di Virginia Di Falco
Le migliori osterie romane di cucina tradizionale? Uhm, vediamo.
Avvertimento numero uno. Non è una classifica. Avvertimento numero due. Sono circa 20 indirizzi (compresi alcuni imperdibili fuori porta) che consentono di rispondere alla domanda delle domande: «Mi suggerisci un buon posto dove mangiare a Roma?». Laddove per BUONO si intende, il 99% delle volte:
- cucina della tradizione romanesca
- una carta dei vini non da rapina e/o vino della casa potabile
- un (almeno) discreto rapporto qualità prezzo, mantenendosi sui 35-40 euro.
- atmosfera accogliente e servizio informale
Chi conosce la ristorazione capitolina sa bene che le risposte sono – più o meno – sempre le stesse. Ma mi è stato chiesto di raccoglierle in un post. E dunque eccole qui.
Otto di queste sono da considerarsi in centro – o in zone comunemente definite centrali — non nel senso delle sole mura aureliane, insomma. Cinque sono invece osterie ‘di quartiere’ e cinque, infine, consentono di scoprire, magari in occasione di un bel pranzo della domenica, la cucina tipica della campagna romana in trattorie fuori porta ormai più che consolidate e mai banali.
A come Armando al Pantheon. Il nome del fondatore di una delle osterie più conosciute di Roma, a gestione familiare, ora nelle mani del figlio Claudio Gargioli, chef e cultore delle ricette storiche romane (ci ha scritto anche un libro). Di fronte ad uno dei monumenti più belli del mondo, un localino di grande atmosfera. Da non perdere: gli spaghetti alla gricia e la torta Antica Roma di Fabiana Gargioli.
In un vicoletto di fronte al Parlamento la cucina tradizionale e rassicurante del Cavalier Gino: piatti, arredamento, atmosfera e servizio sono proprio come cinquanta anni fa. Nonostante i turisti. E nonostante Montecitorio.
Da non perdere: la carbonara e la destrezza recitativa dei camerieri ‘storici’.
Flavio De Maio, ristoratore – ma possiamo ben dire ‘oste’ – con il suo Flavio al Velavevodetto è oggi uno dei punti di riferimento in città quando si vuole sfogliare il manuale del menu romanesco, dalle puntarelle al tiramisù.
Da non perdere: la sua cacio e pepe e il racconto fantastico del ‘monte dei cocci’.
Romolo alla Mole Adriana: una delle trattorie più antiche di Roma (sta per festeggiare i novant’anni). La famiglia Perilli ha gestito nel corso del tempo tanto una clientela affezionata quanto le migliaia di turisti che affollano la zona tra Castel Sant’Angelo e il Vaticano.
Da non peredere: i tubetti con le lenticchie. Come a casa. No. Meglio che a casa.
In un posto strategico, tra i quartieri Testaccio, Trastevere e Porta Portese, da cinquant’anni troviamo la cucina della Tavernaccia. Locali completamente rinnovati, anche in questo caso gestione familiare: il fondatore veniva dall’Umbria (oggi la mano è passata alle due figlie) ma la cucina è prevalentemente romanesca, con una curiosa quanto lodevole ricerca di prodotti e chicche locali.
Da non perdere: i rigatoni con la pajata e … la cottura nel forno a legna di più di qualche piatto.
Lo’Steria a Ponte Milvio. Non lasciatevi impressionare dal quartiere modaiolo, né dal vezzo dell’apostrofo sbagliato. Qui, i due fratelli Ogliotti, uno in cucina e l’altro in sala, giovani ma con la testa sul collo, presentano in maniera impeccabile l’ABC del ricettario romanesco.
Da non perdere: la coda alla vaccinara e le ricette complete scritte sulle lavagne alle pareti.
Se c’è un equilibrio difficile da raggiungere (e soprattutto mantenere) è quello tra osteria di tradizione quando – come in questo caso, si eredita un’attività di famiglia a Trastevere – e tratti di indispensabile modernità. Bene, qui da Enzo al 29 ci riescono benissimo, con grande soddisfazione di turisti e habituè.
Da non perdere: gli gnocchi col sugo di spuntature e la civilissima opportunità di cenare con prenotazione alle 19.30, senza fila.
Meritatissima chiocciola Slow Food anche nel 2016 per Il Grappolo d’Oro: questa bella osteria a due passi da Campo dei Fiori continua nel suo strenuo percorso di “resistenza gastronomica”. Uno dei migliori rapporti qualità/prezzo di Roma nel cuore turistico della città.
Da non perdere: l’amatriciana e – quando ci sono – le animelle con i carciofi.
