di Annito Abate
“What Women Want”, anzi “What Wine Women Want”. Ci vuole un intuito, tutto femminile.
Mettere insieme energia positiva delle Donne, grandezza dell’Aglianico del Vulture, cibi e ingredienti Irpini, mescolare senza agitare ed ecco che viene fuori una “magia”, delicata, emozionante, sensuale, “dolce come il cioccolato”. «Uno strano fenomeno d’alchimia», «codice di comunicazione», tra emittenti (le Donne in fila sedute) e riceventi (il pubblico davanti a loro).
Sabato 29 settembre, ore 18,20, in viaggio verso Celzi di Forino (AV) raggiungo Tenuta Montelaura, luogo dell’atteso evento: tutto quello che avreste voluto sapere sull’Aglianico del Vulture DOCG e non avete mai osato chiedere! 3Tre Donne Irpine hanno cucinato per 6 Donne Vulturine.
Parcheggio sotto gli alberi ed attraverso la piazzetta antistante i volumi in tufo, molti già i presenti, diversi gli accenti per la provenienza da diverse Regioni.
Davanti le “mura” le 6 “Enoiche Amazzoni” giunte dall’estremo nord della Basilicata: Sara Carbone da Melfi, Elena Fucci, Viviana Malafarina ed Emanuela Mastrodomenico da Barile, Elisabetta Musto-Carmelitano da Maschito, Eugenia Sasso da Ripacandida.
Già in cucina il “triumvirato” arrivato dall’oriente della Campania: Angela Gregorio in Boccella da Castelfranci, Rita Guerriero in Picariello da Montefredane e Rita Pizza in Romano da Montemarano.
Regine della serata, Marina Alaimo (degustatrice, giornalista, wine & food writer) ed Elena Martusciello (Presidente Nazionale delle Donne del Vino).
Nel foyer Lello Tornatore, organizzatore e padrone di casa, sembra affetto da momentanea iperattività, evidentemente emozionato, come un giovane laureando prima di discutere la sua tesi davanti alla commissione di Ateneo.
Luciano Pignataro, organizzatore dell’evento, suona il “sistro” e, dopo una breve presentazione lascia subito lo spazio alla muliebre serata accomodandosi ad un tavolo laterale. «Si è voluto mettere insieme un Territorio che ha un potenziale enorme, a tutti i livelli, turistico, paesaggistico ed ambientale, enogastronomico. Le giovani Donne presenti hanno, tutte, un ruolo importante nelle rispettive Aziende».
Le degustazioni sarebbero di qui a poco iniziate.
«Pensavo ai tre “Vulcani” rappresentati» parla Marina Alaimo «il mio Vesuvio, quello dei Campi flegrei di Elena Martusciello e quello del Vulture. Stasera ascolteremo racconti di Donne che vengono da zone particolarmente vocate per la produzione del vino, ventose, calde d’estate e molto fredde d’inverno, terreni ricchi di mineralità, che parlano delle loro Aziende vitivinicole, moderne, dove si è storicizzato il modo di produrre l’Aglianico del Vulture, un tempo vino molto ricco, pastoso e fortemente strutturato».
Le Vulcaniche Donne, ad una ad una, parlano della propria Cantina e del vino che hanno portato in degustazione.
Quattro dei sei vini recano in etichetta l’annata 2008, calda, abbastanza equilibrata dalle uve particolarmente cariche ma pervase di fresca acidità.
Nel Vulture, vulcano spento ricco di acque dalla spiccata mineralità, le piante, mai in stress vegetativo, sono quasi sempre in equilibrio e crescono armonicamente, il vino che ne deriva, pertanto, è generalmente fine, schietto, tendente alla pronta beva.
Su queste basi comuni, con un disciplinare di produzione “illuminato”, l’opera dell’uomo, mai come in questo caso, della Donna e le scelte in vinificazione, risultano fondamentali per esprimere il carattere che al vino si vuole dare.
