Massimo Bottura nella sua Osteria Francescana lancia il menu Viaggio nella Valle del Po ripercorrendo all’inverso il percorso fatto da Mario Soldati nel 1957-1958. Ancora una volta la modernità del cuoco italiano più conosciuto al mondo si declina attraversando il passato. Un passato temporale, attenzione, perchè il viaggio di Mario Soldati fu qualcosa di assolutamente innovativo per l’epoca, una testimonianza della gastronomia e delle usanze rurali di una Italia che di lì a poco sarebbe stata completamente travolta dal modernismo industriale, uscita sconvolta dalla guerra fascista e dalle rappresagie naziste. Fu così che il grande giornalista-scrittore realizzò 62 anni fa (esattamente la mia età), una sorta di Linea Verde ante litteram ancora oggi carica di valori e di significato. Una testimonianza che considera la consuetudine materiale di un popolo elemento fondante per la conoscenza culturale di una nazione.
L’oste doveva conoscere il suo territorio, il cuoco moderno deve interpretare il paese in cui vive, la sua storia, i suoi artisti, i gesti, i profumi, per evitare l’omologazione delle mode globali che se importate senza filtri non sono modernità ma colonialismo e dunque puro consumo di idee, non loro produzione. Che diventa consumo di materie prime altrui, non recupero della artigianalità gastronomica del proprio Paese. Un messaggio che al Sud per primo ha lanciato Alfonso Iaccarino e che trova per fortuna alcuni grandi interpreti. Che noia, che noia, che noia mangiare e leggere le stesse cose non metabolizzate, quel mix di Francia, Spagna e Giappone in ceviche presentate come una propria creazione, una novità quando altrove sono già state consumate.
E mentre iniziamo il nostro pranzo servito nei piatti di Richard Ginori salvato da Gucci (ma a proposito, siete stati o no all’osteria Gucci a Firenze da Karem?) pensiamo alla straordinaria avventura umana di Massino Bottura e Beppe Palmieri. Due numeri uno, (un altro ex aequo!) la cui somma non fa due, ma tre, quattro, cinque, fate voi. Una sala all’altezza della cucina ma anche una cucina all’altezza di una sala caleidoscopica, mai seduta, mai routinier, curiosa, colta, smarcante come i piatti che arrivano in sequenza, improntati prima alla freschezza e alle note sapide e amare, poi sempre più appagante, dall’essenzialità monastica al Barocco opulento di colombaccio e bollito accompagnati da salse di germano e bagna cauda, dall’ostrica rosa del Po, tra le più preziose al mondo, alla rassicurante nocciola piemontese, dalla foce alla sorgente del fiume che taglia da sempre l’Italia in due.
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VIAGGIO NELLA VALLE DEL PO
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Il locale di via Stella è una sorta di bottega rinascimentale dove i giovani arrivano da tutto il mondo nella speranza di essere accolti per imparare il mestiere. E, diciamolo pure, è uno dei pochissimi posti italiani dove hai la sensazione di stare al centro di qualcosa che si sta muovendo nel mondo. La assoluta superiorità di Bottura è proprio nella visione internazionale che pochissimi hanno conservato in questa Italia ripiegata su se stessa e incapace di accogliere non solo i poveri disperati, la soprattutto la ricchezza e la cultura di chi viene da fuori. Gia ni in cui Soldati narra il Po erano quelli della modernissima Lettera 22 della Olivetti e se andate al museo delle macchine da scrivere di Trani, un vero gioiello ancora sconosciuto, capirete la parabola del nostro paese attraverso il design e la funzionalità di quello che ha prodotto Ivrea a partire dagli anni ’60 fino agli sgraziati cassoni ingombranti dei due decenni successivi. E il tetativo tutto italiano della scorciatoia estetica per superare lo svantaggio, quella di una lettera 22 riprodotta per Italia ’90 e proposta come novità in un mondo che stava per attraversare lo specchio di Alice di internet.
Ecco allora perchè Massimo Bottura e Beppe Palmieri sono numeri uno. Stanno sul pezzo, come si dice. Mantengono la tensione. Ve li potete imaginare mentre fanno pubblicità a detersivi per lavatrici, pasta, patatine? Sarebbe come scoprire che la Madonna tradiva San Giuseppe con Erode. Impensabile non perché poco etico, ma perché poco moderno. Il vero artigiano domina il prodotto, non viene brandizzato dal prodotto diventandone una espressione per poi dichiarare “E’ questione di gusto”. No, è questione di soldi. Va bene, ma dirlo con chiarezza fa bene a tutti, allo stesso sponsor che vorrebbe rimanere occulto.
Sia chiaro, non siamo contro sponsor e pubblicità, viviamo di questo. Ma sosteniamo che c’è un modo zotico e poco efficace per proporsi, e uno più autentico e migliore: quella della netta distinzione dei ruoli.
Ogni piatto del menu ha il suo rimando a ricordi profondi, antichi o a risvolti poco conosciuti della Padania il cui volto è completamente cambiato a partire dagli anni ’50-’60. C’è dunque un problema di recupero di prodotti, di ricordi, di sapori e di piatti visti, per citare il nostro in una delle sue frasi più felici, a dieci chilometri di altezza, ossia tradotto un linguaggio universale che li rende leggibili ma al tempo stesso unici. Questo, alla fine, è il salto in più che viene realizzato da Bottura e pochi altri in Italia.
In questo percorso, tra classici (a proposito, ma quante consistenze di parmigiano ho visto uscire dalla cucina!) e novità ci sono i temi della ristorazione moderna: pochi grassi, cotture perfette (l’anguilla non finirà mai di stupirmi perché è una delle poche cose che non riesco a mangiare nelle versioni tradizionali), pochi zuccheri, sostenuta freschezza al palato. Per la prima volta mondo del cibo e mondo del vino tornano ad allinearsi dopo anni di opposti sensi di marcia che li ha in qualche modo allontanati soprattutto qui in Italia, Pensiamo ai vinoni degli anni ’90 pensati in bare di legno quando la cucina si alleggeriva sempre di più con la consacrazione dell’olio d’oliva come grasso principe e benefico.
Parlando del cuoco, una delle capacità di Massimo Bottura è trasmetter ela capacità di vivere le stagioni e i luoghi attraverso i piatti, come l’orto autunnale di funghi e il piatto di lumache e rane coniugate da salse vegetali e di aceto balsamico.
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CONCLUSIONI
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Ormai il nostro pellegrinaggio annuale è diventata tradizione. Ci serve per capire in che direzione sta andando il Mondo più che l’Italia. Nei racconti nei piatti di Massimo come nei racconti e gli abbinamenti di Beppe c’è l’entusiasmo, la voglia di non fermarsi mai, la consapevolezza che nonostante i sacrifici, gli sforzi, le rinunce, l’appagamento che viene da un lavoro artigianale di precisione, con compromessi ma senza scorciatoie, è l’unico modo per passare dai libri di cucina a quelli della storia materiale di una comunità, di un popolo. In cui essere italiani non è un elemento distintivo, un recinto in cui rifugiarsi, ma un valore aggunto a un movimento che è globale e che tale è destinato ad essere sempre di più.
Osteria Francescana Modena Massimo Bottura
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