Kratos, Pietraincatenata e Cenito
di Vittorio Guerrazzi
L’incontro con il titolare di una azienda vitivinicola (enologo) è tra le esperienze più intense che un enoappassionato possa fare; se questa poi include 3 “mini-verticali” delle etichette più rappresentative e 1’anteprima del rosso di punta allora l’esperienza diventa evento e la penna non può astenersi dal fermare su carta il ricordo.
Parliamo dell’incontro avuto con Luigi Maffini, riconosciuto e celebrato produttore cilentano che, da una dozzina di anni, si è affacciato sul panorama viticolo provinciale e regionale, in una costante escalation di successi. L’occasione è stata offerta dalla Delegazione AIS di Salerno ed inserita in un fitto calendario di eventi, dal titolo “Noi e Loro”, che ha visto alternarsi nelle sale del Circolo Canottieri Irno di Salerno alcune delle eccellenze produttive della Regione (fra i tanti ho il piacere di ricordare Bruno de Conciliis, Giuseppe Mancini e Manuela Piancastelli di Terre del Principe, Giuseppe Apicella di Tramonti).
Continua dunque il rilancio d’immagine dell’AIS Salerno che, dopo l’organizzazione del Sagrantino Day, si impegna a sfornare nuove e pregevoli iniziative che raccolgono consensi sia da parte del pubblico che dai protagonisti del settore: la sinergia funziona!
Ma veniamo all’incontro: Luigi Maffini non è un comunicatore travolgente, ed infatti nella promozione del proprio vino si muove come in vestiti di un paio di taglie mancanti… ma quando si tratta di raccontare l’iter dalla vigna alla bottiglia ecco che mette su jeans e t-shirt e molla i freni. La passione che anima le sue parole ci trasporta con lui tra i filari di fiano e di aglianico che, dai 4000 mq degli esordi sono diventati complessivi 15 ha circa. Una parola, tra le altre, ricorre più frequentemente: progetto!
Vino non fatto per caso ma voluto, cercato, migliorato annata dopo annata senza la fretta di dover dimostrare o affermarsi, ma solo per arrivare a quell’identità forte che rende un vino unico, riconoscibile, diverso da qualunque altro. Ed in questo c’è il sogno venato di rimpianto di Luigi: la possibilità di vinificare da piante di 50/60 anni piantate e condotte personalmente per la loro intera vita. Che dire… a giudicare dai prodotti che, dopo soli 10 anni di esperienza, ci apprestiamo a degustare, glielo auguriamo con affetto.
3 mini-verticali dicevamo, 6 vini nel complesso: la serata si preannuncia lunga.
Apre le danze il vino che, a mio modesto avviso, ha un posto speciale nel cuore di Luigi, ovvero il Kratos: ingiustamente classificato come “vino base” dell’azienda, è secondo me quello che più di tutti ha dimostrato la concretezza della filosofia produttiva di Luigi, con risultati ogni anno non solo di grande livello, ma di costante, moderata crescita, senza mai perdere di vista quell’identità così fortemente voluta. La materia prima è come sempre di grande qualità, ma ogni anno fa un gradino in più verso quell’eleganza che il fiano, in queste zone, un po’ invidia il cugino irpino. Progressivamente si lascia alle spalle le suggestioni di frutta matura, instillati nel vino dal clima torrido della zona, per andare incontro a nuance più fresche, gentili, minerali e sapide.
Il vino ne acquista in freschezza e sicuramente in longevità: l’annata 2006 che ci arriva nei bicchieri è veramente un bambino, pur essendosi ormai liberato di ogni aroma fermentativo. Aromi delicati di fiori bianchi, frutta a pasta bianca ancora accennata, una sapidità quasi salmastra che si rivela anche al naso, leggeri ricordi di frutta secca e macchia mediterranea. Al palato è viperino grazie alla buona mineralità che avrà ampi margini per evolvere ed arricchirsi; l’alcool assolutamente integrato. Come accade per i migliori bianchi campai, val la pena di aspettarlo qualche mese. Arriva quindi l’annata 2004: alla prima olfazione si direbbe un riesling altoatesino… è un colpo di fulmine! Peccato che la temperatura ambiente riscalda molto rapidamente il prodotto, e questi aromi vengono scavalcati dalla frutta in buono stato di maturazione, pur rimanendo in un intrigante sottofondo. 3 anni sulle spalle e non sentirli, sfiderei chiunque a definirlo già maturo: il colore, la consistenza, la complessità olfattiva, la piacevolezza al palato… decisamente va giù che è un piacere.