Eugenia Sasso da Ripacandida. Covo dei Briganti 2008, Aglianico del Vulture DOCG, Eubea (www.agricolaeubea.com). Azienda di 17 ettari di proprietà ed una lunga tradizione di vinificazione che inizia con “Nonno «Francesco” negli anni ’20 e nel 1993 vede l’inizio dell’attuale assetto. Si pensa e si opera in regime biologico, scelta onerosa che ha visto anche la primogenitura della tipologia passito, rigorosamente da uve aglianico. Il vino in degustazione, per lungo tempo “top wine” della Cantina è evocativo di tradizioni e leggende. Il nome deriva dalla scoperta di sette grotte con ritrovamento di palmenti e vasi vinari, il rifugio dei Briganti della zona. Questo è il vino dell’equilibrio, della ricchezza della trama tannica con bagaglio aromatico che coniuga grassezza di corpo e finezza. Un vino molto longevo fatto da viti di 40 anni ed a 600 metri di altitudine».
Il vino in degustazione ha toni un tantino diversi dagli altri, forse anche per l’utilizzo di legno più grande, rovere ungherese da 5 ql. E’ impenetrabile, terroso, polveroso con note balsamiche, un frutto cupo da sottobosco, delicate note di pepe, un sorso scattante, vivo, austero, dinamico, allungo sapido e chiusura leggermente ma piacevolmente amarognola.
Sara Carbone da Melfi. 400Some 2008, Aglianico del Vulture DOCG, Vini Carbone (www.carbonevini.it). «Un inizio tra gli anni ’70 e ’80, quelli della sperimentazione poi la seconda generazione quella mia e di mio fratello Luca. Alla fine degli anni ’80 esistevano molte difficoltà, specie per i vini del sud e la vinificazione subì un’interruzione a favore del conferimento di uve; nel 2005 si decise di vinificare di nuovo. L’etichetta è dedicata a Carlo d’Angiò, che si innamorò del nostro aglianico a tal punto da richiederne ben 400 some. Il vino è un mix di uve provenienti da due vigneti differenti, uno con più argilla. Si è operata la scelta di non utilizzare legno nuovo.
Il vino in degustazione ha un colore vivo con leggerissime sfumature anche violacee, naso con frutto croccante, bellissime note di violetta, tocco vezzoso, elegante e mediterraneo. In bocca si sente il l’alcol derivante dall’annata calda ma anche la fresca acidità, i tannini si disvelano con carattere nonostante l’uso della barrique; la sapidità del territorio c’è tutta.
Emanuela Mastrodomenico da Barile. Likos 2008, Aglianico del Vulture DOCG, Vigne Mastrodomenico (www.vignemastrodomenico.com). «Rappresento la prima generazione, le vigne le ha piantate mio padre che, con coraggio, ha scavato la roccia degli argillosissimi terreni. Il vino, annata a me molto cara, è un mix di uve provenienti da vigneti posti ad altitudini diverse».
Il vino in degustazione è moderno, dinamico, i profumi cambiano, è timido, si dichiara col tempo, forse influisce l’uso di barrique francesi con tostatura personalizzata. Prevale il frutto, ciliegia, buccia di arancia rossa, un tocco mediterraneo. In bocca è minerale, austero e severo ma anche agile, scattante, dal corpo non eccessivo.
Elisabetta Musto-Carmelitano da Maschito. Serra del Prete 2009, Aglianico del Vulture DOCG, Musto-Carmelitano (www.mustocarmelitano.it). «L’azienda nasce nel 2007 dai vigneti dei bisnonni e poi dei nonni, oggi interamente assoggettati a regime biologico, ereditati anche ad alberello e di 90 anni. La nostra scelta, condivisa con l’enologo Sebastiano Fortunato, è di utilizzare solo acciaio e cemento».
