di Giulia Cannada Bartoli
Phillossera, Daktulosphaira vitifoliae. Si tratta di un afide infestante che si nutre di linfa e attacca le radici della vite. Svolge il suo intero ciclo di vita a contatto con la pianta: dalle foglie, dove depone le uova, alle radici dove comincia a creare danni, generando tuberosità, ovvero, voluminose escrescenze nodose che compromettono e indeboliscono l’apparato radicale della pianta, fino a causarne la morte. La Fillossera devasta inizialmente i territori, dove maggiore era la concentrazione di vigneti, prima in Francia e viene poi segnalato in nord Italia dal 1879, espandendosi rapidamente fino a causare la distruzione di 1.200.000 ettari di vigneto.
Da qui in avanti è storia “recente”: la fillossera colpisce maggiormente le aree geografiche a più elevata concentrazione viticola, Bordeaux e Reims per lo Champagne; i francesi ricercano ogni possibile soluzione, persino allagare i campi. La soluzione era introvabile, ecco che i francesi trovano soluzione altrove, oltre i Pirenei in Spagna, dove la catena montuosa fungeva da barriera biologica contro l’invasione della fillossera. I Bordolesi arrivano così in Rioja, dove ricercano uve simili alle proprie, Tempranillo, Cariñena e Grenacha, introducendo l’utilizzo delle botti, sconosciute agli spagnoli. I produttori dello Champagne si dirigono invece, verso le zone costiere della Catalogna, dove utilizzano Macabeo, Parellada e Xarello, la triade oggi alla base del Cava Metodo Classico. Finalmente arriva la soluzione: innestare la vite su radice americana che, non è adatta alla produzione del vino, ma resiste bene alla fillossera. Si registra da allora una dispersione del patrimonio genetico della vite in Europa, ma, si torna a produrre vino.
Di Fillossera e viticoltura a piede franco si è parlato la scorsa settimana alla III Edizione di Prefilloxera, vini a piede franco. Un evento che cresce, anno dopo anno, e che in quest’edizione ha portato in scena un seminario/laboratorio con la partecipazione di Pasquale Esposito, Miglior Sommelier Ais Campania 2024, Claudio Di Maria, Miglior Sommelier Ais Sicilia 2023 ed Etna 2024. Hanno arricchito il dibattito Tommaso Luongo, Franco De Luca e Gabriele Pollio, per Ais Campania e Francesco Baldacchino, Ais Sicilia.
Viticoltura a piede franco e qualità del vino. Da un punto di vista squisitamente organolettico non è dimostrato che un vino da viti a piede franco abbia delle qualità aggiuntive; sotto l’aspetto prettamente agronomico invece, è chiaro che una vite ultracentenaria con un apparato radicale più sviluppato e profondo, per dirne una, arriva all’acqua in profondità. Inoltre le piante a piede franco reagiscono meglio alle avversità atmosferiche, sono quindi più resilienti alle problematiche causate dal cambiamento climatico. Oggi sono pochi gli studi scientifici sulla viticoltura a piede franco. Alcuni studi francesi e di componenti dell’OIVE hanno osservato che sui vigneti franchi di piede si rilevano fasi fenologiche (germogliamento, fioritura, allegagione, maturazione) più concentrate in un periodo limitato e che si verifica più o meno alla stessa epoca nelle diverse annate. Nelle annate siccitose non si è verificato l’arresto della maturazione (poiché la Vitis vinifera è molto resistente alla siccità). L’acidità dei vini franchi di piede è superiore a quella degli innestati. In effetti, la Vitis vinifera franca di piede si propone come soluzione per i cambiamenti climatici, specie nelle zone non irrigue.
Campi Flegrei, geologia, vulcanesimo e viticoltura a piede franco. Il successo dell’areale vinicolo dei Campi Flegrei (dal greco antico φλέγω, ardo) negli ultimi 20 – 25 anni non è dovuto solo alla presenza importante di superfici viticole a piede franco, ma va ricercata nel meraviglioso sforzo comune di un sistema composto da viticoltori, enologi e piccoli coltivatori. Potremmo dire che finalmente i Campi Flegrei si stanno affermando nell’accezione pregnante di Terroir. I terreni a composizione sabbiosa non sono solo nei Campi Flegrei (Irpinia, Colli Euganei, Val d’Adige, Sardegna, Valtellina), si tratta però di filoni, mentre, qui l’areale è più esteso.
