di Monica Caradonna
Cosa è una provocazione? E l’avanguardia? Non serve scomodare i fondatori di Gourmet Concerto, la più avanguardista ed elitaria delle comunità di appassionati di gastronomia, ma forse è arrivato il momento di capire cosa serva a un ristorante e cosa invece bisogna offrire al popolo più in generale. Le due cose collimano? Gli interessi sono gli stessi?
Lo spunto arriva dalla visita a uno dei ristoranti storici della Puglia, il Pashà di Conversano, stella Michelin appena riconfermata che, grazie al grande lavoro di regia del suo patron Antonello Magistà, ha sempre occupato postazioni di pregio nella scalata delle classifiche del gusto.
Tutto è iniziato con mamma Maria Cicorella, con la cui cucina autentica, rassicurante, fatta bene, il Pashà ha conquistato per la prima volta l’ambito Macaron Rosso della Michelin. Poi è stato il turno di Antonio Zaccardi che al Pashà ha portato l’esperienza internazionale, la tecnica, il progetto gastronomico figlio di un percorso importante.
Oggi alla guida della cucina del ristorante di Conversano ci sono tre under 30, Michele Spadaro e Cosimo Colucci, con Valentina Lenoci che si occupa della pasticceria. Tre cuochi che hanno la grande responsabilità di assumere il ruolo di traghettatori di una cucina che è sempre stata un faro nei percorsi del gusto in Puglia. E Magistà ha deciso di scommettere su di loro.
E cosa succede? In cucina, dopo un pranzo che prevede esclusivamente il percorso degustazione, si parla di provocazione. Un termine che associato a dei giovani incuriosisce.
La provocazione per Spadaro è “mettere mano all’iconico e quasi intoccabile piatto pugliese riso patate e cozze; servire una bufala pugliese – come elemento defaticante in un precorso di tredici portate – e una grande selezione di pomodori di gioia del Colle che vanno a valorizzare un prodotto luxury come il caviale e non il contrario”. L’avanguardia è portare a tavola lo Spumone di Conversano, da poco diventato Deco, che mai ha ricoperto un posto di privilegio nella ristorazione come oggi accade in questo antico seminario divenuto tempio della gastronomia. Forse un po’ tanto al termine di un menù degustazione, ma sicuramente scenico e buono.
Un po’ l’uovo di Colombo. Eppure ancora in tanti si affaticano a cercare il modo per stupire quando, forse, invece, tornare al classico e tornare al comfort diventa la nuova provocazione, una sorta di rottura netta con il passato, perché poi in fin dei conti che cosa può essere il Fine dining se non star bene a tavola? La traduzione dall’inglese ci dice proprio questo, fine dining significa mangiare bene.
Ed è questa la nuova veste del Pashà, la volontà di non stupire a tutti i costi, di non scioccare, ma di offrire un momento di confortevole permanenza a una tavola bella, autentica in cui i cuochi diventano ambasciatori della terra che li ospita; e ancora la voglia di abbracciare il commensale e iniziarlo alla cucina pugliese, alle materie prime territoriali, alla storia, al ricordo e all’emozione. Ed è così che si inizia con polpette di pane e cocktail di gamberi con una forte spinta sapida, per passare all’amaro della cialledda per arrivare allo sguardo ironico sulla tiella pugliese rinominata cozza patate e riso accompagnata da acqua filtrata delle cozze e prezzemolo. E che nessuna nonna barese si infuri per favore perché la creatività è la ricchezza dell’evoluzione della specie.
Eseguita perfettamente la spigola sulla quale è adagiata una sfoglia croccante di pane con riduzione di Verdeca e tartufo.
