Le stelle Michelin di Sergio Lovrinoch? Inutile nasconderlo, ormai è l’unica guida cartacea per cui i cuochi entrano in fibrillazione, l’obiettivo della vita professionale di quasi tutti, l’argomento più chiacchierato settimana prima e quella dopo la presentazione della rossa. Una ossessione più forte di Masterchef, tanto è vero che la Michelin mostra di non amare i cuochi dediti al piccolo schermo e men che mai quelli impegnati a mettere la propria faccia su prodotti industriali. L’unica capace di far fare tanti clic ai siti e di cui si occupano tutti i quotidiani stamane.
Eppure non è stato sempre così. Se avete voglia e tempo di leggere le interviste a Uliassi, Cedroni, Tassa, Cuttaia pubblicate su questo sito, tutti hanno più o meno detto la stessa cosa: quando negli anni ’90 è arrivata la prima stella, nessuno ci pensava e spesso non si è capita neanche l’importanza. Poi, magari, si è iniziato a lavorare per ottenere la seconda e poi, nel caso di Mauro Uliassi la terza.
Il segreto di questo successo della Michelin in Italia non è stata la maggiore competenza, neanche la forza comunicativa, men che mai il comportamento specchiato comune alla stragrande maggioranza di chi in un modo o nell’altro ha lavorato nelle guide italiani. No. Credo che il segreto di questo successo che in meno di 20 anni ha fatto di questa guida una ragione di vita per chi fa il cuoco sia l’attenta e oculata gestione del potere, ossia l’anonimato e lo stare lontani, quasi inaccessibili, dai cuochi.
Un meccanismo ormai poco diffuso nella società dei selfie a catena, dell’esistere perché ci si fa la foto, dell’impulso a mettere tutto sui social, dal misurare se stessi sui like e sui follower, eppure è questo il segnale di un potere vero che nasconde le proprie debolezze e incoerenze nella sua capacità di non manifestarsi, di non esibirsi a tutti i costi.
Uno dei successi straordinari dell’antichità è stata la tragedia I Persiani di Eschilo: per la prima volta gli spettatori greci avevano la sensazione di vedere il nemico storico nella sua intimità e, così, facendo, ricondurlo ai propri parametri quotidiani. Anche la metafora del Re che è nudo aiuta a capire quello che voglio dire.
Questi ispettori anonimi, sbeffeggiati spesso per il loro lavoro da travet del cibo a due piatti più dolce con prenotazione per due e pasto da solo, il lavoro di squadra complessivo che consente al pronome NOI di essere molto più efficace del pronome più diffuso in Italia, cioè IO, il non manifestarsi in Tv: tutto ha reso la Michelin un oggetto misterioso, quello di cui si parla a Porta a Porta pur non essendoci nessun rappresentante. Effetto Mina-Battisti. L’assenza è in questa società dell’apparire il modo più forte per esserci, l’inaccessibilità la vecchia regola del potere che vive nella Città Probita, nei Palazzi Reali sorvegliati, nel Cremlino sovietico.
Sono da sempre molto attratto dalla simbologia del potere e non vi è dubbio che, soprattutto nella società dell’immagine, il primo gesto che fa perdere quota è la pacca sulla spalla tra giudicante e giudicato.
Dopo una stagione un po’ interventista di Fausto Arrighi, erano gli albori dei blog e dei siti, Sergio Lovrinovich ha subito rimesso in riga se stesso nascondendosi, persino nelle premiazioni, sottraendosi dalla litania eucaristica del responsabile e del curatore che ad uno ad uno chiama gli eletti come fa Ulisse con le ombre dell’Ade. Una litania noiosa, fuori dal mondo, ma che in sostanza ha un solo ruolo: far diventare protagonista vero chi premia e non chi è premiato.
Certo anche la Rossa si sta imbastardendo, difficile restare immobili e indiffernti quando tutti intorno fanno rumore (Cit. Battiato): ora gli ispettori spesso si presentano alla fine del pranzo dopo aver pagato, danno consigli. Talvolta lanciano promesse di ulteriori visite che mai avverranno. Le loro foto segnaletiche sono scambiate fra i cuochi come le figurine dei calciatori delle Edizioni Panini Modena (in questo nome il futuro di una città:-).
Ed è possibile così definire un po’ il nuovo algoritmo delle scelte fatte dalla direzione, che oltre un certo livello devono per forza essere poi delegate alla casa madre francese.
_________________________________________________
Ma vediamo un po’ quali sono gli elementi di questi algoritmi
_____________________________________________
1-Una cucina ecumenica, non di ricerca estrema e comunque non avanguardista. Una cucina che può essere compresa da qualsiasi lettore della guida per quanto possa essere ricercata e raffinata nel centrare i sapori e nell’uso delle tecniche. C’è rispetto per le scelte dei predecessori, ma rottura nella designazione dei nuovi che sono molto uguali fra loro e tutti caratterizzati da un eccesso di estetica nel piatto.