Per completezza va detto che ci sono altri territori, ad esempio il distretto di Morgex et La Salle in Val d’Aosta, dove non ci sono terreni a matrice sabbiosa, ma dove la fillossera non arriva a causa delle importanti escursioni termiche giorno/notte. Un altro caso di resistenza alla fillossera è quello della viticoltura cilena, il paese, essendo “geograficamente” isolato, beneficia della cd. ”barriera biologica”, anche se, molti produttori per non correre rischi, lavorano comunque su vite innestata.
Tornando alla Fillossera e al territorio flegreo, va precisato che l’afide non riesce a fare danni in terreni con granulometria sabbiosa più compatta. Dal punto di vista geologico i Campi Flegrei sono la risultanza di due eventi catastrofici dominanti, l’eruzione dell’Ignimbrite Campana e quella del Tufo Giallo Napoletano, avvenute rispettivamente 36.000 e 15.000 anni fa. L’Ignimbrite ha generato una caldera, dove sono state censite oltre 60 bocche eruttive e dove, attualmente si verificano fenomeni di vulcanesimo secondario (manifestazioni gassose e termali). Ne scaturisce un complicato puzzle di stratificazioni piroclastiche. L’eruzione esplosiva genera piroclasti (il tipo di depositi da eruzione esplosiva viene appunto definito prodotto piroclastico) di ogni dimensione (dalle bombe alle ceneri, lapilli e pomici) che, nel tempo, (con gli agenti atmosferici) subiscono la cementazione e si compattano in rocce come il tufo giallo napoletano o il piperno (ignimbrite).
Il vigneto flegreo si trova mediamente tra 50 e 200 metri sul livello del mare, con una presenza importante di viti centenarie a piede franco che hanno resistito alla fillossera grazie alla granulometria sabbiosa e sciolta dei terreni e alla vicinanza del mare. Resilienza dunque, di una terra di mare e vulcani che esprime due vini, la Falanghina bianca come l’acqua e il Piedirosso, rosso come il fuoco. Piccola digressione di ordine storico: la vite, arrivata in Sud Italia dall’Ellade, arriva con un sistema di coltivazione “kouloura”, la pianta non viene legata ad alcun palo, ma viene potata a forma di alberello. I tralci vengono però intrecciati con una corda vegetale intorno al tronco e ai rami, formando una spirale che si chiude a cerchio, come in un cestino. La vite cresce molto vicina al terreno a un altezza di non più di 10-20 centimetri. La nostra Falanghina deriva probabilmente da antichi ceppi greco-balcanici e sembra dovere il suo nome proprio al sistema di allevamento secondo il quale tradizionalmente veniva legata a pali di sostegno detti “falanga”, da cui Falanghina, ossia “vite sorretta da pali” poiché le condizioni pedoclimatiche delle colonie della Magna Graecia erano diverse rispetto a quelle dei Balcani. Il vitigno si presenta con grappoli di medie dimensioni, lunghi e compatti a forma cilindrica e alati su un lato. I chicchi hanno dimensioni medie, a forma sferica con concentrazioni medie di pruina sulle bucce spesse con colori grigi a riflessi gialli. È abbastanza vigoroso, con rese nella media, costanti, e vendemmie che iniziano a partire, circa, dalla terza settimana di settembre.
Il Piedirosso sembra derivi dalla Columina descritta da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Nel corso del XIX secolo le descrizioni del Piedirosso fatte da vari ampelografi hanno sempre evidenziato la caratteristica fondamentale che ne ha generato il nome: la colorazione rossa che prendono rachide e pedicello al momento della maturazione, che ricorda le zampette dei colombi. Grappolo di media grandezza o grande, con una o due ali ben sviluppate, mediamente spargolo; peduncolo corto e robusto, semi legnoso, di color rosso vivo; pedicelli di media lunghezza, grossi, rossi; cercine evidente, ben sviluppato, liscio, di color rosso vivo. Acino di media grandezza; buccia rosso violaceo intenso, pruinosa, spessa e quasi coriacea. Di media vigoria e rese, si vendemmia mediamente a partire dalla seconda/terza settimana di settembre con prolungamento anche fino a ottobre inoltrato.
La batteria flegrea in degustazione
Cantine Astroni Vigna Astroni 2019 Falanghina dei Campi Flegrei doc Falanghina in purezza, siamo sulle pendici esterne del Cratere degli Astroni a 180 metri sul livello del mare, esposizione Est/Sud Est. Suoli di origine vulcanica in forma piroclastica, caratterizzata da stratificazioni a reazione neutra o subacida, con importanti dotazioni in potassio, anidride fosforica e ossido di calcio. La Vigna Astroni è situata a ridosso del cratere omonimo, a confine con il muro di cinta borbonico settecentesco fatto erigere da Carlo di Borbone a difesa della sua riserva di caccia personale, oggi oasi naturale gestita dal W.W.F. Vigna di circa 1,5 ettari suddivisa in terrazzamenti prevalentemente di Falanghina e piccola presenza di Piedirosso. Vigneto a piede franco di circa 32 anni.
