di Leo Ciomei
Qualche giorno fa le riviste di settore e soprattutto i blog gastronomici hanno dato la notizia che il nostro Massimo Bottura aveva conquistato un altro alloro: Chef Internazionale dell’anno 2012 per la prestigiosa rivista telematica statunitense DailyMeal (giochino di parole stupendo), che aveva già incoronato M.B. come miglior chef europeo 2012. Insieme alla notizia del premio il blog ha inserito una lunga e interessante intervista al nostro numero uno dove, se ce n’era bisogno, scopriamo che lo chef modenese oltre a cucinare bene ha pure le idee ben chiare sul demi-monde gastronomico.
Naturalmente l’intervista è in inglese ma poiché voglio bene ai miei lettori che so essere non tutti a proprio agio con la lingua d’Albione mi sono permesso di tradurla e di inserirla qui sotto. Credo che il personaggio Bottura se lo meriti ampiamente.
Il più recente chef a tre stelle Michelin d’Italia, Massimo Bottura, si mostra con un’elegante figura professorale. I racconti e le notizie sul suo talento e importanza sono altrettanto lusinghieri e convincenti. Basandosi sulla ricchezza della gran parte dei prodotti classici italiani locali, ma affrontando i suoi menù come racconti storici degni di un romanziere, Bottura è uno degli chef più innovativi nel mondo di oggi – e un’ottima scommessa per iniziare a riportare un po’ di gloria gastronomica ad una nazione pazza per il cibo i cui ristoranti sono recentemente stati eclissati da quelli di Spagna e Scandinavia.
L’Osteria Francescana di Bottura, attraente ristorante in stile moderno, si trova a Modena, nella ricca regione gastronomica dell’Emilia-Romagna – famosa per essere la sede della Maserati, della Ferrari e della Lamborghini, ma anche dell’aceto balsamico (il vero aceto balsamico), del cotechino e dello zampone, e della pasta come “tortellini” e “tortelloni” (così nell’originale), molta tradizione a cui attingere. Bottura smonta e reinventa la tradizione con piatti come “Ricordo del panino alla mortadella”, “Cinque età del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature”, “Bollito… non bollito” e “Oops! Torta rotta” E’ tutto molto delizioso, e anche divertente – in fin dei conti è al top nella nuova classifica dei 101 Best Restaurant in Europe.
Per questi motivi, siamo lieti di annunciare che abbiamo scelto Bottura come 2012’s International Chef of the Year — insieme a José Andrés, The Daily Meal’s 2012 American Chef.
Abbiamo raggiunto entrambi i cuochi per scoprire dove sono diretti e, a loro parere, qual è la situazione attuale del food. In questa intervista, lo chef Bottura parla delle sfide per ottenere alcuni dei migliori ingredienti del mondo, l’importanza nel raccontare il cibo, e il segreto dietro un menù degustazione di successo.
E’ stato salutato come uno dei migliori chef del mondo quando si tratta di bilanciare le esigenze di tradizione e modernità – qual è la sua filosofia in merito a questo ?
La mia cucina può essere definita come “tradizione vista da 10 miglia di distanza.” Ho rivisitato ricette e idee tradizionali rendendole contemporanee. Questa è la mia specialità. Ho sempre provato in modo molto forte a rispettare la tradizione, ma anche a rispettare gli ingredienti e i coraggiosi produttori agricoli, macellai, pescatori. Conoscete il vostro contadino, il macellaio, il formaggiaio e il vostro pescivendolo. Quando si ha un rapporto con le persone che lo producono, il cibo sarà sempre di migliore qualità.
Inventare un piatto richiede distanza. Fate un passo indietro. Pensate ai sapori di base della ricetta, perché è nata, e come è sopravvissuta per tanti secoli. Poi mettetela da parte. E’ necessario pensare alla consistenza, al sapore e alla forma. Mantenere ricette semplici, con sapori distinti che non si coprono l’un l’altro. Cosa c’è di meglio di gustare il vero sapore di qualcosa, anche qualcosa di semplice come una patata ? A volte devo chiedermi se le nostre tradizioni rispettano gli ingredienti e se così non fosse, allora è il momento di rielaborarli. Io chiamo questa “tradizione in evoluzione”.