La scelta di “naturalità” influisce in degustazione regalando un naso ed una bocca davvero puliti. Il vino è “scattante”, un aglianico elegante dove prevale il frutto, il fiore (la viola) ed una leggera nota pepata, tipica del vitigno, la mineralità c’è tutta. In bocca è sottile con tannini compatti ed eleganti, invita ad altri sorsi.
Viviana Malafarina da Barile. Teodosio 2008, Aglianico del Vulture DOCG, Basilisco Vini (www.basiliscovini.it). «Nella via delle Cantine del Borgo l’Azienda opera dal 1986, da due anni è in conversione al biologico e da due anni in fusione con un’altra grande realtà del mondo enologico, Feudi di San Gregorio, circa 20 ettari di vigneto in tutto. Il vino proposto è un mix tra legno nuovo e di secondo e terzo passaggio, un vino immediato, di più semplice concezione».
Nel vino in degustazione colpisce per prima l’acidità, il naso è diverso dagli altri, apre con un tocco minerale ed il frutto, sottospirito di visciole ed amarene, rimane un tantino sottotono. E’ un Aglianico del Vulture più tipico e tradizionale dove i tannini risultano levigati, la sapidità è presente e chiude con un leggero to amarognolo.
Elena Fucci Barile. Titolo 2009, Aglianico del Vulture DOCG, Elena Fucci Vini (www.elenafuccivini.com). «L’azienda possiede vigneti molti vecchi, dai 55 ai 70 anni, che a 600 metri di altitudine sono tra i più elevati della zona. Sono cresciuta da sempre tra le vigne, la mia scelta definitiva è avvenuta un attimo prima che la mia famiglia vendesse tutto, mio padre felicissimo e mio nonno, classe 1916 ed alla sua 74 esima vendemmia, è il mio primo fan. Mi sono laureata in enologia per gestire i 6 ettari di proprietà convinta di volermi dedicare ad un unico vino. Dico sempre che non coltiviamo la vite ma facciamo opera di giardinaggio: solo 40 Q.li/ettaro e 18.000 bottiglie prodotte per la presenza di vigne vecchie, per la scelta di fare potature severe e per il diradamento operato durante l’anno. L’aglianico si vendemmia molto tardi è difficile far coincidere maturazione tecnologica e fenolica. A volte si sacrifica qualche grado alcolico proprio in favore della maturazione fenolica. Si lavora sull’eleganza, qualcuno mi ha detto che il mio è un vino del “nord”. Nel Vulture, a novembre, in epoca di vendemmia il clima è rigido, viene facile allora operare una macerazione “naturale” a freddo e far coincidere questa con i tempi di fermentazione che diventano “naturalmente” più lunghi. Si arriva sotto natale per mettere il vino in barrique dove ci rimarrà per 12 mesi e così la mia annata in corso è la 2009».
Nel vino in degustazione l’attento lavoro compiuto lo ha snellito lasciando un naso sottile ma intenso. Prevale il frutto, presente un tocco mediterraneo di rosmarino ed una nota floreale di viola. In bocca il vino è scorrevole, agile, un aglianico insolito dal sorso fresco di acidità. Il corpo non è esuberante ed i tannini restano di “razza”.
Quando Elena Martusciello, comincia a parlare, il profumo del ragù comincia ad uscire dalle cucine ed il rumore dei piatti annuncia la discesa in campo delle Donne del Cibo d’Irpinia. «L’associazione Donne del Vino (www.ledonnedelvino.com) nasce 23 anni fa e vanta 750 iscritte su tutto il territorio nazionale; hanno aderito le migliori Cantine, ma anche enotecare, sommelier e giornaliste enogastronomiche. Il vino, si sa, si apprezza soprattutto quando si mangia».
Ed infatti così è stato!