Si tratta di un cru da unica vigna metropolitana, in una città come Napoli che, dopo Vienna, è la seconda città d’Europa per superfice vitata. Vendemmia tra fine settembre e ottobre, al termine della fermentazione alcolica il vino viene travasato e fatto affinare sulle fecce fini per almeno 8 mesi in acciaio. Segue un ulteriore anno in bottiglia. Al calice colpisce una bellissima luce giallo paglierino intenso. Il naso è decisamente flegreo: intenso, elegante, note citrine, sentori floreali e di frutta bianca fresca. Sbuffi di timo e rosmarino. Su tutto, governa il sentore minerale d’idrocarburo. Il primo impatto al palato è di fortissima salinità e citrina freschezza in perfetta corrispondenza con le note olfattive. Il sorso è pieno (12,5%) e dialoga con padronanza con la spalla acido/sapida. Siamo a cinque anni dalla vendemmia, il vino è in forma smagliante e promette lunga vita: “Ci sembra di essere a Milo, ovvero in zona di Etna Bianco e, se lì si ascolta il respiro della Montagna, qui, si sente quello del Vulcano.” Posizionamento a scaffale sui 30,00 €
Vini della Sibilla, CRUNA DeLago Falanghina dei Campi Flegrei Doc 2019
Ancora un Cru (da unica vigna) dei Campi Flegrei, vent’anni fa neanche avremmo immaginato che questi vini, allora definiti semplici, avrebbero raggiunto tali livelli espressivi e fama internazionale. Il nome, CRUNA DeLago nasce dalla vigna di forma ellittica (come la cruna di un ago), poco più di un ettaro, di oltre 70 anni di età, praticamente a livello de mare (30 mt. s.l.m.) allevata con il sistema della “spalliera puteolana”. Falanghina in purezza, affina sei mesi in acciaio, sei mesi sulle fecce fini e sei mesi in bottiglia. Il calice si presenta giallo oro con seducente luminosità. Il naso, anche alla cieca, ci guida nei Campi Flegrei, è verticale e agile: ingresso citrino, frutta a polpa gialla matura, timo, rosmarino e idrocarburo. L’imponente nota sulfurea mista a iodio marino è quella che governa l’olfatto. Il sorso è pieno e di grande materia. La fresca nota citrina e la salinità arrivano per prime, seguite da una potente scia minerale che è la protagonista al palato. Se, nel primo vino, la mineralità ha caratteri “bianchi”, ghiaiosi, qui siamo sull’affumicato molto marcato… al buio, potremmo anche pensare alla Loira, Chenin Blanc. Ancora una volta sulla longevità c’è da scommettere. La Sibilla conserva gelosamente in archivio aziendale bottiglie che vanno indietro fino alla 2004
Prezzo medio a scaffale sui € 50,00/55,00 per quest’annata disponibile solo in cantina. E’ appena uscita in commercio la 2023, sui 40,00/45,00 €.
Cantine del Mare Piedirosso Campi Flegrei Doc 2016
Da unica vigna di 90 anni in via Bellavista a Monte di Procida (dal 2018 Cru Terrazze Romane) esposta a nord – est a120 metri s.l.m. Il vino affina in acciaio per circa 12 mesi e per almeno 6 mesi in bottiglia. La 2016 è stata una bell’annata per i Campi Flegrei con vendemmia a inizio novembre, inusuale per il piedirosso. I vigneti aziendali sono tutti a piede franco su terreni di matrice vulcanica, composti da tufo giallo e trachite. La vicinanza al mare consente una ventilazione ottimale che protegge le piante dalle malattie fungine e riduce al minimo i trattamenti.
