16 marzo 2002
Un broccoletto dal sapore di broccoletto, la coscetta di pollo che non si dissossa con un soffio come avviene normalmente, un legume chiamato cicerchia, i salumi privi del tipico odore di farmacia: non sono i teneri sapori della madaleine del giovane Proust, ma neanche i ricordi d’infanzia di un cinquantenne inurbato della via Gluck. Siamo invece al centro di San Marzano, la patria del pomodoro presidiato invano dallo Slow Food, nell’unico ristorante biologico del Mezzogiorno: ’O Sole Bio (tel. 081 5186682), il punto di ristoro del marchio dei prodotti tipici campani certificati, compreso il legno degli stuzzicadenti. Calma, non avete sbagliato rubrica, siete sempre in fondo alla pagina. Il fatto è che per mangiare biologico cucinato alla vesuviana, non certo come in una beauty farm dove mai avremmo varcato la soglia, servono vini di corpo. E sullo scaffale organizzato da Lucia Pagano è bello viaggiare dal Ghemme di Novara al Cannonau per vedere cosa succede in Italia in questo segmento. Qui scopriamo, e vi segnaliamo, il Serrone 2000, un grande rosso pensato a Ponte dall’omonima azienda (via Piano, telefono 0824 876450) fatto di aglianico (al 60 per cento) e per il resto da sangiovese e piedirosso in pari misura. Abbiamo notato come il Sannio punti da tempo sulla strada del biologico aperta da Nicola Venditti (Castelvenere, via Sannitica 122. Tel. 0824 940306) i cui Bacalat e Bosco Caldaia pure stanno in bella mostra tra cavatielli con i funghi e i fagioli di Controne con la cicoria fatti dallo chef celtico di Lucia. E per restare a Ponte, ricordiamo Ocone (via Monte, telefono 0824 874040), da anni in conversione biologica, i cui bianchi 2001 escono adesso certificati Aiab. Ci chiederete: cosa significa bere biologico? Semplice, versare nel bicchiere vino fatto con uve non trattate. Vantaggio? Svantaggio? Per la salute forse forse sì, ma per il resto la partita si gioca come sempre potando in vigna e soprattutto in cantina.