A volte vengono aggiunti nuovi ingredienti. Talvolta la forma è cambiata. Altre è necessario cercare di reinventare il piatto da zero gettando la ricetta. La cosa più importante è quella di applicare un nuovo modo di pensare a una vecchia idea, senza mai perdere di vista gli ingredienti e il rispetto per le tradizioni che ti legano al posto in cui vivi. Qui a Modena abbiamo tali e tante grandi risorse che abbiamo solo iniziato a sfiorare. Io uso gli ingredienti della mia terra: Parmigiano-Reggiano, prosciutto, pasta all’uovo tirata a mano, l’aceto balsamico, e così via, ma credo che l’ingrediente più importante da usare in cucina sia la mente. Troppo spesso le persone cucinano con le mani e non con i loro cervelli. In realtà, c’è bisogno di entrambi.
Il racconto è una parte importante di una cena presso l’Osteria Francescana – la storia e la narrazione dietro ogni piatto. Da dove proviene questo amore ?
In realtà penso che il dialogo narrativo che attraversa la mia cucina è dovuto al crescere in una grande e rumorosa famiglia con cinque fratelli, zie, zii e mia nonna a tavola tutti i giorni. A volte eravamo in 15 a tavola nello stesso momento. Il chiacchiericcio era sempre vivace con le gesta esagerate che i miei fratelli si raccontavano, e i miei genitori che cercavano di tenere tutti in ordine. La conversazione era importante quanto il cibo, e di conseguenza non sono più in grado di separare le due cose. Tutto quello che mangio, anche la più semplice pizza, ha qualcosa da narrare alle spalle, dagli ingredienti al pizzaiolo che fa e lavora la pasta.
Quando sto lavorando su una nuova ricetta, le idee non sono mai astratte, ma saldamente radicate a un punto di partenza. Non è mai solo una faccenda di ingredienti o una “combinazione straordinaria” di sapori, ma idee che vengono fuori da quello che vedo ogni giorno in tutto il mondo intorno a me. In questo momento sto lavorando su una serie di piatti intorno all’idea degli “avanzi” e del non buttare via nemmeno le più piccole rimanenze di cibo. Forse faccio questo perché l’Italia sta affrontando una grave crisi economica, o forse sto diventando vecchio e non voglio buttare via niente, non lo so … ma le ricette che vengono fuori da questa riflessione hanno storie da raccontare, storie che spero dureranno come le stesse ricette.
Perché pensa che la narrazione è così importante ? E la gente può ancora godere di cibo – le sue creazioni, in particolare – senza di essa ?
Il raccontare storie – il cibo che si fa novella, evoca la memoria, resoconti per le diverse culture, informa e nutre, e si presta ad un maggiore senso di appartenenza – non è solo una necessità, ma un dono alle future generazioni di chef e commensali. Io voglio raccontare una storia visiva per aiutare il pubblico a capire i prodotti che uso e il territorio da cui provengono. I piatti non hanno bisogno di spiegazioni o di storie lunghe per essere compresi o apprezzati, tuttavia un po’ di storia migliora spesso l’esperienza a tavola. Quando andate in un museo ad ammirare un’opera d’arte non avete bisogno di una guida, ma a volte, quando qualcuno ti conduce per la via giusta, vedete il lavoro in una nuova luce.
Come molti altri che hanno lavorato a El Bulli, ha dovuto affrontare il problema di aver imparato da Ferran Adrià, spesso considerato lo chef più influente del nostro tempo. Che cosa si può portare via da un personaggio simile senza copiare quello che fa ?
Ho imparato molto dalla mia esperienza con Ferran Adrià. Quello che ho portato a casa, tuttavia, non era un quaderno pieno di ricette o tecniche, ma una mente aperta su come pensare in cucina. Il mio primo stage però è stato con Alain Ducasse, che ha aperto la mia mente a una cucina raffinata con il rigore dello stile Michelin. Da lì ho lavorato sulla mia tecnica e anche sullo scoprire chi sono e dove vivo. Cinque anni dopo sono arrivato a El Bulli. Avevo già in testa dove stavo andando e Ferran mi ha incoraggiato ad aver fiducia in me stesso.
Un buon esempio di come ho lavorato attraverso le mie esperienze con altri chef può essere osservato in un piatto chiamato “Compressione di pasta e fagioli”, piatto che spesso anch’io chiamo compressione della mia storia gastronomica, servito in un bicchierino. Lo strato inferiore è una crème royale, che rappresenta la mia formazione classica francese con Alain Ducasse. Lo strato superiore è “aria di rosmarino”, un diretto riferimento alla mia esperienza con Ferran Adrià.