Il vigneto si estende per un totale di circa 8 ettari con età media di 80 anni e alcune vigne ultracentenarie. Il calice si presenta rosso carminio intenso, di luminosa trasparenza. Il naso è invitante: frutta rossa scura, foglia di geranio e una nota di spezie dolci. Il gusto è scattante, di beva piacevole con tannino delicato e inebriante corredo acido/sapido a conferma della versatilità del piedirosso in abbinamento, servito a temperatura da rossi di Borgogna (16°C). Siamo a 8 anni dalla vendemmia, solo vent’anni fa sarebbe stato impensabile trovare un piedirosso in questo stato di grazia. Posizionamento a scaffale strepitoso: sui 20,00 €
Contrada Salandra Piedirosso dei Campi Flegrei doc 2019 Siamo a Pozzuoli, Coste di Cuma, in Contrada Trepiccioni, il Piedirosso flegreo assume caratteristiche diverse secondo le differenti zone di produzione (Cuma, Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli o Cratere Astroni). Cantina nata nel 2005 dalla passione di Giuseppe Fortunato, mancato ingegnere, e Alessandra Castaldo apicoltrice per vocazione. Si lavora su viti a piede franco di oltre 50 anni d’età, cercando di rispettare al massimo i tempi in vigna, limitando al minimo gli interventi in cantina. Rese per ettaro bassissime (20/30 q.li). Tre le vigne di provenienza esposte a Nord – est/ Sud – est tra 90 e 220 metri sul livello del mare con terreni sciolti di matrice vulcanica. La falanghina, vitigno generoso, ha un impianto a Guyot, mentre per il piedirosso, che è un vitigno particolare per la sua sensibilità rispetto agli aspetti pedoclimatici e per la sua fertilità non elevata, si è scelto un impianto a Sylvoz.
La fermentazione è da lieviti indigeni (si fa un pied de cuve) senza controllo della temperatura, con circa 25 giorni di macerazione, con due rimontaggi quotidiani e frequenti delestage, se necessari. Segue decantazione a freddo e travaso. Il vino affina in acciaio per circa 18/24mesi e poi in bottiglia per almeno un altro anno. Qui il colore è più carico, rosso rubino intenso ma di bellissima trasparenza (tipica del piedirosso flegreo). Al naso i classici sentori varietali di geranio, viola, ribes e ciliegie scure. L’olfatto evolve poi verso note speziate e piacevolmente salmastre, per chiudere con la tipica nota di fiammifero o “pietra focaia”, propria dei terreni vulcanici flegrei. Il sorso è snello, teso e lievemente tannico con la chiusura salmastra che contraddistingue il vitigno flegreo. Freschezza e struttura in perfetto equilibrio, a cinque anni dalla vendemmia, (solo acciaio) preannunciano ancora lunga vita. Prezzo medio a scaffale, clamoroso, sui 20,00 €.
In questi due ultimi vini ritroviamo il filo conduttore dell’agilità di beva e versatilità in abbinamento, anche dove i rossi non arriverebbero, sfatando il mito che con la cucina di mare il rosso non ci sta.
Cambiamo scenario: Etna, “A Muntagna” Patrimonio Mondiale Unesco. Ovunque volgi lo sguardo Lei (è “fimmina”) è lì. Da 570.000 anni una presenza da cui è impossibile sottrarsi, che avvolge, seduce, protegge e intimorisce, con i suoi 3.403 mt. di altitudine, a oggi, perché continuamente muta e cresce.
Ne parliamo con due profondi conoscitori: Francesco Baldacchino, presidente Ais Sicilia e Claudio Di Maria, Miglior Sommelier della Sicilia 2023 e dell’Etna 2024.
In Sicilia, a differenza della Campania, la svolta è avvenuta grazie a investitori non siciliani come Marc De Grazia o Frank Cornelissen che sull’Etna hanno dato vita al concetto di “contrada” a identificare cru di produzione da singole vigne. La scelta per la degustazione si è concentrata sul Nerello Mascalese. Parleremo di Nerelli, al plurale, in un’areale di circa 1400 ettari. Il Nerello Mascalese dai 500 metri del versante sud, ai 1000 metri di quello nord, si esprime in maniera completamente diversa. Il piede franco è una prerogativa dell’Etna, ma si trova anche a Pantelleria e in alcune zone del trapanese e agrigentino più vicine al mare (Menfi, Ragusa). La Sicilia nel periodo pre – fillossera contava circa 250.000 ettari vitati, mentre sull’Etna se ne contavano circa 40.000. Tutta la Sicilia ha oggi 93.000 ettari vitati ed è la prima regione d’Italia, la produzione sull’Etna si attesta su circa 1,5 % del totale.
