di Giulia Gavagnin
È un luogo d’avanguardia il 28 Posti a Milano, bistrot-ristorante contemporaneo a pochi passi dal Naviglio Grande, simbolo della rinascita del capoluogo lombardo e storico centro della movida più scapigliata. Marco Ambrosino, 34 anni, procidano, chef tra i più interessanti della sua generazione, ha vinto una grande scommessa: far soffiare il vento del Mediterraneo con i suoi profumi e sapori ancestrali nel luogo degli happy-hour, dei graffiti sui muri e dei jeans sdruciti degli universitari che amoreggiano e schiamazzano a suon di gin-tonic. 28 Posti è animato da uno spirito avanguardista che si sposa perfettamente con l’atmosfera alternativa, a tinte “indie rock” di questo angolo di Naviglio.
È contemporaneo nell’arredamento spartano, nel mobilio realizzato con materiali di recupero dai detenuti del carcere di Bollate, nella carta dei vini improntata al biologico dei piccoli produttori e delle etichette variopinte. Ed è quasi eversivo nella cucina, istintiva e spiazzante, carica di contrasti e accenti, frutto della sintesi tra cuore procidano e metodo nord-europeo. Un mix esplosivo che Ambrosino, in Italia, non avrebbe potuto proporre in nessun altro luogo se non qui. Marco arriva a Milano per la prima volta quattro anni fa. Non ci era mai stato prima (“forse una volta di passaggio”) ma capisce subito che è il luogo giusto. I fatti gli hanno dato ragione. Milano nel 2018 è la città del Rinascimento italiano, soprattutto in ambito gastronomico: anche solo dieci anni fa «28 posti» sarebbe stato impensabile. Erano gli anni del Radetski, dell’Hollywood, dei ristoranti posseduti dai calciatori superstar. Bottiglie di Cristal sciabolate, tagliata alla rucola e aceto balsamico, sushi.
Negli ultimi cinque anni molto è cambiato. I luoghi della «Milano da bere» restano, sebbene affievoliti a ritrovi da riserva indiana, e si sono moltiplicati i locali «cosmopoliti» che è cosa diversa da “internazionali”. Progetti nati dalle esperienze di ragazzi che hanno girato il mondo, raccolto idee, filtrato esperienze e racconti, per proporre infine al pubblico la “loro” versione del food, in un prospettiva che potremmo definire “narrativa”. Cucina italiana contaminata da suggestioni francesi, americane, giapponesi, vietnamite, nordeuropee. E cucina mediterranea contemporanea, che racconta le profondità del mare con le sue consistenze liquide e i sapori salmastri, come quella di Ambrosino.
«Ho iniziato a cucinare per gioco, come tutti i ragazzi della mia età – racconta – Quando avevamo 14 anni andavamo tutti a prestare aiuto in qualche ristorante turistico, a fare spaghetti alle vongole e impepata di cozze. Poi ho fatto altre cose, ho frequentato il liceo e la facoltà di economia all’università, che ho interrotto quando sono andato al Melograno di Ischia, il ristorante di Libera Iovine, la prima cuoca stellata del Sud. La cucina «femmina» di Libera mi ha insegnato tantissimo, ma ben presto ho avuto voglia di provare qualcosa di diverso. Sono stato un anno in Spagna, nel pieno boom del Bulli di Adrià. Ho fatto qualche altra esperienza, e infine uno stage di soli due mesi al Noma di Copenaghen. Quella è stata l’esperienza che ha davvero cambiato le mie prospettive perché mi ha fatto capire che cucina non è solo nutrimento, è anche filosofia, multidisciplina e soprattutto racconto.
Da Renè Redzepi, chef del Noma, puoi stare ore a pulire erbette, ma accanto a te c’è un microbiologo che fa la stessa cosa, per finalità completamente diverse: arrivare a costruire insieme un piatto che ha una diversa profondità rispetto a quella che può avere il piatto di un ristorante qualsiasi». L’esperienza danese non deve indurre a pensare che la cucina di Marco sia il frutto di una contaminazione tra Mediterraneo e Nordeuropa. Tutt’altro. E’ stato il metodo di lavoro a influenzarlo, non il risultato finale nel piatto. «Lì ho capito come raccontare il mio Mediterraneo, con le sue bellezze e i suoi contrasti, a volta spiazzanti. Esattamente come la mia cucina».
I piatti di Marco Ambrosino, 28 posti Milano potrebbero essere definiti come l’estrema avanguardia della cultura campana: la pasta di Gragnano con mandorle, pomodoro secco e lattuga di mare; i tagliolini con porro fondente, polvere di cappero e limone candito; le eliche al pistacchio, noccioli di oliva e salicornia sono tutti fortemente caratterizzati da elementi isolani ma spingono sulle acidità e sugli elementi spigolosi dell’ingrediente in modo inconsueto, al limite dello stupore. La «Chiaiozza», poi, è un racconto nel racconto: ispirato all’omonima baia, luogo d’infanzia dello chef, è un crudo di canocchie, gelato di ricci di mare, cavolo cappuccio, olio al pino marittimo sopra una sabbia di nero di seppia e carapaci di crostacei che suscita immagini di onde lievi e mare in bonaccia, luci abbaglianti del mattino e porti pescosi. 28 posti vuole essere proprio questo, un porto, con tutte le sue caratteristiche: crocevia di genti e atmosfere, caos e rifugio, punto di partenza e di arrivo.
Sempre con l’orizzonte del Mediterraneo di fronte.
Marco Ambrosino 28 Posti Milano
Via Corsico, 1
Telefono 02 839 2377
Aperto a pranzo e cena
Chiuso lunedì e martedì a pranzo.
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