Avevamo puntato questa bottiglia un anno fa, nel cuore di Firenze, da Pasquale Naccari patron de Il Vecchio e il Mare, grande appassionato di vini, compresi quelli della sua terra, la Calabria. Infatti qui si trovano chicche difficilmente reperibili altrove. Nell’ottobre 2022 gli feci la richiesta di conservarmela e ieri, giusto un anno dopo, l’ho pututo godere su una straordinaria cucina capace di coniugare pizza e cucina di pesce, ma cucina vera, a cominciare dalla trippa di ricciola sulle montanarine.
Il tappo non era pensato per vivere 21 anni dentro la bottiglia e si rompe nonostante si sia mantenuto asciutto. Poco male: passino, decanter (dopo 21 anni non è solo scena, ma necessità) ed eccolo qui, perfettamente integro, con il colore rubino vivo. Nessun dubbio prima ancora di sentirne i profumi. Al naso nessun cedimento ossidativo o srgni di stanchezza. Il vino ha acquisito quella complessità che non riesce quasi mai ad esprimere nei suoi primi anni di vita: frutta matura. Ma è al palato che il magliocco pensato da Lanati rivela tutta la sua energia ancora giovanile, con tannini ficcanti, freschezza ancora vibrante e piacevole, il tono amaro che chiude una beva lunga e appagante. Un vino vivo e vegeto dopo 21 anni di bottiglia dimostra ancora una voltà l’eternità a cui può aspirare il territorio cirotano.
Sicuramente uno dei rossi emblematici della viticultura italiani. Non moderno, ma classico.
Scheda dek 25 marzo 2008. Allora, dopo alcuni anni qualcosa si può iniziare a dire del Magliocco, il vitigno calabrese rilanciato da Librandi dall’enologo Donato Lanati. Nella interpretazione del Magno Megonio, siamo nella linea top dell’azienda di Cirò, all’inizio il bicchiere non riesce mai a colpire in maniera commovente i degustatori, per via di un fruttato elegante ma sostanzialmente monocorde e prepotente. Con il passare degli anni, però, il rosso riesce ad acquisire complessità olfattiva dimostrando il meglio delle sue qualità che sono certamente quelle di un lungo invecchiamento.
Questa versione 2002, ad esempio, si è presentata in forma a dir poco smagliante, con un colore granato e l’unghia arancione ormai da tempo scomparsa nei vini di nuova generazione sacrificati all’altare della concentrazione, un tema che adesso il mercato anglosassone sembra non apprezzare più come prima, e comunque, si dice, questa caratteristica va conquistata in vigna e non in cantina. Sappiamo come girano le mode negli Usa e alla fine la ricetta migliore è quella di individuare un profilo e restare fedeli alla scelta perché sicuramente negli anni, proprio come accade per gli abiti, stili e vini d’antan tornano improvvisamente di moda. Per cui, insomma, chi concentra continui a farlo, chi non ha mai praticato questo stile si astenga.
Al naso prevalgono suadenti note balsamiche, sentori di frutta sotto spirito, ancora cioccolata, caffé appena tostato, leggera vaniglia, in bocca il Magliocco si presenta più o meno con le stesse caratteristiche del Gaglioppo, con il quale pure a lungo è stato confuso per decenni: ossia la spinta viene dalla freschezza che è il tono principe di un vino per il resto smagrito, meglio dire snello che fa da contraltare al naso opulento di cui alla fine restano soprattutto le note balsamiche e la sensazone di una piacevole dinamicità. Non è certo un vino facile, se all’inizio del suo percorso può apparire palestrato, con il passare degli anni acquista invece il tono giusto di questi vini del territorio finendo per acquisire gli stessi toni dei Gaglioppo da invecchiamento con il quale assolutamente potrebbe confondersi in degustazioni coperta. Segno insomma, un po’ come accade in alcuni terroir di tradizione, che, al di là dello stile, dell’enologo e spesso anche del vitigno, le caratteristiche del territorio finiscono per essere alla fine assolutamente predominanti. Una cosa che nel Sud a mio parere avviene solo a Cirò, nel Vulture e nell’areale del Greco di Tufo. Il Magno Megonio è stato protagonista del piatto forte della mia Pasquetta cilentana, ossia l’aino (agnello da latte) passato al forno, ma anche con il piatto di accompagnamento, i fegatielli passati sfricoliati in padella con la cipolla, ha fatto la sua ottima figura ben abbinandosi così come, sia detto per inciso, gli splendidi Brunello 1999 della Tenuta Friggiali e il 25 anni di Caprai 1998.
Infine una riflessione sull’annata, la 2002, che per l’Aglianico è stata abbastanza complicata, ma che per i rossi calabresi appare maggiormente in continuità con quella precedente, in cui l’uva ha potuto godere di una stagione tutto sommato regolare e dunque di una buona vita vegetativa con il frutto maturo al punto giusto. Il Magno Megonio ha rilevato anche questo. Siamo convinti di una sua ulteriore crescita nel corso dei prossimi anni.
Sede a Cirò Marina, Contrada San Gennaro. Tel. 0962.31518, fax 0962.370542. Sito: www.librandi.it. Enologo: Donato Lanati. Ettari: 230 di proprietà. Bottiglie prodotte: 2.100.000. Vitigni: mantonico, greco, chardonnay, sauvignon, gaglioppo, magliocco, cabernet sauvignon
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