Storia della viticoltura etnea: In seguito alla caduta dell’Impero Romano, dopo una serie di alterne fortune, è con gli Aragonesi che la viticoltura etnea inizia a rifiorire. Nel 1435 nasce “La Maestranza dei Vigneri” un’importante corporazione di viticoltori che crea le basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti sono gli stessi viticoltori. Nell’Ottocento la viticoltura della provincia catanese raggiunge il suo apice. Prima in Sicilia per superficie vitata, vede un’estensione che arriva a occupare più della metà dei terreni disponibili, con vigneti che s’innalzano fino a oltre 1000 metri. Desiderio e necessità spingono l’uomo a diffondere la vite in zone sempre più scoscese; l’austero profilo di muretti in pietra lavica ridisegna il paesaggio sotto il proliferare di sempre più arditi terrazzamenti. Per facilitare il trasporto dei vini di tutte le contrade etnee che, per essere imbarcati ed esportati, confluivano allo stato sfuso verso i magazzini del porto di Riposto, viene realizzata la ferrovia Circumetnea. Nel 1881, a siglare il ruolo focale della viticoltura locale, nasce la Scuola Enologica e nel 1886, a tutela e controllo dei vini dell’Etna, viene istituito l’Ufficio Enologico. Nei primi del Novecento la potenza distruttiva della fillossera, l’inasprimento delle imposte governative e le difficoltà intrinseche di coltivazione danno l’avvio a un inesorabile declino. I vigneti vengono estirpati e le zone più impervie abbandonate. Soltanto nella seconda metà del ‘900 la viticoltura etnea lascia intravvedere i primi segni di ripresa. L’11 agosto 1968 viene ufficialmente riconosciuta l’Etna Doc, prima denominazione di origine controllata della Sicilia. Ma è soltanto a partire dalla fine degli anni Novanta che il momento di svolta prende realmente le mosse. Nel 1999 Salvo Foti, è citato dal New York Times come la più importante figura di riferimento del mondo vitivinicolo siciliano. Dal 2011 è stato introdotto l’obbligo di imbottigliare in zona e di indicare la contrada di provenienza del vino. Nel 2024 il Consorzio ha approvato il disciplinare per la Docg.
La Fillossera e l’Etna Le caratteristiche che rendono una particolare porzione di terreno immune dall’attacco dell’afide nel territorio del vulcano, sono da imputare principalmente all’elevata altimetria dei vigneti, alla tipologia di terreno e alla natura delle sabbie vulcaniche, di granulometria molto fine e all’acidità del suolo. La conseguenza di queste caratteristiche è che, in alcune zone dell’Etna, la fillossera della vite non ha trovato le condizioni ideali per svilupparsi, salvando così gran parte dei vigneti e preservandola biodiversità viticola.
Il Territorio: l’areale etneo si caratterizza per una forte variabilità climatico/ambientale, una realtà estremamente mutevole che passa dal sub tropicale al montano. La vicinanza del mare, la forma troncoconica del vulcano, l’altitudine e l’esposizione sono solo alcune delle componenti all’origine di tale multiformità. Le colate laviche hanno generato un mosaico di terreni estremamente eterogenei. L’area di produzione, a forma di “c” rovesciata, si estende a Nord, Est e Sud del vulcano ed è localizzata nei territori di 20 comuni della provincia di Catania. Rispetto all’altitudine, è possibile individuare tre fasce principali, la prima nel versante Est tra i 400 e i 900 m s.l.m.; la seconda nel versante nord tra i 500 e gli 800 m s.l.m. e la terza, nel versante sud, dai 600 ai 1000 m s.l.m. Dal 2011, il disciplinare di produzione riconosce all’interno dell’areale di produzione la presenza di 143 contrade (in continuo aumento).
Quando si parla di Etna, bisogna però dire che il Vulcano assume questo nome solo 15.000 anni fa, in realtà prima era l’Ellittico un vulcano di circa 500.000 anni d’età.
L’età delle viti e le grandi escursioni termiche, che arrivano anche a 25/30 gradi tra il giorno e la notte sono le caratteristiche principali del vigneto etneo. Qui troviamo alcuni dei vigneti più vecchi d’Italia, ultra centenari e a piede franco. Anche se non mancano impianti a cordone speronato o a spalliera, la forma di allevamento più usata, che è anche quella più tradizionale, è l’alberello etneo arrampicato su tutto il monte con l’aiuto delle nere terrazze di pietra lavica.
Le zone del versante est, ma di più sud e nord sono quelle con le sabbie più antiche. Contrada Piantavilla Sottana è quella dove ci sono le sabbie dell’Ellittico, Marc de Grazia nel suo Calderara Sottana scrive da Sabbie dell’Ellittico. Piantavilla è la contrada dove ha investito Angelo Gaja, Salvo Foti ha creato la sua azienda a Milo sul versante est del vulcano.
Il Versante Nord, grazie a una appena maggiore “docilità” del paesaggio e alla conclamata fama di alta vocazione, è la zona con la maggior concentrazione di produttori. Ha un clima relativamente più rigido, grandi escursioni termiche e una discreta piovosità. Il vitigno prevalente è il nerello mascalese, da cui derivano, con piccoli saldi di altre varietà autoctone, vini rossi di grande finezza e austerità.
