di Maura Ciociano
La Festa degli antichi Sapori di Mandìa, frazione di Ascea, che si tiene ogni anno dal 18 al 20 agosto da ben ventidue anni, è una delle sagre più genuine e riuscite del Cilento. La ricchezza e la bontà delle acque sorgive e il microclima fanno sì che Mandia sia uno dei paesi cilentani con più forte vocazione agricola.
Viene organizzata dal Comitato Pro Mandia ha come obiettivo primario la valorizzazione del borgo e del lavoro dei suoi abitanti: ostinati e instancabili contadini. Sono le massaie del paese a trasformare i prodotti della terra e a preparare da sempre e gratuitamente i piatti per la sagra. I più giovani, invece, si occupano dell’aspetto organizzativo: l’accoglienza degli ospiti, le escursioni in montagna, le visite guidate nel centro storico con le mostre fotografiche e il museo della civiltà contadina.
Le specialità gastronomiche che è possibile degustare in questa tre giorni di festa sono molteplici e la maggior parte vede proprio il fagiolo tipico di Mandìa come principale ingrediente di ricette cilentane, tramandate da madre in figlia. Vengono serviti: antipasti di salumi e formaggi, la pasta e fagioli, i fagioli al ragù e la zuppa di castagne e fagioli, patate fritte e salsicce cotte alla brace, freselle con pomodori e fagioli tabacchini, pane cotto nel forno a legno, dolci tipici.
Mandia è uno dei miei luoghi dell’anima e qui il tempo si è davvero fermato: si vivono ancora atmosfere che l’Italia ha vissuto successivamente al secondo conflitto mondiale. I contadini di Mandia hanno una gamma di conoscenze e abilità che mi ha sempre impressionato: spaziano da quelle relative alle molteplici coltivazioni, all’allevamento del bestiame, sono esperti ed abili cacciatori (soprattutto di cinghiali), alla conservazione dei prodotti per l’utilizzazione domestica e la vendita della parte in esubero. Ma soprattutto scegliere il tempo più opportuno per far tutto. Qui nelle case, così come in campagna, ancora vige il principio: non si spreca nulla.
Qui gli abitanti, soltanto 300, lavorano ancora la terra con sacrificio e producono castagne, olio extravergine di oliva e soprattutto una varietà di fagiolo autoctona: il fagiolo Tabbaccuogno (tabacchino). Questo fagiolo ha un seme di grandi dimensioni e di forma ovoidale-allungato, di colore grigio sfumato; il baccello è di dimensioni medie: giallo crema a maturazione cerosa e giallo paglierino a maturazione piena. Viene coltivato a file, spesso alternato al mais il cui stocco funge da tutore che può essere sostituito da paletti di legno. La semina si effettua in una buca di circa 30 cm di diametro nella quale sono posti 5-7 semi a cerchio, con al centro il sostegno in legno che fa da appiglio per le piante. Si semina alternando file di mais a quelle di fagiolo per evitare la formazione di pareti troppo fitte, sottoposte all’azione del vento e per far sì che la luce entri nella coltura. E lo si fa ancora a mano, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno; una prima raccolta si effettua quando i baccelli sono ancora verdi per il consumo fresco, la sgranatura, invece, avviene dopo l’essiccazione dei baccelli sulla pianta e successivamente vengono essiccati al sole per 2-3 giorni. Dopo avviene la battitura con bastoni di legno e l’esposizione alla ventilazione naturale, poi con il cernicchio si effettua un’ulteriore cernita. Infine, i semi vengono essiccati all’aria e la conservazione avviene in sacchetti di tela in luoghi freschi.
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