Si passa quindi al pluripremiato Pietraincatenata: sempre di fiano si tratta, ma, anche se il nome può trarre in inganno, non è un Cru, piuttosto una selezione in vigna dei migliori grappoli, per essere poi sottoposti ad una lavorazione che, sui bianchi di buona stoffa, sta dando risultati molto interessanti: le motivazioni ce le spiega lo stesso Luigi. Parliamo di fermentazione a bassa temperatura effettuata in barrique, prolungata anche fino a tre mesi, con contatto sulle fecce fini. Da un lato la fermentazione, con il rapido evolversi dei profumi secondari, non permette alla componente aromatica del legno di essere particolarmente invasiva; dall’altro, la microssigenazione del legno, in parte arrotonda il vino non penalizzandone la freschezza, in parte aiuta le fecce fini a rilasciare composti aromatici che contribuiscono alla complessità del vino, cosa che in un ambiente anaerobico potrebbe dar problemi. In degustazione abbiamo il 2005, l’ultima annata in commercio, e la 2004, entrambe in formato magnum. Innegabile la qualità del prodotto, la sua rotondità e complessità olfattiva che, rispetto al Kratos, si arricchisce di note speziate e si esalta su note di frutta secca. La difficoltà dell’annata 2005, che soffre forse un po’ di diluizione, viene evidenziata dalla qualità del bicchiere dell’annata 2004, che si approccia ora al top della curva evolutiva. Tuttavia, dati i risultati dei fiano irpini che con il passare dei mesi stanno velocemente guadagnando il terreno perduto, converrà aspettare ancora per capire le reali potenzialità di questo campione cilentano.
Si cambiano quindi i bicchieri e si passa al rosso: siamo in presenza del Cenito, vero Cru aziendale, ottenuto da 2 ha di terreno che producono solo 6000 bottiglie circa. Non tutta la produzione finisce infatti nel Cenito, ma solo i grappoli migliori… gli altri vanno nel rosso base dell’azienda, il Kleos. Avevamo già avuto modo di apprezzare il 2004 che, rispetto alle annate precedenti aveva provato a dare una sterzata abbastanza decisa, privilegiando un approccio meno muscoloso ed imponente, che puntasse sulla progressione e sull’eleganza.
Già il colore, decisamente più scarico e meno impenetrabile, mette in evidenza la nuova strada intrapresa: l’approccio al palato è decisamente ricco ma non pesante, la struttura tannica già piuttosto ben lavorata, la complessità aromatica mette in evidenza un fruttato maturo ancora turgido e senza cedimenti che si integra ottimamente con le componenti del rovere. Sorpresa della serata, però, è l’anteprima del Cenito 2005, che vedrà l’immissione in commercio solo ad ottobre!
Se con il 2004 ci si era scrollati di dosso lo stereotipo da Aglianico Cilentano, questo 2005 promette di spostare ancora più avanti i traguardi di eleganza che questo vitigno può raggiungere. Il colore vira su tonalità più importanti, il naso è subito improntato su una grande austerità e profondità minerale, in cui l’impatto del legno sembra cesellata a mano. La freschezza a palato sembra quasi un manrovescio, pronto a svegliare i sensi che si erano già persi nelle suggestioni che solo un grande rosso d’annata può regalare. Una piccola scompostezza è perfettamente consona rispetto ai mesi che ancora deve riposare in bottiglia. Da procurarsi diverse bottiglie da stappare a ripetizione nelle feste di Natale.
L’emozione della serata si chiude con i saluti e, volendo, gli inviti ad andarlo a trovare in cantina, in quel di San Marco di Castellabate dove, ve lo garantisco, il mare non è più l’unica attrattiva.
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