di Giustino Catalano
Miglioratori pizza. Onde evitare che qualcuno si senta chiamato in causa, al contrario dei gialli da ombrellone che sino all’ultima pagina ti lasciano intendere che il colpevole è il maggiordomo, per poi svelare che il vero colpevole è l’unico insospettato, dirò subito che la colpa è della mia mamma. Così tutti gli altri si sentiranno salvi.
E’ colpa sua se, benché nata negli anni Trenta, figlia di mamma e nonna che facevano tutto in casa, sul finire degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, si lasciò affascinare dal prodotto pronto o rapido da preparare.
Fu in quel preciso istante che la mia infanzia cominciò ad altalenare tra un piatto di gnocchi di patate, fatti assolutamente a mano con il ragù con il pomodoro delle bottiglie fatte in casa e il concentrato fatto sotto il sole secondo la più antica ricetta familiare dello strattu, e uno di ravioli pronti in scatola.
Fu in quel preciso istante che alla cotoletta si avvicino la cotoletta di jambonet che a detta di mia madre era “più buona con un goccio di limone”.
In quel preciso istante cominciarono a comparire la Simmenthal, la margarina, le merendine secche come il pane vecchio che avevano il nome del Buongiorno ma te lo facevano cominciare dvvero in maniera pessima, la trippa in scatola e tanto altro.
Era la nuova società che si preparava alla massaia 2.0, quella che cominciava a lavorare, aveva una sua indipendenza e un tempo da dedicare alla cucina limitato rispetto a quello che avevano le madri e le nonne, la cui unica occupazione era mandare avanti figli e casa e cucinare al meglio per il proprio consorte al suo rientro dopo una giornata di lavoro.
Alla “ri(n)voluzione” del cibo non sfuggì nemmeno la pizza. Ed io napoletano, nato a Napoli, vivente a Napoli ogni settimana al venerdì mi beccavo a sera la mia bella Pizza Catarì.
Per i più giovani proverò a spiegare cosa è la pizza Catarì.
La pizza Catarì, che oggi ho scoperto essere disponibile anche nella versione “croccante” (cari amici milanesi come direbbero a Roma “mo so c… vostri!”), è una scatola delle dimensioni di quella dei cereali della colazione del mattino con all’interno una busta con un preparato a base di farine (miscela di farine per pizze per chiamarla con il suo nome riconosciuto dal Legislatore), una bustina di olio (una volta c’era) di oliva (non extravergine – olio d’oliva e basta) una lattina di pomodoro sufficiente a condirla e una bustina di origano. Acqua e aglio spettavano a chi preparava la pizza che tra impasto, maturazione, stesura e cottura non richiedeva più di un’ora.
Si!!!! La pizza in un’ora. Miracolo!!!!!
Il risultato all’epoca era discutibile ma in linea con la modalità di concepire la pizza che era decisamente più greve e “corposa” di quella che oggi conosciamo.
Non ho avuto modo di poter verificare se la Catarì si sia messa al passo con i tempi ma non ho motivo di dubitare che lo abbia fatto perché la casa madre è fatta da grandi imprenditori e ottimi uffici marketing.
Ma cosa è accaduto alla pizza da allora ad oggi? Ma soprattutto cosa è accaduto alle farine e ai pizzaioli che l’adoperano?
Sappiate che la filosofia Catarì in molte pizzerie ha vinto!
Ossia ha vinto la velocità, l’essere performante delle farine secondo esigenze sempre più imprenditoriali e sempre meno artigiane.
Non sul tempo (che talvolta – ma solo talvolta – in alcune occasioni è similare) ma sulla logica.
Partiamo dal presupposto che l’argomento farina e additivi è un argomento ignoto a moltissimi. Anche a chi scrive di pizza o panificati.
La riprova è data dalla continua esaltazione di pizze super alveolate e ad altissima idratazione che ci si dovrebbe chiedere, in assenza di mutazioni nelle tecniche come diavolo è possibile ottenere.
