di Alfonso Sarno
“Se ho sbagliato ad organizzarmi la vita ora vorrei solo una parmigiana di melanzane, mamma vienimi a prendere”, implora in silenzio Tommaso, finanziere rampante sospeso tra uomini di rispetto e femmine aristocratico-televisive. Tommaso, protagonista del bel romanzo di Walter Siti, “Resistere non serve a niente” (Rizzoli, 2012), nei piatti di mamma Irene, romana di periferia trasformatasi in pariolina dalle labbra a canotta e minettiano seno, tenta di ritrovare le proustiane madeleines. Invano.
Il sontuoso appartamento di Via Pergolesi non si addice agli spignattamenti ed il materno pollo con i peperoni che ha sempre posseduto qualità taumaturgiche resistendo a traslochi, mutamenti di status ed a donne di servizio, entrando orgoglioso a Rebibbia, frequente domicilio maritale, diventa qualcosa di irriconoscibile, “cucinato a fuoco troppo alto, l’esterno bruciacchiato, mentre vicino all’osso la carne ancora repellente come quando era viva, non si stacca e grida di non toccarla, di lasciarla stare”.
Tempi incerti tra cuori di mamma ed economia vacillanti, che si possono arginare (torniamo a Proust ed alle sue madeleines) con una sosta al ristorante di Gaetano Morese, lo chef che dopo le esperienze di “Terra Santa” e de “La Divina Commedia” rispettivamente in quel di Materdomini di Nocera Superiore e di Giffoni Valle Piana, ha deciso di aprire un “suo” posto nella natia Piazza del Galdo. Scenario: l’ottocentesco Palazzo Martinez y Cabrera. Tre ambienti raccolti, con tavoli dalle eleganti tovaglie color crema e da essenziali bicchieri e posate, con piacevole sottofondo musicale (nel nostro caso canzoni napoletane). Ugualmente essenziale (forse troppo, da ripensare) la grafica del menù ove sono elencati antipasti, primi e secondi; a parte la carta dei dolci.
Ed ecco la prima sorpresa: i piatti offerti con cortese discrezione da chi ci accoglie – Marianna Saggese, moglie di Gaetano Morese, che per amore di famiglia e cucina ha accantonato la laurea in economia e commercio e da Sergio Spisso, addetto alla sala – non rispecchiano del tutto i contenuti del sito web. Necessaria e lodevole obbedienza alla stagionalità dei prodotti offerti dal territorio (molti provenienti dalle terre di famiglia) e esclusivamente usati da Morese che, quale benvenuto, offre una millefoglie di mousse di ricotta e porcini accompagnata da un calice di bollicine dell’azienda umbra “Castello della Regina”. Poi, la difficile scelta tra le diverse formule in menù. Golosità e voglia di sperimentare hanno la meglio e optiamo (siamo in due) per quella del fidarsi dello chef declinata al mare ed alla terra: ovvero quattro portate scelte da Morese e collaboratori (ricordiamoli: Alessandro Esposito, Luigi Zappullo, Alberto Morese e Carmine Marino). Campagna ed acqua salata che nei diversi piatti si rincorrono, si sposano con gli altri elementi senza sovrapporsi. Così la tartare di tonno obeso e zenzero candito, l’hamburger di melanzane alla sorrentina, (forse preferibile sotto l’autoctona forma di polpetta; altra faccia di quello di pesce azzurro profumato all’aneto e salsa al curcuma su zoccolo di riso Basmati, in menù quando si trova sul mercato), il fiore di zucca ripieno con ricotta su scapece di zucchine ed i primi tra cui ottimi cannelloni di patate ripieni di provola su emulsione di pomodorini; spaghettoni con vellutata di basilico e piccola caprese; fettucce con zucchine, e frutti di mare profumate alla menta.
Da bravo figlio di una terra, la Valle dell’Irno, a cavallo tra tre realtà diverse: la salernitana, la napoletana e l’avellinese Morese si destreggia con bravura in piatti di territorio, saggiamente reimpostati senza, però, far loro perdere robustezza ed individualità. Elegante casalinghitudine anche nei secondi: buon agnello profumato alla menta con insalata greca; filetto di tonno in crosta di sesamo e dressing ai lamponi; pesce bandiera in pastella di mais e pomodorini alla provenzale e nei dolci.
Apriamo con un pre-dessert, scomposto con cioccolato al caramello e glassa di cacao, offerto dallo chef per passare alla bavarese di pesca alla mousse di ricotta e riduzione di Aglianico e chiudere con una superba piramide al cioccolato fondente con cuore di lamponi. Da bere, Telaro passito delle cinque terre.
Finale adeguato a una serata da raccomandare per gentilezza e qualità. E per i prezzi: dai 25 ai 40 euro, esclusi ovviamente i vini elencati in una carta di tutto rispetto che vede le migliori aziende italiane con un’attenzione particolare alle campane ( Borboni, Feudi di San Gregorio, Maffini, De Conciliis, Villa Matilde, ecc.). La nostra scelta? Asprinio d’Aversa 2009 de “I Borboni” ed un Aglianico Paestum Kleos 2006 di Luigi Maffini.
Spartana la scelta dell’acqua. Quando avrà la sua carta?
RISTORANTE MORESE
Via Cirillo, 55/1-57
Tel.: 089-893946 Cell.: 393-3304997
Chiuso la domenica sera ed il lunedì
Ferie: Quindici giorni in agosto
Carte di credito: tutte
ristorantemorese@alice.it
www.ristorantemorese.it
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