Le preparazioni di Angela Gregorio in Boccella da Castelfranci e Rita Pizza in Romano da Montemarano, rispettivamente “Maccaronara” (pasta lunga e spessa fatta a mano con acqua, farina e due uova) e “Panzetta d’agnello ‘mbuttunata”, (un classico della cucina tipica Irpinia, pancia d’agnello di razza Bagnolese imbottita con uova, pecorino di Carmasciano, parmigiano reggiano 24 mesi, prezzemolo e una nota di aglio) sono state servite, insieme, il sugo era lo stesso. Descrivere i profumi ed il sapore del ragù, le modalità della sua preparazione, la sua cottura in vasi di creta con forno a legna, i pomodori biologici essiccati al sole per 12 giorni, sarebbe, ora, cosa lunga.
Una curiosità confermata anche da Sara Carbone: il piatto per eccellenza di Melfi è “Maccuarnar”, nome dialettale della Maccaronara, pasta a tipica sezione quadrata condita con sugo di coniglio o maiale.
Rita Guerriero in Picariello da Montefredane ha deliziato i palati con le dolci sensazioni delle sue “Crostate al Fiano di Avellino”, fatte con l’uva dei suoi prestigiosi vigneti trasformata in confettura ad opera del tempo, zucchero e calore e che sulla pasta frolla ha assunto toni bruni a garanzia della genuinità del prodotto.
Degustazione finale a sorpresa del “Brut Contadino”, Vino Spumante di Qualità di Ciro Picariello, da Fiano di Avellino 100%, millesimo 2010, metodo classico, da sboccare all’atto della degustazione. Presentato ancora da una Donna, la Signora Picariello e sboccato dal prof. N, con i presenti ad osservare con curiosità l’insolita scena.
«Ora che è finito il lavoro si può finalmente mangiare?». Cena finale, la notte ormai avanti, come nel Villaggio di Asterix (peccato che Lello ha tagliato i baffi); nulla è stato stonato quindi nessuna necessità di imbavagliare il Bardo ma solo quella di trovare il Druido affinché la sua pozione ci dia la forza per tornare a casa.
Ci sono riuscite, le affascinanti “ragazze” sono “uscite” insieme, sono state bene e ci hanno regalato una serata meravigliosa; i “ragazzi falliscono in questa impresa per mancanza di senso pratico, di capacità a guardare le cose per quello che sono, attributi a corredo genetico del gentil sesso. Sarà colpa del testosterone?
Un aforisma di Oriana Fallaci recita «Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non finisce mai.»
D’altronde, ci sarà un motivo se esiste una “giornata internazionale della Donna?
E sui titoli di coda è giusto annoverare alcuni “illustri” presenti alla serata.
Andrea Petrini fiduciario di Slow Food Roma, Alessandro Barletta responsabile Slow Food Colline Ufita e Taurasi e Nicola Campanile organizzatore di Radici Wines.
I produttori Luigi Tecce (omonima cantina), Maura Sarno (Tenuta Sarno 1860), Ciro Picariello (omonima cantina), Ferrante Di Somma (Cantine di Marzo), Marilena Aufiero (Cantine Bambinuto), Raffaele Boccella (omonima cantina), Rita Pizza e Nando (Il Cancelliere), i Fratelli Urciuolo (omonima cantina). Gli Enologi Maurizio De Simone, Michele D’Argenio, e Mario Ercolino.
I giornalisti enogastronomici Giuseppe Barretta (anche degustatore espertissimo di olio) e Manila Benedetto (titolare del blog enogastronomico “Gnam” ed esperta degustatrice di birra), Giovanna Fasanino, corrispondente da Sarno del “Pignataro Wine Blog”, Diana D’Urso del “Ritrovo degli Artisti” di Avellino.
E poi tanti sommeliers, degustatori, amici ed appassionati che non hanno voluto perdere le emozioni di questa storia, raccontate, forse con qualche dovizia di particolari di troppo, della qual cosa me ne scuso se la cosa ha arrecato difficoltà a completare di lettura.
Sin da ora chiedo scusa anche se ho dimenticato qualcuno.
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