IGRECO
Uva: nero di Calabria
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
L’enologia calabrese vive un momento particolarmente interessante: qui, come altrove, si moltiplica il numero delle cantine ma la sperimentazione sui vigneti è ancora alle prime battute nonostante i grandi sforzi fatti da Librandi negli ultimi dieci anni, presentati in un volume lo scorso maggio. Tutto sommato la regione è, ancora più della Campania, ricca di vitigni autoctoni, almeno 130 classificati, rimasti in campagna grazie all’isolamento, eppure sino a qualche anno fa quasi l’intera produzione era ottenuta solo con Gaglioppo, Malvasia Nera, Greco, poi più di recente Magliocco e Mantonico. Insomma, per farla breve, non più di dieci uve diverse. Come dire: tenere le truppe in caserma mentre fuori c’è la battaglia. Il motivo è da ricercare nello sbandamento, ancora in corso, avvenuto a partire dalla prima metà degli anni ’90 dove qui, come in Puglia e Sicilia, sono stati introdotti i vitigni internazionali per cercare di accreditare la produzione ad un mercato più vasto, internazionale. E, in effetti, il risultato avuto con il Gravello, primo vino calabrese ad avere i Tre Bicchieri, sembravano dare ragione a questa impostazione. In realtà, parliamo con il senno di poi sia chiaro, ha bloccato la ricerca e lo studio delle potenzialità dei vitigni autoctoni, l’unica carta possibile in questo caso per esprimere bene e adeguatamente il territorio sul mercato. Ancora oggi qui si trovano le sperimentazioni più strane, dal barbera al nebbiolo, dall’albana al gewutztraminer, ciascuna con una sua giustificazione, spesso solo in base all’estro del momento che è tipico però di chi non è agganciato ai circuiti del dibattito nazionale. In questi anni ho imparato che tanto più una zona è fuori dai riflettori,tanto più introduce stranezze in campagna anziché credere nel suo passato. Un po’ come avviene nelle feste di paese in cui si rinuncia alla tradizione per chiamare la starlette televisiva che rende poi queste manifestazioni tutte uguali e prive di spunti originali. E se l’indecisione di Puglia e Sicilia è giustificata dalla quantità produttiva che pone problemi di diverse dimensioni, in Molise, Campania, Basilicata e Calabria appare indiscutibilmente chiaro che non c’è altra strada per conquistare fette di mercato se non con la caratterizzazione, la specializzazione, la sperimentazione. Questo ovviamente non toglie che alcuni marchi non abbiamo regione di essere, cito appunto il Gravello come il Cabernet di Tasca, o il Montevetrano: ma questi ormai vini segni pensati in un’altra fase storica alla quale non sono più legati nell’immaginario dei consumatori. I Greco sono una famiglia di antiche tradizioni a Cariati, siamo un po’ più a Nord di Cirò e fuori dalla zona della doc: centinaia di ettari di proprietà, grandi allevatori e produttori di olive, l’ultima generazione, molto compatta, ha appena terminato una delle cantine più grandi e moderne della regione con un investimento di qualche decina di milioni di euro. In azienda anche un frantoio (il marchio è molto riconosciuto dagli appassionati d’olio e ha ricevuto una gran messe di riconoscimenti negli ultimi due anni) e un punto degustazione dove si accolgono i gruppi ai quali, potete immaginare, si offre carne di prima qualità. L’idea iniziale era quella di produrre Cirò, ma purtroppo la gloriosa doc meridionale sta vivendo una fase di profondo ripensamento, simile a quella attraversata dal Solopaca e dal Locorotondo per capirci, nella quale la pressione dei produttori più grandi porta nei supermercati le bottiglie a due euro. In queste condizioni è difficlle poter pensare di andare oltre il ripagamento delle spese. Così l’azienda de IGreco, tutto attaccato, punta ad una selezione di vitigni autoctoni sotto il cappello, più comodo e meno assillante, della igt Calabria che consente di poter fare, paradossalmente, maggior reddito a bottiglia. Un caso emblematico è questo Masino, due ettari appena del Nero di Calabria, parente del Cappuccio e del Mascalese, regolato con una fermentazione im acciaio a cui segue la malolattica e l’affinamento in barrique prima della bottiglia. La mano di Cotarella si sente nella pulizia olfattiva, nell’eleganza al palato, nel giusto rapporto tra acidità e morbidezza nel quale ciascuna supporta l’altra in un crescendo molto interessante. La mano di Riccardo si vede soprattutto nella bevibilità di questo rosso, un segnale in chiara controtendenza in Calabria dove le aziende sono ancora fissate con la concentrazione. La bottiglia si beve tutta e con piacere, l’alcol non supera i 13 gradi, anche questa indicazione è in senso opposto ai vini sopra i 14 gradi con i quali si viaggia da queste parti. Dunque un prodotto gradevole, bevibile, a buon prezzo, decisamente riconoscibile. La strada verso la quale i vini di fascia media, quelli che stanno soffrendo di più in questo periodo, sono obbligati a percorrere. Lo beviamo su un polipetto affogato, oppure sul ragù di cinghiale con una punta di ìnduja per restare sul territorio.
Sede a Cariati
Tel 0983.969441
Sito: http://www.igreco.it
Enologo: Riccardo Cotarella
Bottiglie prodotte: 500.000
Ettari: 70 vitati
Vitigni: gaglioppo, magliocco, malvasia nera, nero di calabria, greco, mantonico
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