di Marco Contursi
Non sono solito parlare di pizza perché sono demofobico. Odio la folla e a parlare di pizza si è sempre in troppi.
Mi piaceva Briatore quando parlava di Zizze, meno quando parla di Pizze. Ma ad uno che è stato con Heidi Klum si perdona di tutto…..
Però se si inizia a parlare “a schiovere” di Pata Negra, il salumologoporcofilo che è in me alza la testa e quindi vi beccate sta lezione sul “patanegra”.
Ma cosa è il patanegra?
Il patanegra è un prosciutto crudo spagnolo fatto con suini neri di razza iberica pura, allevati nella dehesa, bosco di querce e lecci, tipico della spagna meridionale ed occidentale.
Non tutti i prosciutti spagnoli sono fatti con questa razza e infatti gli altri si chiamano Jamon serrano e sono realizzati perlopiù con suini chiari allevati in modo intensivo.
In Spagna fanno le cose per bene in questo settore e quindi hanno ideato il sistema delle 4 etichette anche per i prosciutti di razza iberica:
Etichetta bianca: il prosciutto è realizzato con animali allevati a mangimi (cebo) che sono almeno per il 50% di razza iberica.
Etichetta verde: il prosciutto è realizzato con animali allevati a mangimi e ghiande (cebo de campo) che sono almeno per il 50% di razza iberica.
Etichetta rossa: il prosciutto è realizzato con animali allevati all’aperto, nutriti a ghiande e radici, che sono almeno per il 50% di razza iberica.
Etichetta nera: il prosciutto è realizzato con animali allevati all’aperto, nutriti a ghiande e radici, e che sono al 100% di razza iberica. Solo questo è il vero patanegra de bellota.
In commercio spesso spacciano un jamon de cebo per un patanegra, anche perché la forma è uguale.
Ora, mangiare un jamon de bellota di 36 mesi è una esperienza emozionale.
Metterlo su una pizza o qualsiasi altra cosa calda, una cazzata, che non ammette repliche.
Ma solo paccheri. A mano aperta. Come cafonata equivale alle famose cascate di prosciutto che tanto piacevano ai camorristi
Perché si offende il sacrificio del maiale e la maestria di chi l’ha fatto.
E’ come se io prendo un eccelso Barolo di Bartolo Mascarello e ci metto dentro la percoca. Lo posso fare, certo, coi miei soldi ci faccio quello che mi pare, ma certe colpe ti condannano alla “sacertà” (nel diritto romano, la condizione di chi, per un grave delitto commesso era abbandonato alla vendetta degli dei e degli uomini, ed espulso dalla società).
Scherzi a parte, prima queste eresie, come mettere il ghiaccio nel Sassicaia o il patanegra su una pizza, le facevano gli stranieri e noi sorridevamo, oggi le fanno pure gli italiani.
Quali però? I Cafoni arricchiti. Quelli del “Pago, Spendo, Pretendo”. Che puoi leggere con accento meneghino o napoletano, tanto la categoria è trasversale di tutta l’Italia.
Ed a questo proposito voglio dire la mia su un concetto: non si può ridurre tutto a business arido. Soprattutto col cibo c’è un aspetto emozionale da cui non si prescinde, e questo proprio chi fa business lo dovrebbe capire.
A Napoli la pizza è cultura, è parte del popolo. E il business che ne consegue, con milioni di persone che vengono per assaggiarla, dipende proprio da questa spinta emozionale.
Esempio classico la antica pizzeria da Michele, sarebbe diventata MITW se non avesse avuto quella storia alle spalle? Cioè, il suo successo dipende solo dall’ottima pizza che propone o soprattutto dalla spinta emozionale di provare una pizza, nel mondo, uguale a quella che fanno a Napoli, in una sede che è rimasta l’emblema della napoletanità più verace, tanto che a Forcella fa ancora solo margherita e marinara? Tanto che è stata scelta come location per il film con Giulia Roberts, l’hanno scelta per la pizza o per quello che rappresentava?
La seconda sicuramente, pizze buone ormai si trovano ovunque, ma il fascino di mangiare quella di Michele, seduti ai tavoli di marmo, con il mondo a fianco (io mangiai 25 anni fa con un ministro coreano, che neanche si qualificò ma me lo disse sottovoce chi era.) è il quid in più che spinge a tornarci.
Per questo la pizza non può essere ridotta solo a business, sennò per assurdo proprio il business viene meno. Eppoi, cavolo, non si può monetizzare sempre tutto. Anche il mondo degli affari deve tenere conto di altre cose oltre ai soldi, quali ad esempio l’etica del lavoro, il rispetto dell’ambiente, la valenza storica di un prodotto ecc.
E non venite a dirmi che sono cazzate, sennò si giustificano lo sversamento dei rifiuti, lo sfruttamento dei lavoratori, la mortificazione delle tradizioni ecc…
In ultima analisi, Briatore fa una pizza, o simil quale. La vende ad un prezzo che ritiene congruo, se c’è chi la compra, e certo non lo fa per il prodotto in sé ma perché la mangia da Briatore, non vedo il problema. Ma non venisse a sindacare sulla pizza a Napoli, sul costo e sulle materie prime, di cui non mi risulta sia un esperto. Ognuno parlasse di quello che sa.
E io so di salumi e quindi dico:
“Mettere salumi crudi magri (prosciutto crudo, bresaola, soppressata, ecc) su una pietanza calda (pizza, pinsa, montanara ecc) è una sciocchezza. Che lo faccia Briatore, Putin o Biden, non cambia una mazza”.
Volete gustare al meglio un grande Patanegra? Ecco due consigli:
Il dolce lo porto io.
Fatto in casa, of course.
Non necessariamente da me!
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