Il ristorante Gatto Verde di Casa Maria Luigia a Modena

IL Gatto Verde Modena
Stradello Bonaghino, 56
Info: algattoverde@casamarialuigia.com
Tel.334 655 5554

Jessica Rosval- chef

di Giulia Gavagnin

Prendere il meglio di ciò che c’era e trascinarlo nel futuro. Questa non è solo la sintesi di ciò che ha fatto finora il più celebrato e pop dei nostri cuochi, quel gran genio di Massimo Bottura. Concretamente, è ciò che gli è riuscito ancora una volta e (azzardiamo) forse meglio di quanto ci aspettavamo.

Diavolo di un Bottura! Mai pago di ciò che ha fatto e continua a fare, non contento di Tortellanti, sciccose Gucciosterie sparse in giro per il mondo, Torno Subito (ma quando mai??), Ted Talk e conferenze, a settembre annuncia l’apertura di Gatto Verde all’interno di Casa Maria Luigia, la sua dimora esclusiva a pochi chilometri dal centro di Modena.

Un nuovo progetto ritagliato sulle caratteristiche di Jessica Rosval, che con braci ardenti, BBQ, affumicatura, ci sa fare assai. Un’idea che pensavamo intrisa di extebarrismo e invece no, perché il genio è tale quando porta alla sintesi perfetta un’idea e insieme spiazza.

Gatto Verde rispecchia l’internazionalismo glocal di Bottura, il nome nasce dalle conversazioni con Paolo Ferrari figlio di Enzo che racconta di questo animale immaginario, psichedelico e totemico nella vita del padre. Velocità Ferrari nel senso futurista del termine e immaginazione del grande vecchio di Maranello, eccellenza riconosciuta nel mondo e “modenesità”. Insomma, l’essenza di ciò che è Massimo Bottura, colui che ha trasformato Modena da ricca cittadina di provincia a principato noto nel mondo, senza trascurare anche la leggenda di Luciano Pavarotti cantore di Modena nel mondo, che ben s’intende.

Non sarebbe un luogo di Bottura se non ci fosse arte ovunque, se non ci fosse una soffusa colonna sonora che scivola tra classici jazz e rock, se non ci fossero opere da galleria contemporanea, di Mike Bidlo in questo caso, autore di un apparente Pollock che si chiama NOT Pollock; ci piace pensare che sia anche un tributo 2.0. a Marchesi ma è senz’altro un’allusione concettuale a un BBQ che NON è un BBQ sulla scia del NOT che è sempre stato uno dei fili conduttori nel Bottura-pensiero, vedi il bollito-non-bollito.

Poi, nel salone che conduce alla toilette, una collezione di motociclette e di Ferrari, velocità e bellezza di un viaggio appena cominciato.

In questo scenario transcontemporaneo si snoda la proposta “di fuoco” del Gatto, tra un menu degustazione a 140 Euro e una carta breve ma esaustiva.

L’incipit è affidato a Tola Dòlza, una sequela di tre amouse-bouche di apparente semplicità, ma di intensità inaspettata.

Un pane lievitato 48 ore di bontà inusitata, accompagnato da una crema di spinaci bruciati a ricordo dell’erbazzone, un hummus alle mandorle con olio di cedro e la ricotta di Rosola ripassata nel forno a legna e finita con il miele autoprodotto.

La carta dei cocktail suggerisce un Negroni invecchiato in botte di legno di ciliegio, e non ci facciamo pregare.

I vari leit-motiv botturiani proseguono incessanti in una sequenza di piatti eccellenti con vette di “effetto wow”.

Il primo masterpiece è il borlengo (tradizionale crespella di acqua e farina) impastato con acqua di porcini e servito con porcini grigliati e tartufo nero grattugiato con generosità.

Qui in naviganti sono già avvisati: la chiave per la cucina del presente e del futuro è la semplicità portata alla perfezione assoluta. Un mantra che era già di Fulvio Pierangelini, arricchito da Bottura con l’attenzione spasmodica al territorio nelle “Non è una cozza” ripropone l’idea del NOT in una crocchetta non dissimile a quelle da bacaro veneziano, indi richiamante sempre l’idea di convivialità, riassunto di granchio blu, mazzancolle, capesante, pancia di maiale con una crema da intingere sinceramente da sballo. L’idea estetica del total black rimanda, ovviamente, all’omaggio a Thelonius Monk in versione più accessibile.

Dalla carta, i tortellini gratinati con forno a legna e parmigiano 30 mesi costituiscono il divertissement del territorio, una versione differente di un classico senza tempo che gli avventori dell’Osteria Francescana conoscono bene, spesso somministrato come pre-dessert a soddisfare il peccato di gola anche del ghiottone più innocente.