Il Versante Est è caratterizzato da un territorio più scosceso che declina verso lo Ionio. La vicinanza del mare si manifesta con una maggiore piovosità e una spiccata ventilazione. L’ambiente poco favorevole alla maturazione ottimale del nerello mascalese, ha determinato il dominio del Carricante che qui si esprime regalando vini ricchi in eleganza, freschezza, sapidità e longevità.
Il Versante Sud-Est gode di un’ottima luminosità e del benevolo potere mitigante del mare. Rappresenta una zona di perfetto equilibrio in cui sia Nerello Mascalese, sia, Carricante esprimono appieno le proprie potenzialità.
Il Versante Sud-Ovest, con i vigneti che s’inerpicano fino e oltre 1000 m s.l.m., è il meno piovoso e il più esposto al soffio dei venti caldi. L’intensità della luce è notevole così come l’esposizione ai raggi solari. Nerello Cappuccio, Carricante e Nerello Mascalese convivono serenamente, con quest’ultimo che, sembra qui dare vita a vini dai contorni più decisi e marcati rispetto a quelli del versante nord.
Il Suolo: Ogni colata lavica, delle migliaia che si sono susseguite nel tempo ha prodotto cenere e lapilli, (cd. ripiddu) dai crateri in cima o da quelli laterali, con caratteristiche fisico chimiche diverse. Quando si riversano su una zona del vulcano, creano le condizioni per avere, dopo circa 400 anni, suoli assai diversi fra di loro. Inoltre, essendo presenti tutte le esposizioni e diversi gradi di umidità, il risultato finale è estremamente variegato. Da qui nascono i concetti di Contrada e Passo.
Il Nerello Mascalese “Niuriddu mascalisi”, è un vitigno che cresce prevalentemente sull’Etna, provincia di Catania. Il nome Mascalese rimanda al suo luogo d’origine che è la Piana di Mascali, zona agricola tra il mare e l’Etna sita sul versante orientale del Vulcano. Ad oggi la coltivazione del vitigno è presente in tutto il circondario etneo (Trecastagni, Biancavilla, Viagrande). Il territorio d’eccellenza, tuttavia, rimane quello intorno ai comuni di Castiglione di Sicilia e Randazzo, tra Rovittello, Solicchiata, Calderara, Passopisciaro e Linguaglossa. In quest’area la maggior parte delle viti ha resistito alla Fillossera. Il Nerello Mascalese è presente in diverse Doc siciliane: Faro, Contea di Sclafani, Alcamo, Riesi, Marsala, Sicilia. Le sue versioni più prestigiose vanno sotto la denominazione Etna Doc. Le diverse espressioni, anche annuali, dell’uva dipendono molto dalle condizioni climatiche, dal versante del vulcano Etna e dall’altitudine. Il Nerello Mascalese è un vitigno a maturazione tardiva. Nella zona Etna la vendemmia si svolge generalmente dalla metà di ottobre. Il grappolo è lungo, mediamente compatto. Spesso con presenza di ali molto evidenti. Gli acini hanno buccia spessa e sono di colore rosso scuro violetto.
Il Carricante è sicuramente il futuro dell’Etna, perché il Nerello Mascalese grazie ai circa 30 anni di produzione, ha raggiunto la maturità sia organolettica, sia commerciale.
Il futuro sta anche nei vitigni tradizionali, Alicante, Minnedda, Muscatedda, Grecanico dorato e nei Vitigni Reliquia.(zinneuro, moscato nero, Terribile, Inzolia Nera, Lucignola, Orisi, Usirioto e Vitrarolo e Recunu (l’unica a bacca bianca,) che tra qualche anno saranno inseriti nella doc.