Al centro vi è la parte tradizionale del piatto: passata di fagioli e pasta all’uovo tritata. In questo caso, tuttavia, la pasta è stata sostituita con fette sottili di crosta di Parmigiano Reggiano. Le croste molli non solo ricreano l’esperienza della pasta ma mirano al cuore: mia nonna Ancella, che preparava il suo brodo con la crosta di parmigiano, lasciava poi che me le masticassi a tavola. A Modena tutti noi siamo cresciuti mangiando crosta di Parmigiano, con questo piccolo gesto si conferma che il mio cuore è per sempre in Emilia. Credo che sia importante avere un elemento emozionale in ogni piatto – qualcosa che ti ricorda chi sei e da dove vieni, anche se stai puntando alla luna.
C’è uno chef che la stimola ? Chi la ispira a migliorare ancora ? Oppure ad un certo punto la sente come se fosse in competizione solo contro sè stesso ?
Ammiro chi fa la scelta difficile di diventare chef. Non ci sono percorsi facili per il successo in questo business. Come Picasso diceva spesso: “Il successo è 10 per cento talento, e il 90 per cento duro lavoro.” Ho molti amici chef in tutto il mondo. Quelli che ammiro di più sono coloro che stanno cercando di fare ciò che è nel loro cuore – non solo come un business, ma anche come una forma d’arte. Vivere i tuoi sogni è la cosa più difficile che si può fare. Tutto il mio rispetto va a quei cuochi che hanno il coraggio di fare la differenza nelle loro comunità e nel loro paese.
Dal Pescatore nella campagna mantovana è uno splendido ristorante tre stelle Michelin gestito dalla famiglia Santini. Apprezzo il loro duro lavoro, il successo, e i valori che sostengono. Mi piacerebbe essere, del mio ristorante, il primo anello di tre generazioni. Non so se mia figlia Alexa si unirà a me in cucina, ma posso sognarlo. L’Italia è stata costruita su grandi famiglie che fanno sacrifici una per l’altra. Oggi questo è qualcosa che rischia di essere perduto per sempre. Nadia Santini è un modello perfetto, lo dimostra come ha lavorato con i produttori locali e con le tradizioni negli ultimi 30 anni. La sua cucina non è mai obsoleta, ma sempre fresca e piena di emozioni.
Quale pensa sia il segreto dietro un menù degustazione di successo ?
Non siamo mai soddisfatti. Cerchiamo di stare sempre in allerta e spingerci sempre verso il più difficile per dare ai nostri ospiti un’esperienza unica ed emozionale sia dalla cucina che dalla sala.
Offriamo ai nostri ospiti tre menù degustazione, oltre al menù alla carta. C’è il menù Tradizionale, che rende omaggio all’Emilia-Romagna con ingredienti, tradizione e territorio. Il menù Classici è invece una specie di “the best of La Francescana”, che anno dopo anno viene aggiornato e rivisto, sulla base dei migliori piatti di quell’anno e dei classici che gli ospiti chiedono sempre. Poi c’è il menù Sensazioni, che è in continuo cambiamento e evoluzione sulla base dei prodotti di stagione. Alcuni splendidi esempi sono “Autumn Leaves“, che cattura i sapori all’inizio dell’inverno sotto forma di brina coperta da foglie. Tu mangi letteralmente zucchero glassato su foglie aromatiche con funghi, zucca, castagne e nocciole. Questo è come portare l’esterno all’interno. Oppure “Camouflage: una lepre nel bosco“, che è un ritorno al civet classico francese con un tocco modernista basato su una splendido racconto di Gertrude Stein su Picasso del 1914.
Con questi tre menù ben distinti, siamo in grado di appagare le molteplici esperienze e desideri dei nostri ospiti. Due tavoli diversi possono avere esperienze completamente distinte all’Osteria Francescana. Noi pensiamo che questo sia molto speciale. Nessun pranzo è uguale all’altro, perché ogni ospite è unico. Per questo motivo manteniamo a 12 il numero dei nostri tavoli per garantire un servizio personalizzato e attento con tutti.
Ci aspettiamo che sarà coinvolto con molti nuovi progetti e cose interessanti per gli anni a venire, ma se dovesse riflettere ora su ciò che desidera sia la sua eredità come chef, quale vorrebbe fosse ?
