di Salvatore Schiavone
Responsabile Sud Italia dell’Ispettorato Repressioni Frodi del Ministero dell’Agricoltura
Tradizionalmente lo sformato di pasta è un piatto della tradizione secolare del sud Italia, che per la sua praticità, consistenza e capacità di conservazione coadiuvava il lavoro contadino. Anche se vogliamo considerare che la diffusione della pasta viene fatta risalire al ritorno di Marco Polo dalla Cina, dove l’arte bianca aveva raggiunto un grado di evoluzione importante.
Tuttavia acqua e grano duro impastato ed essiccato al sole caliente era utilizzato per la popolazione meno abbiente degli Assiri, Egizi e Greche, sino ad arrivare alle lasagne di Marco Gavio Apicio noto ai tempi quale esperto gastronomo, cuoco e scrittore del mondo romano centrale. Cosi diverse fonti romane parlano di questo sformato di pasta a strati riferibile al pane carasau sardo (definito carta da musica). Dall’antico piatto romano a quello odierno a strati, oggi due città si contendono il primato di questa pietanza, le cui ricette presentano importanti differenze, a cominciare dall’utilizzo di besciamella (nord) e ricotta (al sud). In verità non siamo nuovi a queste differenze, anche in contesti geografici contenuti, basti pensare alla mozzarella prodotta con latte di bufala casertana (agro aversano) o di Salerno (agro battipagliese).
Oggi però a contendersi la paternità di questa pietanza, divenuta simbolo dell’Italia intera, sono due città una emiliana l’altra campana che hanno costituito l’asse della lasagna: Bologna e Napoli.
Ma ripartiamo dall’origine nostrana di questo piatto che risale, in realtà, all’antica Roma: tracce romane e pompeane richiamano la testimonianze dell’uso del termine “laganon” o “laganum” a indicare una sfoglia sottile ricavata da un impasto a base di farina di grano (duro o tenero), che veniva cotto al forno o direttamente sul fuoco. M. G. Apicio, parla di una “lagana” formata da sottili sfoglie di pasta farcite con carne cotta in forno!. Ma ricordava solo in parte la lasagna di oggi. Infatti si trattava semplicemente di uno sformato di pasta contenente piccoli pezzi di carne mescolati alla rinfusa.
Nel basso Medioevo questo tipo di lasagna si diffuse così tanto da venire citata in numerose opere di poeti per meglio rendere l’idea della scene cantata. Il frate minore “Salimbene da Parma” descriveva un confratello monaco intento ad apprezzare il prelibato piatto preparato nelle cucine del convento: “Non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”.
In Emilia questo succulento pasticcio comparve solo più tardi, con l’arrivo della pasta all’uovo nel Nord Italia (in epoca rinascimentale) e con l’avvento di una ricetta, risalente al XIV secolo (ripreso anche nel testo di Ludovico Frati del 1899, Libro di cucina del XIV). Quest’ultima prevedeva l‘alternarsi di strati di pasta e di formaggio: con molta probabilità dalla “trait d’union” di questa pietanza con le vecchie lasagne romane che, nel 1600, nacquero in Emilia le odierne lasagne, evolute un secolo più tardi anche grazie all’utilizzo della salsa di pomodoro napoletana, diffusasi per le favorevoli condizioni climatiche meridionali.
Cosi, mentre la ricetta emiliana prevedeva l’uso dell’amalgama di latte, burro e farina (besciamella) con carne rimacinata, nella versione napoletana questi ingredienti sono stati sostituiti dalla ricotta (vaccina o bufalina), unita poi alla pasta a sfoglia (o all’uovo), al ragù, alle polpettine e alla mozzarella. Ed è proprio in questo periodo storico dove il pomodoro è incoronato re delle cucine, che la tradizione della lasagna emiliana stilizzata si scontra con quella napoletana “rusticarella”.
Storia della lasagna napoletana
Nella letteratura partenopea, dal 1881, troviamo la ricetta ufficiale delle lasagne al pomodoro codificata nel “Principe dei cuochi o la vera cucina napolitana” a cura di Francesco Palma, (antenata della lasagna odierna). La conferma arriva anche in epoca Angioina, dal “Liber de coquina” (siamo all’inizio del XIV secolo) dove si parla di “lasagne lessate” e poi “condite strato dopo strato”, con formaggio e spezie.
Nel 1634 Giovanni Battista Crisci pubblicò a Napoli il libro “La lucerna de corteggiani”, che contiene la ricetta delle “lasagne stufate con mozzarella e cacio”, la prima in cui le lasagne vengono farcite con un formaggio a pasta filata e poi infornate. Il re di Napoli “Franceschiello” al secolo Francesco II di Borbone, ultimo re del Regno delle Due Sicilie, era stato soprannominato dal padre “Re lasagna” per la sua smodata degustazione del piatto che pare consumasse direttamente dal “ruoto” (teglia di cottura per lasagne).
Solo dopo il 1861 questo piatto iniziò a diffondersi in tutte le regioni d’Italia prima della sua definitiva affermazione nazionale e grazie a Paolo Monelli e al suo Ghiottone errante (1935) l’asse conquisto l’intera penisola, tanto che c’è anche la variante della zona di montagna dove il ragù viene sostituito dai funghi.
Dopo questa storia millenaria, arriviamo ai tempi nostri e solo nel 2003 l‘Accademia italiana della cucina ha depositato presso la Camera di commercio felsinea la ricetta delle lasagne verdi alla bolognese, e non di quelle “bianche” (si preparano con ragù classico bolognese, parmigiano reggiano, besciamella, burro e sfoglia verde preparata con spinaci).
Tuttavia questa ricetta è differente da quella delle “lasagne napoletane”, divenuto il piatto tipico di Carnevale, che si preparano con ragù, polpettine, ricotta vaccina, provola, pecorino, olio extravergine d’oliva e sfoglia, e sono rigorosamente “bianche”, ma o il pranzo della domenica dalla nonna, oppure un giorno di festa speciale, piuttosto che il martedì grasso, troveremo certamente un bel piatto di lasagna ad allietare i tempi culinari dei grandi e dei piccini.
In definitiva oggi tutto sembra maturo per proporre una tutela della ricetta, magari proponendo un’azione di tutela volta al riconoscimento europeo dell’STG (Specialità della Tradizione Garant