Del resto l’argomento sfocia nella chimica e, quando si va in questo campo, tutto diventa ostico.
Però se ci fermassimo a riflettere un attimo non sarebbe necessaria nemmeno la chimica.
La domanda da porsi dovrebbe essere: cosa è cambiato nel grano da quando eravamo piccoli ad oggi? E’ mai possibile che le migliaia di pizzaioli e fornai che ci hanno preceduto non abbiano mai pensato di idratare di più gli impasti? Può mai essere che la maggior quantità di acqua sia responsabile con farine più forti di tutto ciò?
Ora io capisco che molti non sono nati in campagna o non vi sono cresciuti ma è bene chiarire subito un concetto. La terra si è impoverita e non arricchita. Le tecniche colturali intensive non hanno arricchito i terreni ma li hanno impoveriti.
Di conseguenza quello che ottenevamo 80 anni fa oggi non è possibile ottenerlo senza un aiuto. E se in natura manca qualcosa l’aiuto glielo diamo noi.
Qualche tempo fa qualcuno avrà notato che alcuni produttori di farina hanno cominciato a dire “maciniamo solo il grano” o “farina senza additivi”.
Eppure se acquistate un pacchetto di farina dallo scaffale del supermercato noterete che tra gli ingredienti della vostra farina c’è scritto solo “farina di grano tenero” oppure “..duro”. Ma allora a che servono quelle affermazioni o precisazioni?
A questo punto una persona di media intelligenza deve comprendere che le farine in commercio non sono tutte uguali e che alcune di esse sono addizionate di qualcosa volontariamente.
Si. Ma cosa?
E soprattutto perché non è scritto sul pacchetto?
Un bel primo segnale lo ha dato Ciro Salvo alle Strade della Mozzarella 2019 dove in un incontro congressuale ha affermato, in maniera nemmeno troppo velata, che i miglioratori sono sbarcati anche in pizzeria. E non da oggi.
L’esempio dell’acido ascorbico (che è sostanza naturale che spesso ritrovate anche nelle passate di pomodoro) che in minima quantità è idoneo a dare spinta importante ad un impasto che per sua natura non riuscirebbe ad andare oltre è quanto di più esplicativo si possa dire
Tutto lecito e permesso. Ed intendiamoci anche i “miglioratori” lo sono. Purché entro un dato limite stabilito dal Legislatore è possibile aggiungerli. Anzi quel burlone del Legislatore, oltre ad aver stabilito i limiti a sentimento e non sulla scorta di una sperimentazione, ha anche stabilito che se inferiori ad una data misura non vanno indicati in etichetta. Perché? Questo lo sa solo il legislatore il quale li definisce “coadiuvanti alla produzione”.
La materia è disciplinata in maniera articolata dal Reg. CEE n.1333/2008 che nello specifico degli artt.6 e 18 ne descrive ambiti di applicazione e obbligo di segnalazione in etichetta.Tale obbligo ovviamente, al di sotto di alcune percentuali, che variano dal 5% al 15% del prodotto finale, non sussiste e pertanto salvo che non vi abituiate a leggere bene le etichette non vi balzerà agli occhi.
Ma quale accorgimento dovremmo adoperare per comprendere se la farina adoperata è addizionata o meno di miglioratori (chiamiamoli così per meglio comprenderci)?
Un primo metodo è quello esistente di Farina e Miscela di Farine. Le prime per Legge sono solo quelle provenienti dalla macinazione del grano. Le seconde sono un mix nel quale vi sono anche i “miglioratori”. Un esempio di queste ultime da banco di supermercato sono le “Farine Magiche”.
Il DPR 187/2001 che disciplina la denominazione di vendita, peraltro, stabilisce eccezioni anche per le farine.
