di Fabrizio Scarpato
E lo sgambetto arriva alla fine, col conto. No, non l’addizione, che invece è onestissima, ma il depliant che la contiene: un truce cartoncino rosso sangue con una qualche immagine psicopatica di uomo mascherato e la scritta che ricorda il claim di un incontro di wrestling : “Ignorante, ovvero della cucina volgare”.
E riavvolgi il nastro, con la matita infilata nei rulli della cassetta, se no che nastro sarebbe, altrimenti cosa riavvolgeremmo. Tanto più che un certo numero di cassetti sporgono in bella mostra dal muro. Aperti. Ci metti quel che vuoi, ma più facilmente prendi, cerchi e raccatti qualcosa, ogni cosa: ricordi, attrezzi, forse intuizioni. La musicassetta è vecchiotta e racconta di posti in cui c’era l’erba e ora c’è una città, e di una casa che prima era in mezzo al verde e che oggi fai fatica a ritrovare. Un po’ la sensazione che provi arrivando a Piazzale Governo Provvisorio, lasciato alle spalle il traffico polveroso di viale Monza e la pletora di palazzi tutti uguali: la strada si allarga, diventa un acciottolato di porfido delineato da alberi e dissuasori, le case si abbassano, si colorano, si intravede un cortile, forse un giardino, e una cascina, evidentemente restaurata. Ecco, per dire che ti disponi per bene, quel tanto che basta anche per spazzare via tutta la aneddotica sul cuoco motociclista, sui baffoni a manubrio, sull’omone scorbutico e così via: Matteo Fronduti è gentile e alla mano, come tutti i suoi collaboratori. Ecco, l’ho detto. L’ignoranza va cercata da un’altra parte.
L’uovo in camicia, cavolo nero, lardo pestato e briciole di pane, un che di ignoranza la pratica, non fosse altro per l’uso accessorio di una moka Bialetti provata dal fuoco e dal tempo, per versare un fluido che una temporanea vacanza degli astrociti mi impedisce di ricordare. E anche il Risotto con pistilli di zafferano ci va giù di brutto, potente di manteca e formaggiosità, con un velo quadrato di midollo di bue a crudo che richiama il foglio d’oro di Marchesi, ma aziona un navigatore che ti porta in una Milano diversa, non solo geograficamente. E poi la Cassoeula, o meglio il suo riassunto, con il verzino e tutti i tagli del maiale luccicanti di grasso, le foglie di verza lasciate grandi e spaginate eppure intrise di sapore, per una lettura nitida che è viaggio e racconto. Insomma di ignoranza se ne può vedere, ma è come se il fuoco fosse spostato un po’ più in là, quasi un altro punto di vista, un passaggio laterale consapevole, perché la cucina di casa, di tutte le nostre case, resta prevedibile, ma anche inattaccabile. Prendendo a prestito certi enunciati pubblicati da Piero Formica, professore alla Cattolica (… e più Milano di così si muore), qui la tradizione, la conoscenza, sembra muoversi in orizzontale: nessuna rivisitazione, non si calpestano ossessivamente sentieri conosciuti, al contrario se ne inventano di nuovi. L’ignoranza, quindi, intesa come conoscenza non erudita, libera da specializzazioni, che consente e nutre la creatività. Il “so di non sapere” di Seneca, trova terreno fertile in questi piatti che confortano senza esser ripetitivi, che sono antichi senza esser museali, che viaggiano per suggestioni e rimandi senza essere cerebrali, che hanno nomi di fantasia sintetici e ironici: Ribolle, Quasi Milano, Riassunto, Bistecchina ?! Reloaded, Libero e privo di impedimenti, per non dire di Vai via dottore, una Tarte Tatin molto caramellata, pure troppo, che alla fine per gusto riporta ai croccanti delle fiere e per estetica alla cugina Cipolla caramellata di Davide Oldani, un altro cresciuto alla periferia della metropoli, in una piazza con una panchina, un albero e una chiesa.
Ma lo scarto laterale può essere ancora più drastico, barbarico. Perché i barbari arrivavano comunque: alzavi un muro e loro ci giravano attorno. Avevano tempo. Poi buttavano all’aria tutto, e magari trattenevano ciò che serviva, hai visto mai che le colonne di un tempio potessero servire ad allestire una stalla per i cavalli o a sostenere una tenda nomade. Volgare, diremmo, come di tutto ciò che ti sorprende, non perché sia nuovo, ma perché lo vedi in un altro modo, diverso: barbarico, appunto. Condivisioni di link, velocità passanti, connessioni multitasking, surf a scapicollo sull’onda della conoscenza: la superficialità, intesa come luogo, come unico punto di vista che consenta di vedere più lontano o dall’alto, un drone mentale, alla faccia di quelli che scavano e scavano, e poi quando arrivano in fondo al pozzo alzano la testa sconsolati e vedono solo un lumicino lontano. E allora Uè testina, testina di vitello arrosto, canolicchi e mela verde: languida e croccante, con l’acqua dei molluschi dolce come fior di sale; Tutto fumo, spaghetti, cime di rapa, aringa e rafano: grossi, di fatto spaghettoni, forse da servire più al chiodo, brutali, serviti sull’ardesia, ingannevoli, che se ti pigli un’unghia di rafano ti ribaltano, eppure così equilibrati e postmoderni; E buonanotte, ravioli di agnello, maionese di ostriche, rapa rossa e camomilla: un manifesto ligure, ebbene sì, a proposito di scarti laterali, che mette insieme mare e monti con delicatezza, belli da vedere, colorati, a mostrare come anche certi volgari ignoranti possano esprimere lampi di bellezza; Merenda hardcore vm18: vada per il cioccolato, passi la composizione, ma quel tabacco cubano in mezzo alla torba è davvero per tipi tosti con la moto fuori della porta.
Viale Monza sferraglia nuovamente sotto i miei occhi e sopra i miei polmoni: dove sarà ora il re degli ignoranti? Qui dietro al Manna o dalle parti della via Gluck, che non è poi così lontana? Sorrido, ripensando a una cucina divertente, giocosa, delicata e leggera; e serissima, tanto seria da sapersi prendere poco sul serio. E dico questo perché ho sognato Fronduti che mi acchiappava per la collottola, rifilandomi un coppino sul capocollo con la manona da wrestler, quello del depliant: “Uè testina…”. Stumpf.
Citazioni a casaccio dai lavori «Ignoranza e creatività» di Piero Formica e «I barbari» di Alessandro Baricco
Manna
Piazzale Governo Provvisorio 6
Milano