Il piatto più clamoroso del menu è il cotechino sangue di drago, che a dispetto della presentazione, gode di una leggerezza quasi miracolosa, un tocco davvero speciale e futurista anche per noi adepti delle icone local che andavamo dal Nano Morandi per cotechino allo zabaione e champagne, pezzo di storia modenese che Bottura certamente non ignora.

Un piatto perfetto, per la finissima finta panatura all’ibisco e una salsa finissima al brodo dashi finemente adagiata sull’intera superficie del piatto sino a illudere l’avventore che non sia una salsa (o una non-salsa). Un piatto perfetto per la portata estetica, il legame con il territorio e la proiezione nel mondo globale che Jessica Rosval ha interpretato con una capacità dinanzi alla quale non c’è che togliersi il cappello.

Se l’estetica è parte della forma e la forma è sostanza come diceva Aristotele, il piatto simbolo dell’intero menu è “cielo terra e mare”, un dessert strepitoso innazitutto da guardare, per la perfezione della rosa che ci ricorda Saint Exupery (“è il tempo che dedichi alla rosa che fa bella la rosa” diceva appunto la rosa al Piccolo Principe”) e il profumo di rosa che emerge delicato dal mix tra yogurt al carbone e infuso in acqua di mare, per poi esplodere nel gusto con l’aiuto del lampone e del caviale, connubio lussuoso e stupefacente, nel senso di sostanza.

Massimo Bottura, come tutti i grandi, è personaggio amato e divisivo al tempo stesso. E’ concettuale ma pop, ha una capacità fuori dal comune di individuare i talenti cui affidare la sua visione e farli crescere, sa assecondare le inclinazioni degli allievi e avvalersi delle loro peculiarità per cavalcare i tempi e talvolta anticiparli. E’ uno chef umanista che riesce a fondere in un’idea tutte le forme d’arte che lo costituiscono come persona e come uomo.

Ad alcuni dà fastidio, chi non lo conosce dice che è narcisista, vanesio e non solo vanitoso perché non parla abbastanza al popolo, molti gourmet-non qualificati italici (che, lo ricordiamo, costituiscono lo 0,0001% della popolazione) nella poltiglia magmatica dei social gli lanciano frecciatine per asserite imperfezioni o semplificazioni, probabilmente perché dalla sua cucina si attendono barocchismi di maniera che li faccia sentire iniziati e colti, talvolta spiazzati da quell’apparente semplicità che è in realtà la felice sintesi di una visione o forse sono infastiditi dal non essere abbastanza considerati dal Maestro e perciò necessitano di “idoli” più accomodanti e meno intellettualmente dotati, sì da sentirsi superiori.

Miserie umane a parte, Gatto Verde è un luogo da visitare assolutamente.

Per l’estrema fruibilità, il glocalismo che fa il giro del mondo, lo sdrammatizzare il concetto di fine-dining che, volenti o nolenti, si sta allontanando sempre di più dai barocchismi, dagli eccessi, dalla pompa dei ristoranti lussuosi. Il futuro lo indica ancora Massimo Bottura e risiede nel saper prendere ciò che c’era e filtrarlo attraverso gli occhi attenti di chi sa cogliere dove e come sta cambiando il mondo.

Capacità che è propria di un genio, appunto.

 

Scheda del 29 agosto 2023

Lo aveva annunciato a Identità Golose, ora Massimo Bottura lascia filtrare indiscrezioni riprese dal Gambero e oggi dal resto del Carlino. Entro il mese prossimo aprirà il nuovo locale a Modena e lo chiamerà il Gatto Verde, dal nome di uno storico locale della città. A dirigere la cucina sarà Jessica Rosval, sinora in forze da Maria Luigia.
Celebrati i 60 anni, lo chef leader della ristorazione italiana non ha alcuna intenzione di fermarsi, anzi, è in una fase di riposizionamento delle sue truppe, la maggior parte delle quali si sono formate alla Francescana che, tra parentesi, è la diretta proprietaria del Gatto Verde che non ha investitori esterni.

Tra le altre cose, Torno subito, il ristorante aperto a Dubai nel 2019 (e premiato con la sua prima stella Michelin nel 2022), raddoppia a Miami, sul tetto di Julia & Henry’s, uno spazio di sette piani dedicato alla gastronomia e all’intrattenimento che dovrebbe aprire al pubblico in primavera. A febbraio 2020 aveva aperto, dopo Tokyo, anche Gucci Osteria a Beverly Hills premiato da una stella Michelin, sotto la guida di Mattia Agazzi.

Come sempre, Bottura gioca tra memoria e futuro. Il nome Gatto Verde non deve far pensare infatti ad una operazione nostalgica, ma piuttosto una sfida che lo porta nel futuro, quello, tanto per cominciare, della assoluta sostenibilità dell’impresa. La squadra sarà fortissima e responsabilizzata. Del resto è la chiave del suo successo internazionale: dare fiducia a chi è cresciuto con lui.
Un futuro con radici salde, saldissime, nella sua Modena.


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