Nelle farine (non nelle miscele quindi) è consentito aggiungere glutine secco (all’uopo vedasi il DM n°351/1994), L-cisteina (E920), l’acido ascorbico (E300) senza un limite secondo (Reg. CE 1129/2011), l’acido fosforico, vari fosfati (E338 – E452) il biossido di silicio e i vari silicati (E551-E559) nella dose massima di 10.000 mg/kg.
Poi, come detto, esistono i mix o miscele. E qui entrano in gioco gli enzimi ex Reg. CE 1333/2008 e Reg. CE 1829/2003.
In tutti questi casi se i prodotti aggiunti sono coadiuvanti ala produzione (carry over) adoperati entro dei limiti specifici non vanno menzionati in etichetta
Ovviamente in entrambi i casi e secondo descrizione effettuata la Legge consente di non indicare nulla in etichetta e chi produce è salvo da valutazioni e il consumatore convinto di acquistare solo quello che vede in etichetta. Una scarsa trasparenza autorizzata dal Legislatore.
Fanno male? Fanno bene?
Questo spetta dirlo ai medici e non sicuramente a chi scrive ma è bene capirci su cosa sono gli enzimi o pacchetti enzimatici. Appartengono ad essi una vasta gamma di catalizzatori biologici tra i quali, giusto per citarne alcuni, compaiono alfa e beta amilasi, la proteasi, la pentosanasi, la beta glucanasi, la cellulasi, la xilanasi, la glucosio ossidasi e molto altro. Ovviamente ciascuno di questi enzimi svolge una sua funzione anche se spesso in combinazione sinergica tra loro hanno un impatto migliorativo fortemente sensibili sulle caratteristiche reologiche del prodotto finale. E, soprattutto, rendono la stessa farina o miscela altamente performante al punto tale che la “maestria” nella gestione dell’impasto finisce con l’essere un valore assolutamente secondario di fronte ad una “ricettazione” prestabilita. E questo spiega il fiorire di Maestri… anche mia mamma con la Catarì lo era!!!
Pizza pronta in un’ora o poco più!!! E il resto del mondo muto!
Ma torniamo alla domanda su se fanno male.
Di sicuro le aggiunte a mio sommesso avviso non fanno bene.
Non fanno bene ai consumatori che, ignari, ingeriscono pizze super scioglievoli e alveolate senza sapere se tali risultati sono frutto di tecniche consapevoli e gestite con apparecchiature come camere di lievitazione a temperatura controllata, gestione delle quantità di acqua – lievito- sale in ragione delle condizioni climatiche e della farina, o semplicemente frutto di una farina “ricettata” in maniera tale da dare un risultato a prescindere da qualsiasi condizione esogena alla modalità di impastare solita.
La prima arte è quella del pizzaiolo la seconda dell’operatore.
Ma il pizzaiolo resta anche lui immune da rischi? (la domanda vale anche per chi panifica o fa dolci – avete poco da gioire!!!)
Recenti studi clinici avrebbero trovato una forte relazione tra le farine e l’incremento di malattie respiratorie e dermatologiche tra gli operatori.
Quindi cari pizzaioli se fino a qui avete letto di eventuali rischi per il consumatore e, nonostante ciò, avete valutato che la questione riguardava i clienti e non voi, sappiate che i più esposti a rischi siete decisamente voi che quotidianamente respirate e toccate farina.
Da domani fossi in voi chiederei la scheda tecnica della farina con una dichiarazione del produttore che non aggiunge nulla, nemmeno l’acido ascorbico. Mi sincererei che non vi è nulla nella farina che manipolo, respiro, lavoro e servo e mi prodigherei per apporre fuori la pizzeria un bel cartello con la dichiarazione del produttore. Se sarà stato infedele, benché nella piena legalità, saranno poi i consumatori a penalizzarlo una volta scoperto.
Ovviamente questo discorso non vale per tutti, pizzaioli e produttori che siano, ci sono le dovute eccezioni e ribadisco: è colpa di mia madre soltanto.
Miglioratori pizza
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