All’Osteria Francescana di Massimo Bottura il lungo viaggio di un cittadino del mondo

Pubblicato in: Minima gastronomica

di Giulia Gavagnin

Tempo addietro Vittorio Sgarbi disse che non puoi dire di conoscere l’Italia se non sei stato almeno duecentoquaranta volte a Treviso.

Oggi io dico che non puoi dire di conoscere la cucina italiana se non sei stato almeno trenta volte da Massimo Bottura, in tutte le sue declinazioni: Francescana, Franceschetta, Casa Maria Luigia, Gatto Verde, Gucciosterie all-over-the-world, tortellanti e –da pochissimo- Oro Cipriani.

Non è una questione di numeri, né solo di tempo che dedichi al Papa della nostra gastronomia, anche se è vero quel che diceva Saint-Exupery nel Piccolo Principe: è il tempo che dedichi alla rosa che fa bella la rosa.

Massimo Bottura, prima che un cuoco, è l’inventore di un linguaggio –il suo, personalissimo- esattamente come accade in una delle sue tante, accese passioni: l’arte contemporanea.

Così, non puoi dire di conoscere il tuo tempo se non ne conosci la sua arte, con i suoi intimi significati e le sue metafore. Quando l’arte era figurativa, lo scopo ultimo dell’artista era l’imitazione della Natura, e la meraviglia che destava nell’utente era dettata dal virtuosismo nell’esecuzione e dalla qualità della rappresentazione. Con la destrutturazione del linguaggio visivo (idealmente individuato dal filosofo Walter Benjamin nell’avvento della fotografia) l’Artista è divenuto artefice di un linguaggio attraverso le immagini, portatore di messaggi attraverso le forme.

Questa rivoluzione, benchè non ancora pienamente accettata dal ceto degli intellettuali, è avvenuta anche in cucina: già a far data dalla nouvelle cuisine francese, fino a Ferran Adrià in Spagna e (in misura minore) a Renè Redzepi in Danimarca.

Siamo passati dalla lasagna della nonna all’oliva sferica di Adrià, e sono ancora in molti a dire che quest’ultima non è “vero” cibo, come se la verità delle cose fosse una categoria filosofica storicamente priva di dibattito!

Massimo Bottura ha iniziato a creare il proprio linguaggio da lontano, fino a diventare un meta-cuoco, un Artista che attraverso il cibo esprime principi. Universali, peraltro.

L’incipit della sua storia di cuciniere è proprio nella lasagna della nonna, di cui sgranocchiava da ragazzo la “parte croccante” intrisa di ragù, che poi divenne (forse)il suo primo piatto “iconico” nel 1995. Triangoli di pasta verde con bietole e spinaci, gratinati in forno ad alta temperatura, alternati a cracker bianchi al parmigiano, terminati con una striscia di terrina di pomodori (i colori della bandiera italiana) ragù e besciamella.

Ispirato alle prese d’aria della Ferrari, il piatto aveva in pectore tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato il futuro di Bottura: memoria, italianità, velocità, leggerezza, slow food, fast cars, Modena come Itaca.

Su questa narrazione, Bottura ha costruito il suo racconto culinario cui si sono aggiunti via via altri tasselli, tutti confluiti nei suoi percorsi: ad esempio la passione per la musica Jazz, di cui lo chef possiede almeno ventimila vinili. E ancora, la tenacia di fondo. Che gli ha permesso, da cittadino di una piccola realtà provinciale di conquistare prima gli States, e poi il mondo. E’ famoso l’incipit della monografia che gli dedicò il New Yorker nel 2013 (testata che notoriamente non è generosa di riconoscimenti nei confronti di personaggi pop, soprattutto non americani dell’East Coast): “le parole “Italia” e “Nuova Gastronomia” erano un ossimoro quando lo chef Massimo Bottura aprì l’Osteria Francescana nel 1995 e iniziò a creare i piatti che lo avrebbero reso il luminare dell’avanguardia culinaria… (egli) ha collocato l’Italia nella mappa per quel genere di viaggiatore che oggi preferisce mangiare i suoi meatballs spaghetti a casa”. Come dire: gli americani prima dell’avvento del modenese sulla scena erano ancorati all’idea di una cucina italiana casalinga e un po’ greve, alla spaghetti, mandolino, baffi neri delle Little Italy urbane, che rappresentava tutto fuorché un’idea, un concetto.

