona, Ferlaino e Necco li buttarono banalmente sotto la doccia, d’acqua), insomma se degli sportivi decidono di innaffiarsi a vicenda devono farlo per forza con bocce di Champagne?

Sarà che la Ca’ del Bosco, furrrba, non ritiene producente per la propria immagine un uso così banale del prezioso nettare franciacortino, lasciando passare tutto sotto silenzio?

Sarà che invece, con queste righe e per quel che contano, ci son cascato proprio io?

Maurizio Zanella è interista?

Son domande epocali, anche un pelino snob, ma sempre un filo meno di quelli che appena vedono una spuma bionda tra gente danarosa certificano che null’altro può essere se non Champagne. Invariabilmente e passivamente Champagne. Ovvio che non ho nulla contro le bolle francesi, anzi, ma se quelle sul prato dell’Olimpico e sulle chiome brillantinate dei calciatori non lo erano, perché dirlo a priori, ciecamente, facendo prender aria ai denti?

Alla fine, eroicamente esausto, dopo minuti di ostentazione persino eccessiva del marchio, tra mutande, parastinchi e cori chinonsaltaè tra i lettini dei massaggi, dopo che nemmeno il paonazzo Galliani mi risolveva l’arcano, forse perché ormai perso alla causa, per via della sterile spola tra Giannino e il Bistrot del Forte, mi son deciso a spegnere la tv, portando a nanna con me il dilemma dei dilemmi: ma perché, benedetti ragazzi, sputtanare in siffatto modo tutto ‘sto bendiddio?


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