Eredità è una parola grossa. Diventare uno chef non era la mia prima scelta. E’ successo per caso. Ma sono contento di averlo fatto soprattutto perché sono in grado di parlare a tanti giovani cuochi di tutto il mondo e incoraggiarli a seguire i loro sogni. Mi piace entrare in cucina ogni mattina e vedere la brigata di cucina che si prepara ad iniziare. Quando l’energia e le persone sono giuste c’è una vera percezione da “nothing is impossible”. La bellezza del mio lavoro è che è concreto e immateriale allo stesso tempo. Camminando sul confine sottile tra questi due mondi, vedo tanti contatti con l’arte, la musica e la letteratura. E mi sento molto onorato di avere una voce in questa discussione.
Recentemente ho parlato molto di Italia. E il mio nuovo menù degustazione si chiama “Vieni in Italia con me.” Spero di essere parte di un’Italia rinata, un’Italia orgogliosa e un’Italia economicamente sicura e creativamente supportata. C’è ancora tanto da scoprire qui – da assaggiare, da toccare e da vedere. Mi recherò a marzo a Washington, New York e Los Angeles rappresentando l’Italia con questo menu per l’anno della cultura italiana in America. Questo progetto è il primo passo per riallineare i nostri valori culinari con i nostri valori culturali. La mia eredità come chef è di essere un ambasciatore della cucina italiana facendo in modo che vi sia abbondanza di spazio per crescere nel vedere il nostro passato da un punto di vista critico e non nostalgico. “Tradizione nell’evoluzione” può diventare un tormentone tra la nuova generazione di cuochi italiani… calciatori, designer, artisti, scrittori, architetti e ingegneri. Perché no ?
E cos’altro ti piacerebbe essere ?
Nel mio futuro vedo più futuro. E la mia migliore ricetta è quella che devo ancora inventare.
Qual è la sua valutazione dello stato del cibo e della ristorazione in generale in Italia ? Il cibo dà emozione in questo momento in Italia ? In caso affermativo, a quale chef italiano il mondo dovrebbe guardare ?
Io sono uno chef italiano, nato e cresciuto in Emilia-Romagna. A 50 anni sto ancora scoprendo nuovi sapori italiani. Mi chiedo: “Quali sono gli autentici sapori italiani ?” Gran parte delle mia ricerca è buttare via i miei presupposti sulla tradizione, sul territorio e sugli ingredienti: un colpo di spugna. Sto assaggiando, viaggiando e scoprendo nel mio paese e anche fuori. Io sono interessato a quello che pensano gli altri sul cibo italiano e lo aggiungo alle mie riflessioni. La cucina italiana è internazionalmente apprezzata eppure sembra essere ancora bloccata nell’immagine della cucina della nonna. E’ come se al cibo italiano non fosse permesso di evolvere. Tutti parlano di autenticità, ma non sono sicuro che questo sia davvero quello a cui stanno puntando. Sembra quasi come qualcuno che copia il compito e non pensa le cose col suo cervello.
La più grande risorsa in Italia sono i suoi artigiani. Dobbiamo sostenerli e dare loro visibilità al fine di garantire che ci sarà una prossima generazione di artigiani per i nostri figli e nipoti. E’ molto importante che i giovani chef non si perdano nei propri sogni di grandezza, ma continuino a costruire per il futuro d’Italia. Quanto più ci si concentra sul territorio, sulle risorse incredibili che ci sono state date dai nostri antenati, più siamo in grado di creare ricette a lunga durata. Etica ed estetica vanno di pari passo. Pensa al potere di Slow Food e di come è cambiata una generazione di cuochi. Questa è la tendenza per il prossimo decennio, e forse per sempre. Un giorno invece di chef superstar ci saranno agricoltori superstar. Quello sarà davvero un grande giorno.
Cosa c’è di buono nella cucina italiana in questo momento è il feeling tra gli chef contemporanei. Siamo tutti d’accordo che è molto difficile cercare di spostare la cucina italiana in avanti. Questo significa collaborazione: organizzazione di eventi, presenza in occasione di conferenze, viaggi e comunicazione. Eventi come IdentitàGolose a Milano, o Festa a Vico a Vico Equense, Napoli, sono occasioni per condividere idee e prendere slancio. Un’altra grande cosa nella cucina italiana di questo momento sono gli artigiani eccezionali che ci stanno fornendo incredibili prodotti – dalle mandorle di Noto all’aceto Zibibbo di Pantelleria, dai pomodori del Piennolo delle colline del Vesuvio alla ricotta d’Alpeggio. Ogni angolo d’Italia ha oggi un gioiello da scoprire e da essere usato nelle nostre cucine. Grazie a loro, siamo in grado di esprimere noi stessi attraverso questi dettagli.
