di Manuela Piancastelli
Ho conosciuto Leonardo Mustilli nel 1981, trentasei anni fa. Ero una giovane borsista della Federazione della Stampa che iniziava il suo stage a “Il Mattino” ed avevo preso una casa a Sant’Agata de’ Goti, un paesino di cui mi ero innamorata perdutamente.
Ogni volta che potevo, scappavo in quella casetta a picco sul torrente Martorana, a cento metri dall’abitazione di Mustilli. Ebbi così naturalmente, dopo poco, il piacere di conoscerlo e subito mi affascinò per la sua riservatezza e gentile ruvidezza. Allora non mi occupavo ancora di vino ma quello su Sant’Agata e l’ingegnere (che in realtà aveva iniziato da poco a vinificare, nel 1976) fu il mio primo articolo firmato sul giornale.
Da allora ci siamo visti numerose volte, per anni andavo a comprare il vino per me e miei amici nella sua splendida cantina (produceva tra gli altri un vino delizioso, il Regina Sofia, aglianico vinificato in bianco) e naturalmente molte volte mi è capitato di intervistarlo. Fu il protagonista di una puntata di un mio programma radiofonico per la Rai sull’agricoltura in Campania, fine anni ’80, e anni dopo, quando Veronelli mi scelse per scrivere il libro sulla nostra regione per “I Migliori vini d’Italia”, lo volli fra i quattro protagonisti storici della viticoltura insieme con Antonio Mastroberardino, Michele Moio e Mario d’Ambra.
L’ho sempre considerato un intellettuale prestato alle vigne, un uomo colto ed essenziale, persino un po’ burbero, lontano da ogni inutile clamore: un gentiluomo che mal si adattava a un mondo rumoroso di parvenue. Luciano Pignataro ha giustamente ricordato il suo impegno nell’enoturismo e nel Movimento Turismo del Vino. Quando ne sono stata presidente, dopo Corrado d’Ambra, era tra i pochissimi vignaioli campani a partecipare alle riunioni e aveva sempre proposte, idee, non veniva certo a scaldare la sedia.
Una volta ebbe una differenza di vedute con un altro vignaiolo che fu abbastanza aggressivo nei suoi confronti accusandolo addirittura di non volere il bene della viticoltura. Credo che sia stata una delle poche volte in cui sono letteralmente balzata dalla sedia ricordando che se non ci fosse stato lui, la falanghina e quindi gran parte delle aziende campane, non sarebbero esistite. Mustilli semplicemente fece spallucce, ignorandolo completamente. Ecco, io voglio ricordarlo così: a un metro da terra per non sporcarsi, non per spocchia ma per nobiltà interiore. Abbraccio con infinito affetto la moglie Marilù e le figlie Paola e Annachiara.
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