Menu Degustazione / L’Imbuto Ristorante, Lucca

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

La guardo, seduta di fronte a me. E’ bella, anche con quell’aria malinconica che ha quando cerca di dirmi qualcosa, magari una bugia che somiglia alla verità, forse un piccolo disagio che rende amare certe giornate, un passaggio a vuoto che la fa sembrare sempre più delicata, emozionata, sempre più preziosa. L’Imbuto è stretto, ma non troppo, come dev’essere d’altronde: lascia passare i visitatori del Centro d’Arte Contemporanea che scompaiono presto, lungo una scalinata, ma ne trattiene la presenza, ne conserva la scia tra i tavoli di recupero, tra i manifesti, tra gli avventori del ristorante, dapprima confusi, poi immedesimati, essi stessi rappresentazione, e tuttavia sollevati da qualsiasi cerimonia, anzi felici d’esser parte di un divenire, di veder frusciare la vita intorno a sé.

Lei fa scorrere le dita sulla tovaglia in cuoio, sembra testarne la grana, la consistenza: non ci faccio caso, trovo quella mise persino eccentrica. Invece lei sembra aver già trovato il filo conduttore del nostro pranzo: la gioia tattile. E cominciamo a mangiare con le mani un toast, con triglia, pomodoro, formaggio e polvere di capperi, che difetta un poco nella spinta acida. Mare ruvido, per nulla accondiscendente: la ricciola, scottata come in uno shabu shabu, è sferzata dal gin e da alghe croccanti, un tappeto silvestre sulle onde, così come la minestra di riso al moscato, molto fine e gentile, che s’imbatte nei muscoli delle cozze affumigate e nell’amaro della polvere di cipolla bruciata, in un tripudio di barche tirate a secco, di denti di cane, di alghe lasciate al sole, di legni salati.

Che poi tutto si declini con ossimori lo capisci incrociando gli occhi liberi da bambino di Cristiano Tomei, il cuoco, che invece è una montagna d’uomo, nonché pescatore di cortecce, raccoglitore di alghe, marinaio sull’onde dell’erba, domatore del fuoco, provocatore di sentimenti. A bizzeffe. Infatti le brillano gli occhi alla sorpresa dei piccoli ravioli con mortadella, ostrica arrosto e capperi: se ti fermi alla prima impressione scappi devastato d’amaro, se prendi l’intera cucchiaiata, invece, il raviolo esplode in una piccola onda di panna che armonizza il tutto, dolcemente, devastandoti sì, ma d’amore. Sensualità a palate, sesso come piovesse, Tomei che ride.

Lei si confonde un po’, in questa giornata vagamente tempestosa: ma questa volta non serve portarle delle rose. Meglio nuove cose, come una corteccia di pino marittimo, rovente, rudimentale contenitore di stracci di manzo massaggiati a mano e cotti nel loro grasso, qua e là chips di bucce di patata, come foglie cadute in autunno. Ed è davvero un regalo, da mangiare con le mani, prima che cuociano troppo, prima che si disperda l’incredibile profumo di balsamo, prima che prevalga la ragione sull’istinto. Che ti costringerebbe forse a imboccarla e farti imboccare, in un gioco infantile e primitivo, al tempo stesso goloso. Invece ti fermi davanti all’evidenza scontata, come sopraffatto dall’emozione, sorpreso da una sensazione verticale di profonda semplicità, di vertiginosa pulizia, irretito da un sentimento, originario e virile, di protezione, di cura, forse il richiamo inconscio di un cacciatore guerriero nella notte dei tempi davanti al fuoco con la sua donna che ha bisogno di lui. E’ un lampo, che oltre alla consapevolezza dell’evoluzione della specie, lascia anche un desolato senso di inadeguatezza, che non impedisce di avventarmi di nuovo sui bocconi: un buonissimo pane di castagne fa il resto.

Ed è a questo punto che, proditoriamente, viene servito il mio cuore. Uno spicchio di barbabietola nel suo succo, gocce di limone e un brandello sfilacciato di fegato quasi nature a coprire l’ortaggio, rosso più del rosso, tra il profumo e l’eleganza di ramoscelli di finocchietto selvatico. Lo mangio, il mio cuore svelato, ed è acido come mi aspettavo, croccante come temevo, dolce come vorrei.

Sì perché la dolcezza è solo di passaggio, un’occhiata, una carezza. Tre piccoli dessert dolcissimi riportati alla dura realtà ora col pepe, ora con l’olio, ora col tabacco: e un dulce de leche, un gelato di burrata e una crema catalana, ricordano a se stessi, e soprattutto a me, che l’attimo scappa via in questo mondo arido, ma che è bello così, proprio perché un attimo. Così sulla piazza fuori del bel palazzo lucchese, lei mi dice: “Abbracciami”. Poi poggia la testa sul mio petto, e io le accarezzo i capelli.

E amore mio grande amore che mi credi

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi

E resterò al tuo fianco fino a che vorrai

Ti difenderò da tutto non temere mai

E ti abbraccerò per darti forza sempre…

Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo

Veglio su di te, io sono il tuo guerriero

 

Crediti

Marco Mengoni Guerriero

Enrico Ruggeri Quello che le donne non dicono


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