La batteria Etna in degustazione
Famiglia Iuppa, Pinin Igt Terre Siciliane 2021 A Piede Franco. Siamo sul versante Est in Contrada Salice. La cantina Iuppa nasce nel 2016 e vanta una consulenza enologica di fama: Federico Curtaz, che ha puntato molto sull’Etna (ha una sua azienda a Milo). Anche Iuppa punta molto sul territorio, ha infatti aperto un wine bar a Milo che conta appena1500 abitanti! I vini bianchi di Milo hanno un grande futuro, anche se, a parte Benanti, manca la profondità di annate. Pinin in onore del padre di Angelo Iuppa. Nel versante Est si registra una piovosità media 150 giorni l’anno (escluso 2023). L’annata 2021 è vinificata solo in acciaio e bottiglia. Da viti di circa 150 anni a piede franco con bassissime rese (1.500/2.000 piante per ettaro). Al calice è rosso carminio limpido, di bella e luminosa trasparenza. Il naso è diretto ma delicato, risalta la parte iodata grazie agli influssi del mar Ionio abbastanza diretti. Qui il frutto non è troppo maturo (a differenza del piedirosso): marasca, sensazioni di macchia mediterranea. Al gusto la freschezza è protagonista d’eccezione, il tannino è delicato. Il sorso ha una progressione ammaliante, avvolgente, pulita, a temperatura fresca di servizio, questo è il tannino della zona est dell’Etna. Prezzo a scaffale sui 50,00 €
Palmento Costanzo Etna Rosso Doc Contrada Santo Spirito 2019. La Società Agricola Palmento Costanzo si trova a Passopisciaro di Castiglione di Sicilia sul versante nord del vulcano. I Costanzo, imprenditori catanesi da diversi generazioni, hanno deciso d’investire in Contrada Santo Spirito, dove le viti a piede franco affondano su stratificazioni diverse (tre particelle mappate) e questo è l’elemento distintivo.
La cantina ha sede in un antico palmento dove si vinifica con tecnologie ultra moderne, con l’uso dii tronco conici, e dell’Ovum, che ha la peculiarità di eseguire l’auto-batonnage. Siamo a 780 mt. s.l.m., qui non c’è influsso del mare, e piove molto meno (50/60 giorni l’anno). L’’elemento pregnante è l’escursione termica giorno/notte che in estate può passare da 40° diurni a 15° di sera. Qui può succedere di vendemmiare anche con la neve. Il vino (90% Nerello Mascalese e saldo di Cappuccio), da viti centenarie, affina per 24 mesi nelle botti Ovum e 12 mesi in bottiglia. Il colore è rosso rubino non acceso di scarsa fittezza, ma con grandissima luce, il descrittore principe del Nerello Mascalese. Il naso, sottile, non esplosivo, altro carattere distintivo, va in profondità: speziato con la caratteristica nota di rabarbaro e ancora, chiodi di garofano, vaniglia, nota di rosa essiccata, per chiudere con un sottile soffio etereo, appena smaltato. La progressione in bocca è diversa rispetto al vino precedente, qui il tannino entra in punta di piedi ma, poi si espande in maniera molto più importante. Il sorso è lungo, di ottima persistenza con una caratteristica vena minerale. Perfetto in abbinamento con tonno leggermente scottato e con molti piatti della cucina di mare siciliana. Prezzo medio a scaffale sui 45,00 €
Pietradolce, Archineri Etna Rosso Doc 2019. Siamo ancora sul versante Nord dell’Etna, a Solicchiata, frazione a pochi chilometri da Castiglione di Sicilia in Contrada Rampante. Pietradolce nasce nel 2005 con la famiglia Faro, messinesi, proprietari del più grande vivaio del sud Italia. Questa è anche la cantina proprietaria della famosa Vigna BarbagallI, la vigna a piede franco più importante dell’Etna.
Le vigne, in gran parte pre-phylloxera tra i 90 e i 150 anni di età, sono coltivate ad “alberello”, tipico del paesaggio viticolo etneo, in regime biologico. Il vino affina per circa14 mesi in botti di rovere a grana fine e tostatura leggera, segue ulteriore affinamento in bottiglia. Il calice è rosso rubino più intenso di media trasparenza. Il naso è più denso e fruttato rispetto ai primi due vini (alcol 14,5%). Risalta un tocco agrumato insieme con note di mirto, frutti rossi, terra bagnata, spezie ed erbe aromatiche. Il gusto è deciso e diretto. Il tannino, fitto e sottile, fa bene il suo lavoro e l’acidità restituisce un sorso agile e teso dalla vena sapida e minerale. Prezzo medio a scaffale sui 45,00 €
Signum Ætnæ Firriato Etna Rosso Doc Riserva 2014 Firriato (in siciliano è la corte esterna delle case padronali) è stato tra i primi grandi brand siciliani ad arrivare sull’Etna all‘inizio degli anni ‘90, producendo la prima annata di Etna Rosso Doc nel 1994, con i suoi oltre 70 ettari vitati nel versante nord, è tra i più grandi produttori dell’Etna. Signum Aetnae viene dai vigneti di circa due ettari della tenuta di Cavanera Etnea, in contrada Verzella, con piante ultra centenarie dal tronco, spesso evoluto in cerchi, spirali e braccia nodose. Terreni sabbiosi/franco sabbiosi, di piccola granulometria. Rese basse con 1500 piante per ettaro. Le temperature invernali sono mediamente basse con elevate escursioni termiche tra il giorno e la notte. Queste condizioni pedoclimatiche favoriscono la complessità del corredo aromatico delle uve. Vendemmia nella seconda metà di ottobre.
