di Santa Di Salvo
La taverna in copertina già ci mette sull’avviso. Siamo nel presepe napoletano, un terraneo con tutte le stoviglie in rame lucidato e stagnato, credenze ricolme di piatti e brocche, uno spazio all’aperto con tavoli sotto il pergolato e al piano superiore panni stesi e donne che chiacchierano coi passanti. Poi chiamatele come volete: taverne alla maniera di Salvatore Di Giacomo, trattorie e osterie che ancora piacciono a noi, locande o bettole ma è già più raro. Sempre di viaggio enogastronomico si tratta. Molto più anarchico della media, volutamente senza stelle cappelli e forchette, anomalo rispetto ai presunti interessi dell’autore. Che è Alberto Castellano, fino ad oggi noto come critico cinematografico e tifoso di calcio, ma gourmet non sapevamo. Invece sì, dopo Cinema e Calcio la terza C preferita è il Cibo. E poiché la domanda più frequente che capita a molti di noi che questi luoghi frequentano è “mi dici dove vado a mangiare?”, Castellano il suo libro lo intitola proprio così: “Scusa Alberto… Mi consigli una buona trattoria?” (Cultura Nova Edizioni, 196 pagine, 10 euro). Evidente la scelta popolare. Castellano ama frequentare i locali della “resistenza”, i luoghi necessari alla sopravvivenza di una cultura, le tavole dei sapori e degli odori perduti. Nasce così questa piccola guida alle 150 trattorie del cuore, che il nostro critico preferisce ai ristoranti di classe. Quasi sempre familiari, divise per zone della città, giustamente equilibrate tra centro e periferia, senza tralasciare la connotazione sottoproletaria tipo Scampia, Vasto e San Giovanni a Teduccio.
Castellano ama la cucina di tradizione partenopea tanto quanto l’osservazione antropologica dell’umanità che incontra, perciò le sue schede non sono mai solo tecniche ma si aprono alla narrazione di luoghi e persone che accompagnano bene la descrizione dei piatti. Le prefazioni di Amedeo Colella e di Lamberto Lambertini sono un utile contributo all’analisi. Divertente per un verso e con un pizzico di malinconia dall’altro. Specie in Lambertini, che racconta alcune scene di un suo film girate nella trattoria “Da Carmela” adiacente il teatro Bellini e ricorda le ore piccole passate ai tavoli dopo la chiusura, quando don Vincenzo il proprietario Ciro il cameriere e Carmeniello il tuttofare invitavano la compagnia a fermarsi ancora per un ultimo spaghetto aglio olio e peperoncino, chiusura ideale della lauta cena.
Senza far torto a nessuno, alcuni nomi molto “pop” spiccano in questa guida perché difficilmente li troverete altrove. C’è il boss della trippa ‘O Russo a Sant’Eframo Vecchio e alla Calata Capodichino; la trattoria Vigliena a via Ponte dei Granili, famosa per lo spaghetto al polpo; la tavola calda da Umberto a Bagnoli, ahimè rinominatasi anche RistoPub; la Cantina del Borgo a Piscinola/Scampia, a cento metri dalla metropolitana; le Nonnerie a via Palermo al Rione Alto; “Cca se magna e nun se pava” a via Padova, tra il Vasto e il Centro Direzionale; Ampressa Ampressa al Lavinaio, sette euro un pranzo completo; Da Giovanni a via Sopramuro, a pochi metri dalla Circum e a pochi passi dal mercato del pesce. E c’è pure “’O Vascio ‘e Nunziatina” a vico lungo Gelso, che come alcuni sapranno è un basso napoletano di 40 metri quadri in cui si pranza tutti assieme e tra una pasta allardiata e salsicce e friarielli si assiste pure a uno spettacolo. Inutile stilare classifiche tra ragù e paste e patate.
La guida di Castellano è volutamente omologante perché vuole esaltare il cibo di strada e i “vini e cucina” più genuini contro la ristorazione globalizzata. La troverete nelle librerie e online anche su Amazon, ma meglio rivolgersi a www.slowbooks.it che è una distribuzione indipendente.
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