2-Una cucina ricca, non essenziale. Cattolica e non Protestante. Meglio se un po’ salsosa ma non necessariamente grassa, più carnivora che vegetale, sostanzialmente indifferente ai temi del giorno sulla salute e sulla sostenibilità ambientale. Chi usa foie gras e agnelli della Nuova Zelanda per capirci, non ha nulla da temere.
3-Forse incidono i suoi trascorsi professionali, ma certo in questo momento sono in vantaggio i cuochi che lavorano in strutture alberghiere rispetto a quelli che stanno in proprio.
4-E, a proposito di cuochi, l’attenzione di Lovrinovich sembra essere puntata sulla affidabilità aziendale. Ci sono stati casi di locali che hanno mantenuto la stella nonostante cambi repentini. In questo caso il proprietario ha scritto subito alla guida spiegando l’accaduto e confermando l’impegno a mantenere lo standard. Se questo avviene, la Rossa premia con la conferma.
5-Ci sono poi, ma è naturale che sia così, cuochi amati ovunque siano e qualsiasi cosa facciano. Ma questo fa parte della scelta ad libitum propria di chi ha il potere di decidere a prescindere, perchè non esistono criteri matematici come tanti vorrebbero, ma linee guida generali più volte spiegate nelle rare interviste rilasciate (sempre senza foto) da Lovrinovic.
6-Essendo così pochi gli ispettori (anche qui taglio boccononiano del personale, che credete) come fa la Michelin a controllare il territorio? Semplice: facendo scouting sui siti web specializzati, su quelli dei giornali locali e naturalmente le guide specializzate italiane. Diciamo che internet ha facilitato il lavoro e non troviamo più vuoti cosmici o schifezze. Ma qui arriviamo al punto: se la Michelin dovesse seguire pedissequamente quello che dicono gli altri sarebbe tutto automatico. Invece spesso e volentieri, soprattutto nella fascia media della seconda stella e quella della prima, decide in autonomia e spesso contenendo quello che altri esaltano. Il film su Camanini lo abbiamo giò vissuto con Lopriore. Speriamo non con lo stesso finale perché anche a noi piace moltissimo. Spesso il troppo amore soffoca e, come dire, un cuoco intelligente deve saper diversificare le sue quote di comparsate per evitare il rischio di finire su un binario morto. Essere di tutti ma di nessuno in particolare, fidanzato ma non sposato. Ma per farlo bisogna avere una grande intelligenza comunicativa ed essere sicuri di se.
7-Il titolo è sbagliato, perché le stelle non sono decise da un solo uomo. Ma chi dirige una guida detta le linee, applica quelle editoriali personalizzandole. Qual è il profilo di cuoco che gli piace? Beh in primo luogo deve essere stato a lungo in Francia, quando esce un articolo su Tizio che è stato a Parigi da Caio, scatta subito l’alert della Rossa. Meglio se sotto i 40 anni, meno di 30 deve essere proprio bravo di suo, e se lavora in una struttura alberghiera. Infine un vantaggio è fare da mangiare in un luogo turistico o in città perché alla fine la vera missione originale della Michelin è dare indicazioni buone a chi viaggia più che stabilire i migliori cuochi.
8-Come si passa da una a due stelle? Questo è un po’ più difficile da decifrare, perchè la palla finisce in Francia e ci sentiamo meno preparati. Sicuramente la serietà e la concentrazione sul lavoro aiutano, essere in vista ma non eccessivamente per non dare l’impressione di voler imporsi alla Michelin sulla base di quello che dicono gli altri. Gli investimenti in sala (che non significa ridurre i posti) e in cantina decisamente aiutano. Non fare cucina estrema, ma sempre leggibile.
Bene, devo dire che ogni anno degusto alla cieca le scelte della Michelin e devo dire che con il tempo mi sto perfezionando. Un suggerimento finale ve lo regalo volentieri: il 99% delle voci sulle nuove stelle fanno parte del cicaleggio mondano del club gastronomico italiano e sono lanciate dagli stessi cuochi.
Basta non seguirle per individuare le “prede” preferite da Lovrinovich :-)
Michelin di Sergio Lovrinoch
Dai un'occhiata anche a:
- Food e comunicazione. Facciamo un po’ il punto in Italia
- Gastronomia che aborro: 1-il Bun sulle tavole di cucina italiana
- Una serata NI in una trattoria di mare
- Luigi Tecce: Il vino naturale è fascista… Cosa penso della frase di Farinetti? Chiedilo a Sgarbi
- Cosa ricordare della ristorazione italiana nel 2024?
- Congresso Assoenologi a Cagliari: cinque cose sul mercato da mandare a memoria
- Giglio Restaurant e lo strano destino del termine Stellato Michelin in Italia
- Luca Ferrua si è dimesso daI Gusto. La lezione da mandare a memoria