E la cucina diventa ricordo. Come accade per il companatico che già nell’uso della terminologia riporta alle antiche pratiche contadine e ai ricordi di Antonello da bambino quando il nonno in campagna mangiava cacioricotta e olive e barattiere. Un omaggio all’emozione e alla sua famiglia. In attesa che arrivi l’omaggio ufficiale a Maria Cicorella da cui tutto è iniziato e che merita un ruolo di ambasciatrice della Puglia perché è lei la vera signora delle orecchiette. E non teme rivali in termini.
Sono le ultime settimane di questo menù. Michele e Cosimo sono pronti con la muova proposta autunnale che tornerà principalmente sul tema mare ma che sarà un nuovo racconto della Puglia contadina vista attraverso gli occhi di due giovanissimi che hanno viaggiato e che ora tra le mura della storia antica di Conversano vogliono solo fare bene e dimostrare che i valori applicati alla cucina sono la nuova vera provocazione, ovvero un po’ di sana normalità.
Scheda del 18 giugno 2020
Pashà a Conversano, la terza vita di Maria Cicorella
di Monica Caradonna
Quando compra i pomodori, ancora oggi, ripete il mantra del ricordo. Li porta al naso, li priva del peduncolo, chiude gli occhi, si riempie della memoria dei profumi della sua infanzia, quando la mattina con sua nonna paterna andava nell’orto. Lo fa da allora. Non ha mai smesso. Oggi, però, si commuove. Non è più la bambina che scorazzava tra la masseria dei nonni e la bottega della mamma. Oggi Maria Cicorella è la signora di Puglia, la cuoca che ha stravolto la tradizionale orecchietta, simbolo della pugliesità nel mondo, creandone una tutta sua in termini di forma e callosità, e che all’età di sessant’anni è pronta a scrivere il terzo capitolo fondamentale della sua vita.
Già, perché questa è la terza vita di Maria. Franco, suo marito, Antonello, suo figlio, infine Antonio Zaccardi, il cuoco che, alla ricerca della soddisfazione di un sogno familiare, è tornato in Puglia ed è arrivato a scrivere il terzo capitolo della vita di Maria.
Un tempo scandito dagli uomini che sin dalla sua storia più lontana sono stati attori comprimari e determinanti nella vita di una donna apparentemente secondaria, ma che ha sempre espresso la sua forza e fermezza nel seguire una strada che dentro di lei era ben chiara.
In principio fu la tiella d’agnello e patate
La prima volta ha cucinato per necessità. Sua madre e sua nonna erano entrambe ricoverate in ospedale. Lei doveva badare al padre. Aveva otto anni, era una bambina, ma quel giorno, aperta la dispensa, ha composto la sua prima tiella con agnello e patate. Di corsa al forno dall’amica della mamma per cuocere quella prelibatezza che nessuno pensava fosse opera di Maria. Il paese è piccolo e in un batter d’occhio si sparse la voce di questo piccolo miracolo gastronomico che le costò la rinuncia alla passeggiata con le amiche al suono della campanella dopo la scuola. «Era un rito. Finita la scuola con le mie compagne di classe si andava in giro, verso la bottega di mia madre – racconta ripescando ricordi dal fondo della memoria – dove le maestre recuperavano la spesa che avevano già ordinato e noi ragazzine giocavamo. Ma i miei giochi finirono subito e dopo la scuola dovevo andare direttamente a casa ad avviare la cucina per la famiglia. Mi ero data la zappa sui piedi da sola». E, così, è diventata subito adulta. Ha deciso sempre della sua vita. Come quando a sedici anni ha sposato Franco, il padre dei suoi tre figli. E come quando, con Antonello che aveva appena un anno e un pancione che la affaticava in attesa che nascesse Gianfranco, convinse il marito a investire nella loro bottega. «Mi mancava il lavoro dietro il bancone, mi mancava il rapporto con i clienti, ma non lo avevo mai potuto dire. Erano altri tempi quelli». Non poteva essere solo madre e donna di casa. Una dolce e determinata anticonformista per l’epoca. «Un giorno intercettai una notizia, un locale si liberava. In una settimana concordammo con Franco di iniziare questa avventura. Il giorno in cui firmammo il contratto dal notaio, con le carte ancora in mano, senza dire nulla a nessuno, sistemato Antonello a casa di mia madre, alzammo la saracinesca di quel locale. In una notte allestimmo al meglio la nostra bottega. Ero stanca, ma alle cinque del mattino, quando i primi contadini si affacciavano nella speranza di poter comprare qualcosa, incuriositi dalla nuova apertura, mandai mio marito a recuperare qualcosa dalla bottega della mia famiglia. Lavorammo senza fermarci, con la stanchezza della notte sulle spalle, ma a fine serata avevamo incassato 100 mila lire». Era il 1977 e Maria scriveva il primo capitolo della sua vita professionale.