Memoria, arte, italianità, Emilia, internazionalità attraverso richiami familiari: tutto questo si trova anche nel nuovo percorso dell’Osteria Francescana, frutto –come sempre- del lavoro certosino e sinergico di Bottura con la sua estesa brigata.

Lo definirei: un viaggio della cucina (e cultura) italiana nei paesi extraeuropei. Con l’avvertenza che non si tratta di un percorso di cucina fusion, bensì di una sorta di risciacquo dei panni italici nei fiumi e nei mari altrove.

Paradigmatico è Da Gragnano a Bangkok, uno spaghettino “Pastificio dei Campi”freddo ai cinque pomodori fermentati, emulsione di mozzarella e una spruzzata di latte di cocco servito in una ceramica di Vietri.  Un ramen da bancarella street foodthailandese con l’esplosione dei sapori mediterranei e una leggera suggestione d’Oriente. A suo modo, potrebbe già essere un biglietto da visita della visione di Bottura: modenese ma cittadino del mondo.

Lo stesso discorso si potrebbe fare per il primo piatto vero e proprio del percorso. You say Tomato, I say
Tomato..and Bread, dove il gelato al pomodoro, soavemente acidulo, sposa il cioccolato, l’olio d’oliva e la cialda di pane con polvere dorata, richiamo ovvio al volume concettuale “Il Pane è Oro”. Un’entrata perfetta.

Il melange glocal è sempre riuscito: in Tra le Ande e l’Adriatico, con la seppia della sacca di Scardovari che incontra le alghe e le influenze peruviane; nell’Anno del Drago, dove la cernia maturata è valorizzata dal mix di pepe e la cialda che vuole essere un Kimchi coreano.

Ho amato personalmente Holy Mole! dove ho intravisto un ricordo della compressione di pasta e fagioli in abiti messicani.

L’unico difettuccio è forse in un’interruzione troppo repentina del percorso, giacchè la Focaccia Tatin al tartufo e la Fregula sono solo due divertissement che fanno da ponte al predessert (Buongiorno Sicilia – granita agli agrumi) e al dessert, una soprendente Key Lime Pie con le alghe di Scardovari. Un’ideale viaggio di Hemingway tra due luoghi da lui molto amati: il Veneto e le Keys.

Come ha scritto anche Albert Sapere in queste pagine, non si può prescindere da Massimo Bottura per capire chi siamo e dove stiamo andando.

Aggiungerei che anno dopo anno, Massimo Bottura sta scrivendo una nuova enciclopedia della cucina italiana contemporanea, e non vediamo ancora all’orizzonte nessuno che possa raccogliere la sua eredità.

 

Osteria Francescana

Via Stella 22

41121 Modena

059 223912

 

Scheda del 3 giugno 2023

Di Albert Sapere 

Quando Bob Dylan nel giugno del 1965 compose Like a Rolling Stone non poteva sapere che si apprestava a incidere quella che sarebbe stata definita “la più grande canzone di tutti i tempi”. Sapeva invece di aver impresso una svolta radicale alla propria carriera, abbandonando le liturgie e il rigore della musica acustica per approdare a quelle sonorità elettriche che fecero gridare al tradimento gli adepti del folk movement. Aveva intuito che i tempi erano maturi per gettare un ponte tra due regni, la nicchia impegnata del folk e il vasto quanto effimero universo della canzone pop: non si sottrasse perciò al suo ruolo di predestinato – artista di genio ed esploratore di sentieri semiotici – fungendo da antenna e segnale allo stesso tempo nel captare e diffondere quelle onde che, potentissime, irradiavano gli anni ’60.

