Magno Megonio, Old Calabria

Pubblicato in: I vini del Mattino

Due volte grande, latino e greco: Magno Megonio, il nome del centurione che possedeva questa vigna nella splendida e fertile campagna di Rocca di Neto in riva alla Jonio. Il vino di punta dei fratelli Antonio e Nicodemo Librandi alla sua quarta uscita conferma le potenzialità dell’uva mantonico di cui si erano quasi perse le tracce fino a quando i due dotti segugi Attilio Scienza e Donato Lanati hanno trovato le marze giuste tra olivi e fichi d’India. Le scelte di Antonio e Nicodemo, 260 ettari vitati, oltre due milioni di bottiglie, sono esemplificative del trend commerciale dei vini del Sud: con il mitico Gravello fecero conoscere a tutta l’Italia le potenzialità del gaglioppo unendolo al cabernet sauvignon, un rosso innovativo all’inizio degli anni ’90, oggi forse datato anche se sempre molto buono, chardonnay e sauvignon l’uvaggio del primo bianco importante, il Critone. Poi la svolta, decisa, verso gli autoctoni di cui la nostra amata Calabria vanta il primato su tutte le altre regioni italiane: sono oltre cento i vitigni tipici già classificati. Il motivo di questa abbondanza è semplice, la costa jonica era oltre duemila anni fa quello che è stata la costa orientale degli Stati Uniti negli ultimi due secoli, il punto di attracco dei coloni. Il Magno Megonio è il primo dei due rossi pasquali presenti sulla nostra tavola: la sua struttura possente, annunciata dal rosso rubino impenetrabile e dal naso ricco di marasca, liquirizia, spezie e tabacco, è infatti ideale per l’abbinamento con le carni di agnello e capretto cucinate al forno: i tannini sono infatti importanti, adatti a piatti strutturati e complessi, indice assieme alla freschezza di una positiva longevità preparata da 18 mesi di barrique di Allier di primo e di secondo passaggio. Lanati ama il legno non invasivo. Molto prima della tendenza ai vitigni autoctoni, dunque, Librandi aveva svoltato. Vediamo. Cirò Duca San Felice Riserva Un grande rosso da gaglioppo longevo almeno una decina di anni come abbiamo avuto modo di verificare di recente da Bacco a Furore con Vito Puglia e altri cari amici su un maialino agerolese. L’annata era il 1991. Dopo l’apertura maderizzata, l’ossigeno ha restituito il vino ad una beva da meditazione. Efeso Da uva mantonico, stavolta parliamo di un bianco, uno dei pochi in verità che Calabria, Puglia e Basilicata possono vantare a differenza della Campania regione decisamente bianchista per vocazione e tradizione. Un vino importante, passato in legno di Allier per 6 mesi dopo la vinificazione in acciaio, ricco di sentori mediterranei.


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