Dalla bottega al Pashà
La bottega di Maria va a gonfie vele ed è ormai un’istituzione nel paese. E quando a pochi metri si libera un locale adibito a bar è proprio Maria a spronare il marito a fare questo nuovo investimento. I figli crescono in un ambiente in cui la percezione e il gusto si formano di giorno in giorno nonostante una dicotomia a tavola evidente e apparentemente castrante. Papà Franco legato alle abitudini scandite dal brodo la domenica e Maria che, pur assicurando la cucina al marito, ha sempre sperimentato le vie dei sapori sfogliando riviste e scoprendo i primi corsi di cucina e condividendo questa passione con i figli.
Nasce il Pashà, la casa ristorante in cui suo figlio Antonello crea uno stile di accoglienza oggi riconosciuto in tutto il Paese. «Quando a un certo punto c‘è stata la necessità di un cuoco – ricorda Maria – mi sono proposta a mio figlio. Le solite cose mie, fatte senza pensare, sull’onda di un entusiasmo interiore e una voglia di fare». E mai intuizione fu più azzeccata. «Franco nonostante fosse contrario mi ha lasciato spazio. Mi disse che ero pazza, ma è sempre stato al mio fianco nonostante la sera mi ritirassi tardi e lui alle 5 doveva già aprire il bar. Stabilimmo l’abitudine di pranzare insieme al ristorante».
È stato un viaggio durato vent’anni. È arrivata la stella Michelin. C’è stato il pubblico internazionale. Ci sono stati i riconoscimenti. La nuova sede del Pashà nell’antico e incantevole Seminario vescovile datato 1600. «Antonello è stato il mio mentore». E non lo dice da madre orgogliosa, ma da collega rispettosa che riconosce l’intuito e la professionalità dell’uomo di sala e dell’osservatore di un mondo che fuori dai confini di Conversano corre veloce. «Mi sono sempre fidata di lui. Nel lavoro si sono invertiti i nostri ruoli, ma l’ho voluto io. È sempre stato lui l’esperto».
Oggi in cucina c’è Antonio Zaccardi. «In quel periodo ero molto provata. Problemi di salute. Un intervento chirurgico. Ero stanca. Antonio è stato un bell’incontro, è stato sempre molto curioso e abbiamo trascorso moltissimo tempo insieme. Parlavamo dei piatti, poi lui mi presentava la sua versione».
La storia del Pashà è nota a tutti gli appassionati di cucina. Maria oggi è più libera e vive con più leggerezza questa nuova fase della sua vita. Ha dei progetti nuovi nel cassetto. Nel frattempo ogni tanto torna lì dove c’era la sua bottega. È lì che compra ancora il panino prima della scuola alle sue nipotine. Ed è lì che rivede quella bambina cresciuta molto presto, che all’ombra dell’albero di carrube sbirciava sua nonna lavare i panni con acqua e cenere e che prima ancora che nascessero i movimenti internazionali aveva avuto il suo periodo vegetariano. «Mio nonno la domenica ammazzava i conigli. Smisi di mangiare carne». Ma a otto anni la cucinava perfettamente, perché era già Maria Cicorella.
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