È un Dylan irrequieto e guardingo verso l’ambiente musicale, critica e pubblico insieme, dai quali comincia a sentirsi fagocitato e sottratto al controllo che vorrebbe avere su sé stesso e sulla propria carriera. Sul palco appare annoiato dal repertorio folk e privo di stimoli nel suonare senza veri musicisti di supporto, stanco di essere il juke-box a disposizione di un pubblico in cerca di conferme alle proprie posizioni. Non è questo il compito dell’arte – lo sa bene il suo amico Allen Ginsberg – non è compito dell’artista limitarsi ad appagare un pubblico compiacente: c’è qualcosa di più e oltre che la musica folk non è in grado di offrire.

Oggi riusciamo ancora a sentirlo – senza comprenderlo appieno – l’eco del grido con cui si chiedeva al mondo “Come ci si sente?”. Proviene dalla cima di una montagna altissima, da un crinale che separa due epoche ben distinte: quella soglia tra un prima e un dopo fu Bob Dylan a varcarla per primo, stabilendo uno spartiacque culturale nel Novecento.

Chissà se Massimo Bottura aveva idea di cambiare la cucina italiana nel profondo quando ha cominciato a proporre ai propri ospiti le “Tagliatelle Post Moderne” o le “5 stagionature di Parmigiano Reggiano in consistenze e temperature diverse”.

Il parallelismo con mr. Dylan è d’obbligo per il nuovo menù dell’Osteria Francescana, I’m Not There, che prende spunto dalla ballata americana che Dylan ha inciso con la Band nel 1967 nelle session per “The Basement Tapes”. Il brano non è stato poi omesso dalla scaletta definitiva dell’album. Riesumato soltanto molti anni dopo, non è mai uscito ufficialmente. Una canzone che non c’è dunque, e che forse non c’è mai stata, che poi è diventato il titolo del film biografico di Todd Haynes dedicato all’emblematico cantautore.

Una chiave di lettura sicuramente poetica, ispirata, che coinvolge la biodiversità culturale dei ragazzi della brigata, che hanno dovuto reinterpretare i grandi classici del cuoco modenese in chiave contemporanea. Chi pensa che questo menu sia una cover è fuori strada, perché ci sono spunti gastronomici ed intellettuali che esulano dal semplice “coverizzare” qualcosa.

Cosa si mangia all’Osteria Francescana nel 2023?

Il primo impatto è spiazzante, come un brivido per chi è già stato all’Osteria Francescana. Il Viaggio in Normandia diventa un agnello crudo coperto con crema di ostrica, il suo brodo di cottura con menta e mela verde marinata con sidro. L’anguilla che risale il Po diventa un cilindro di polenta con al centro l’anguilla marinata nella saba e marasche di Vignola. Il Ricordo di un panino alla mortadella diventa un pane al finocchietto con crema “caramellata” di finocchio, finocchio fresco, spuma di finocchio e pepe.

Abbinamento musicale: Simple Twist Of Fate. Sentì un brivido percorrergli le ossa. e aver fatto attenzione a quel gioco del destino.

La Compressione di pasta e fagioli in camouflage mediterraneo, unisce due piatti, compressione di pasta e fagioli e la triglia alla livornese. Chawanmushi con un’acqua di pesci misti, un filetto di triglia marinato, aria di cacciucco con polvere di pomodoro essiccato e basilico a terminare.

Abbinamento musicale: Forever Young. Un messaggio alle nuove generazioni di cuochi, siate liberi.

Una patata che vuole diventare un Tartufo diventa un pane, fatto con la farina di patate, farcito con un soufflé di patate e nocciole e del tartufo bianco. Quello che sembra non è, quello che può essere lo puoi decidere tu.

Abbinamento musicale: Blowin’ In The Wind. How many roads must a man walk down.

Ho bruciato una sardina diventa una chips creata partendo dalle pelli dei pesci con cui si fa un brodo, essiccato fino a ottenere una cialda, che appoggia sopra un filetto di trota laccato con del nero ottenuto da pomodoro e caviale, verbena, salsa alle erbe aromatiche. Il piatto nell aversione del 2008 ricorda un viaggio di Massimo a Tokyo, ed una sardina che è il miglior boccone da Jiro Ono, meglio del tonno, meglio di tutto.