C’è ancora un sacco di resistenza al cambiamento e molta ignoranza. Molte persone pensano che avanguardia significhi lasciarsi il passato alle spalle, mentre tutti noi siamo molto impegnati a “ricostruire” la cucina italiana – non a smontarla. La cucina italiana è passata attraverso molte evoluzioni. Eroi come (Gualtiero) Marchesi (il primo chef italiano a tre stelle) ci ricordano che c’è ancora molto lavoro da fare per ridefinire la cucina italiana, non solo come “il tranquillo cibo della nonna”, ma come cucina raffinata a base di prodotti veramente eccezionali e armoniose combinazioni di sapori d’Italia, ereditati dal ricco patrimonio culturale dovuto agli innumerevoli scambi nel corso dei secoli. Questo è ciò che stiamo cercando di fare tutti: far emergere il meglio dell’Italia.
In questo momento all’Osteria Francescana stiamo rivalutando i classici italiani e gli ingredienti straordinari con cui sono fatti. Questi piatti rientrano nel tema “Vieni in Italia con me”, che in realtà è un invito ad esplorare l’Italia con occhi nuovi… e mente aperta. Non cercare quello che conosci già, ma trova sapori nuovi. Risotto “cacio e pepe” è una nuova ricetta che proviene dagli alimenti base romani e la trasforma in una rivisitazione emiliana con Parmigiano-Reggiano al posto del Pecorino Romano e riso per ricordare le mondine di Nonantola (le famose donne raccoglitrici di riso di un’area vicino a Modena) invece degli spaghetti del sud. Può sembrare semplicistico o banale ma le prime reazioni dei nostri clienti sono state di sorpresa per come avevamo toccato il “tranquillo cibo della famiglia italiana” senza fermarsi lì.
Lo scorso giugno c’è stato un gran bussare alla porta del mio ufficio. I migliori chef italiani – e miei più cari amici – riuniti per un pranzo a sorpresa all’Osteria Francescana. Sono venuti a mostrare la loro solidarietà in un momento difficile dovuto ai terremoti del maggio scorso qui in Emilia. Questo gruppo di chef italiani rappresenta il futuro della cucina italiana. Sono: Massimo Alajmo, Davide Scabin, Ciccio Sultano, Norbert Niederkofler, Mauro Uliassi, Moreno Cedroni, Carlo Cracco, Chicco Cerea, Antonino Cannavacciuolo, Andrea Berton, Giancarlo Perbellini, Gennaro Esposito, Niko Romito, Heinz Beck, e il più giovane di tutti loro, Giovanni Santini. Fermati a uno dei loro ristoranti, e di sicuro, avrai un’esperienza incredibile. La migliore che l’Italia ha da offrire.
Dove stanno accadendo gli avvenimenti più interessanti sul cibo ?
Da tutte le parti. In primo luogo, stanno accadendo nelle cucine delle famiglie, e questo è incredibile. Tante persone stanno tornando ai fornelli. Cose interessanti stanno succedendo negli orti e nelle fattorie, sui terrazzi, e nei terreni più disparati di tutto il mondo. Infine, gli agricoltori stanno prendendo sempre più credito dove il credito è dovuto. Questo è molto importante.
Dopo quasi 20 anni sono tornato all’Hotel de Paris per festeggiare il 25° anniversario di Monsieur Ducasse lì e l’ho trovato altrettanto stimolante come quando l’ho lasciato. Sono appena tornato dal Sud Africa, dove ho assaggiato alcuni prodotti incredibili, frutta e vino. Sarò in Cile nel mese di gennaio e sono molto curioso di scoprire la cultura e il cibo di quel territorio. Eataly sta aprendo un altro negozio di prodotti alimentari gourmet italiano a Chicago dopo l’apertura recente di Roma e, prima ancora, di New York. Finalmente una nuova formula per fare la spesa in maniera progredita.
Quale sarebbe stata la sua scelta per lo Chef dell’anno ?
Ci sono un paio di chef che non cucinano solo in cucina, ma riescono a fare altrettanto bene al di fuori della cucina. Questo è ammirevole perché usano la cucina come veicolo per la riforma. Gastón Acurio in Perù e Ben Shewry in Australia fondono etica ed estetica nei loro diversi paesaggi e culture. E non dimentichiamo la nuova generazione di brillanti giovani chef italiani che spuntano in luoghi inaspettati con le stelle Michelin sui loro orizzonti.
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