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Spostiamoci adesso in zone meno centrali, dove nel corso degli anni, diversi locali nati come riferimento di quartiere sono riusciti a farsi conoscere da un pubblico più vasto grazie soprattutto al passaparola. Ma anche in quartieri dove ne sono nate di nuova impostazione, con cucina moderna, allegerita, grande attenzione ai vini (e soprattutto alla mescita) senza così rinunciare ad uno dei cardini ell’osteria: il costo abbordabile.
Di nuovo una ‘A’. Quella di Angelina, Mamma Angelina, per la precisione, al quartiere Africano. Ambiente, menu e carta dei vini più da ristorante ma atmosfera genuinamente da osteria. Entri e non puoi fare a meno di pensare al pranzo della domenica in famiglia, quello con i fritti, la pasta ripiena o al forno, la torta per chiudere.
Da non perdere: il fritto di moscardini e due chiacchiere con la signora Angelina, a fine servizio.
Tavernia Cestia, all’ombra della Piramide. Ancora un’osteria familiare, con grande tradizione e mestiere, origini amatriciane e tanta voglia di fare. La nuova generazione, con Valerio Salvi in testa, protegge la tradizione in cucina, difende la sua pizza scrocchiarella e innova con curiosità la cantina.
Da non perdere: l’amatriciana ma anche non dimenticare mai di chiedere i piatti di pesce del giorno, perchè qui il mare locale è trattato seriamente.
Da Cesare al Casaletto, zona Monteverde Nuovo. Il tram dei desideri esiste. E’ il numero 8 che porta dritto ad una delle migliori trattorie di Roma. La modestia e la bravura di un oste moderno, Leonardo Vignoli, in una delle riletture più autentiche della cucina romana.
Da non perdere: le crocchette di melanzane all’arrabbiata e le polpette di bollito con pesto di basilico: l’antipasto più fotografato della Capitale.
Non molto lontano, quartiere Gianicolense, un’osteria di nuova fondazione ma dalle radici profonde mezzo secolo: da Palmira. Aperta allora dai genitori degli attuali proprietari, custodi delle ricette di famiglia: piatti della tradizione e prodotti regionali selezionati con un occhio molto attento ai dettami Slow Food. Praticamente Amatrice a Roma.
Da non perdere: le polpette di bollito e la birra artigianale di Amatrice.
Sempre a Centocelle, Menabò, un’osteria di nuova concezione. Due fratelli impegnati nell’impresa: Paolo in cucina e Daniele in sala, che si occupa dei vini, con piglio e competenza da vero oste. Un locale arredato in maniera semplice, quasi minimalista, con una serie di piatti più che indovinati.
Da non perdere: il pollo alla cacciatora, carne vera e ricetta filologica.
Un posto storico in un quartiere storico: Tram Tram a San Lorenzo. Da vecchia bottiglieria con cucina a trattoria moderna. Cinquant’anni di ambiente raccolto e confortevole, tra ricette della tradizione, piacevoli incursioni tra Puglia e Sicilia, e una carta dei vini curiosa e abbordabile.
Da non perdere: le varianti stagionali di pappardelle con l’agnello, in primis quelle con i carciofi.
Infine, zona Ostiense, Trattoria Pennestri, aperta recentemente e subito entrata nel circuito di chi ama le atmosfere un po’ retro, con ambienti curati nei dettagli, ma senza essere pretenziosi. Anche qui, l’impostazione moderna dà il giusto peso alla tradizione, un po’ rivista con estro e leggerezza, alla selezione delle etichette e alla sala, attenta e preparata.
Da non perdere: i saltimbocca di polpette profumati al limone
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E se si ha voglia di un fuori porta? Nessun dubbio. Cinque indirizzi più che affidabili:
- Campagnano di Roma, Iotto. Cucina rispettosa della campagna romana, servizio di grande cordialità. Da non perdere: il gran fritto misto di apertura.
- Cesano di Roma, Osteria del Borgo. 85 anni ben portati in un’atmosfera autentica con un menu a soddisfazione garantita. Da non perdere: i fagioli con la cotica, a proposito di autenticità.
- Olevano Romano, Sora Maria e Arcangelo. Il patron Giovanni Milana è l’esempio più riuscito di come si possa tener fede al lavoro fatto dalla propria famiglia in sessant’anni senza però mai sedersi, tenendo sempre accesa la lampadina della curiosità. Da non perdere: i cannelloni. Gli unici che non vi faranno rimpiangere quelli mangiati in famiglia. E i maritozzi di Giovanni.
- Cerveteri, Arià – Osteria di fuori porta. Un ambiente molto accogliente, un sito archeologico tra i più belli del Lazio a due passi, una cucina schietta e solida. Da non perdere: la porchetta fatta in casa.
- Grottaferrata, Oste della Bon’Ora. Anche solo un pranzo domenicale sarà una sorta di piccolo master su cosa vuol dire fare l’oste: il mestiere di Massimo Pulicati in sala e di Maria Luisa in cucina. Da non perdere: un abbacchio sempre da dieci e lode.
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