Abbinamento musicale: abbandoniamo Dylan per un attimo per virare sul Duca Bianco, David Bowie e su Heroes. We can be heroes, just for one day. Anche una sardina, che oggi è una trota, per un giorno può essere meglio di un tonno.

Riso Grigio e Nero era un omaggio al sig. Marchesi ed alla visione nuova che aveva avuto del riso e del risotto, tracciando una strada poi seguita da tutti. In questa versione il riso viene tostato, cotto nel latte, poi frullato, diventa una crema, salsa di calamaro, nero di seppia. Terminano il tutto caviale e scampo crudo.

Abbinamento musicale: Hurricane. Cosa sarebbe stata la cucina italiana senza Gualtiero Marchesi? Meglio non saperlo.

Ceasar Salad in Emilia diventano dei ditalini, tostati e cotti in una crema di miso, lattughe e verdure, un tocco di aceto balsamico tradizionale, la pancetta, il Parmigiano e una salsa di tuorlo d’uovo a completare. Una scala di amari notevole e la pasta che media.

Abbinamento musicale: Knockin’ on Heaven’s Door. Per un italiano la strada che porta al padadiso è fatta di pasta.

I tortellini che camminano sul brodo diventano lo skyline di Seoul, perchè dei dumpling, il ripieno è quello classico dei tortellini con l’aggiunta di kimchi. Sulla golosità tutta emiliana della pasta ripiena, viene contaminata dalle acidità orientali. Fantastico.

Abbinamento musicale: Mr. Tambourine Man. Una suggestione fatti di poesia e di vedere cose che altri non vedono.

Tra “La Vie en Rose” e “Oh, Deer”. Un filetto di Daino scottato allo yakitori e ricoperto da un lato di polvere di rose, viene accompagnato da tre salse spinoso, nocciola, lampone.

Abbinamento musicale: A Hard Rain’s a Gonna Fall. Come non rimanere colpiti dalla potenza e dalla complessità della composizione musicale, così come dal piatto.

This little piggy went to the market è ispirato all’artista Damien Hirst, in questa versione prende spunto dal sanguinaccio napoletano. Passare da Damien Hirst al sanguinaccio napoletano è proprio il segno che i tempi stanno cambiando, anzi sono gia cambiati.

Abbinamento musicale: The Times They Are A Changin’

Cinque stagionature del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature è il mio piatto, l’ho scritto e raccontato tante volte, se dovessi scegliere solo un piatto nell’alta gastronomia sceglierei questo. Il focus si sposta del formaggio al latte. Cinque consistenze di latte, chips croccante di siero, gelato al latte, un piccolo budino di latte con all’interno il dulce de leche, polvere di latte. La salsa verde di clorofilla è l’erba dei pascoli.

Abbinamento musicale: Like a Rolling Stone. How does it feel? Fa un effetto ricco di emozioni.

Pane è oro diventa una mousse ottenuta dai resti di panettoni, pandori, colombe con all’interno cotechino e zabaione. Una colazione emiliana super concentrata sotto forma di una fetta di pane rivestina di oro.

Abbinamento musicale: L’intero undicesimo albun di Bob Dylan, New Morning, perchè si sa il mattino ha l’oro in bocca, ma ricorda tanto anche la Marilyn di Andy Warhol, Pop Art cuicine.

I tre piccoli assaggi finali sono abbinati a Tangled Up in Blue, perchè il concetto indefino di spazio e tempo possono essere una canzone, ma anche tre piccoli assaggi.

Conclusioni Finali

“Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”. Bob Dylan. L’Osteria Francescana e Massimo Bottura potrebbero vivere di rendita con quello hanno fatto negli ultimi 20 anni, ma la voglia di continuare ad essere contemporanei è più forte di tutto, per fortuna, aggiungo. Se ne avrete la possibilità godetevi I’m Not There, il menu 2023 della Francescana, ne uscirete sicuramente arricchiti.


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