Si tratta dell’unico vino da vite pre-fillossera a piede franco, di 140/155 anni, certificata dall’Università di Palermo e dal CNR. Da viti di Nerello Mascalese, insieme con rare varietà reliquia, a 650 metri s.l.m. sul versante nord orientale del vulcano. Il vino affina per due anni in tonneau di rovere francese a grana fine e successivi 18 mesi in bottiglia. Per quest’annata sono state prodotte 2.436 bottiglie numerate. Signum Aetnae, a dieci anni dalla vendemmia, mostra ancora tratti giovanili e di freschezza. Il colore è rosso carminio intenso e più fitto, a preannunciare un corpo più importante (14,5%). Il naso esprime un frutto ancora integro con caratteristica nota ferrosa mista a residui balsamici, quasi di “polvere da sparo”. Il sorso è l’emblema dell’espressione varietale del Nerello Mascalese sull’Etna: ha una fantastica progressione alternata tra tannino che asciuga con delicatezza e spalla acido/sapida che rinfresca. Lunghissima la persistenza. Un vino profondo, elegante e complesso che avrà ancora molto da dire. Prezzo medio a scaffale ben oltre i 100,00 €. Segnaliamo che per Signum Aetnae Pre Phylloxera 2015, la cantina ha avviato la procedura d’iscrizione in blockchain a garanzia dei consumatori.
A queste due ultime cantine, Pietradolce e Firriato, fanno capo anche suggestive e lussuose strutture d’accoglienza e ospitalità sull’Etna.
In conclusione i due territori, Campi Flegrei e Etna hanno alcune parziali assonanze: il profilo organolettico, la comune matrice vulcanica dei suoli e la viticoltura a piede franco. Se scendiamo nel dettaglio, i due areali sono profondamente diversi per storia, composizione dei suoli (piroclasti di origine esplosiva nei Campi Flegrei e eruzioni di natura effusiva, ossia colate laviche, sull’Etna), tessuto ampelografico e imprenditoriale. Il successo dei vini dei Campi Flegrei è più recente, mentre la svolta imprenditoriale sull’Etna parte da più lontano. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio anni ’90 partono gli investimenti importanti di imprenditori non solo siciliani: Firriato, Murgo con il Barone di Villagrande Emanuele Scamacca, Benanti, Andrea Franchetti (scomparso nel 2021) con Passopisciaro e Marc de Grazia con Tenuta delle Terre Nere. Nel 2016 arriva la famiglia Rallo con Donnafugata tra Castiglione di Sicilia e Randazzo, solo per citare i più conosciuti. A loro si deve la storia contemporanea della viticoltura etnea.
Sull’Etna (che ha dalla sua l’asset di essere Patrimonio Unesco) il substrato delle aziende è più numeroso e si sta avviando verso l’ennesima svolta. La compagine associativa è solida e di più lunga esperienza (il Consorzio Etna Doc nasce nel 1994). Dopo circa 30 anni di crescita trascinante, per la Doc Etna è arrivato il momento della maturità e del cambio generazionale: da uno studio del Consorzio Etna Doc, presentato lo scorso 12 settembre in occasione degli Etna Days a Castiglione di Sicilia, risulta che la percentuale di cantine guidate da giovani under 40 si attesta al 20% del totale delle aziende operanti sul vulcano, e che l’8% di queste è guidata da donne.
Anche nei Campi Flegrei il tessuto delle aziende sta realizzando in questi anni uno straordinario cambio generazionale, ma la compagine ha ancora bisogno di consolidarsi. La Doc Campi Flegrei, che in ottobre festeggia i 30 anni, a mio parere, dovrebbe oggi insistere di più sul concetto di micro zonazione dei vigneti e avviare studi approfonditi sulle differenti espressioni di Falanghina e Piedirosso nelle diverse zone di produzione. Al momento le cantine che lavorano sull’identità dei Cru anche a piede franco non sono molte, ciò si deve però al fatto che studi approfonditi in materia non sono ancora stati avviati in maniera sistemica. I vini degustati hanno raggiunto ottime posizioni di prestigio sui mercati, anche se la fascia di prezzo medio è più contenuta.
La III Edizione di Prephilloxera 2024 vini a piede franco, voluta da Malazè, il FestivaLab Archeoenogastronomico dei Campi Flegrei, nato da un’idea di Rosario Mattera e da quest’anno in collaborazione con CampiFlegreiActive, intende andare in questa direzione.
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