A conti fatti, due sono le motivazioni che hanno spinto in questi ultimi anni gli investimenti in vigna. Quella dei produttori di uve stanchi di conferire alle grandi aziende la vendemmia in cambio di pochi soldi e quella di imprenditori ad alta capitalizzazione impegnati o a diversificare gli investimenti o, più semplicimente, a riprendere vecchie proprietà di famiglia abbandonate negli ultimi decenni. Si spiega così il proliferare di etichette, ma soprattutto l’onda lunga di un fermento capace di nel Mezzogiorno di superare la crisi di vendite in cui è precipitato il settore dopo lo scoppio della bolla speculativa in stile New Economy. Ovunque si continuano ad aprire cantine, rifare impianti, piantare viti: un fenomeno ancora inarrestabile a cui è difficile stare dietro. Un fenomeno, beninteso, molto positivo perché i margini di crescita sono ancora ampi se è vero che il consumo campano, tanto per fare un esempio, è il doppio della produzione. E poi, l’investimento in vigna è sicuramente più gratificante delle speculazioni finanziarie in cui molti si rifugiano per realizzare il sogno di guadagnare senza lavorare. Anche il Vulture è in pieno fermento, un breve tour per scoprire due aziende nuove, molto belle: Regio Cantina di Paola Zamparelli a Venosa su cui avremo modo di tornare e Colli Cerentino a Melfi nella quale lavora Maurizio Caffarelli, un bravo allievo del professore Moio già conosciuto per la buona Falanghina di Bonea lavorata a Masseria Frattasi di Pasquale Clemente. Due aziende inserite nel secondo dei filoni di cui abbiamo scritto all’inizio: si tratta di imprenditori impegnati in altri settori, dunque senza fretta di realizzare e spinti dalla voglia di fare qualcosa di buono e significativo. In questo caso il campano Amato Ferrara e il campano Sandro Calabrese hanno fondato l’azienda le cui cantine saranno pronte a gennaio, nel frattempo si appoggiano al coronato Di Palma a Rionero in Vulture per produrre due vini da aglianico. Ecco, un altro indicatore di serietà è quasi sempre la scelta monovitigna quando ci si insedia in un territorio di tradizione, vuol dire insomma che non si ha voglia di provare-poi vediamo che succede, ma di lavorare. Sia il Cerentino che il Masqito, traslitterazione del comune di origine albanese Maschito dove sono alcuni dei sette ettari di proprietà, sono nati nel 2003 e hanno dato ottima prova in occasione delle selezioni della guida Vini Buoni d’Italia del Touring. Il Masquito 2003 è un vino fine ed elegante, potente, ben equilibrato, antico e moderno, da bere magari sul paccaro al pomodoro San Marzano, il piatto bandiera di Donato Episcopo a Casa del Nonno 13. Un Aglianico degno di Federico II.